15/07/2022, 11.58
LIBANO
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Beirut: Hezbollah, energia e crisi regionali sull’elezione del presidente

di Fady Noun

Il movimento filo-iraniano agita lo spettro della guerra con Israele per il controllo dei giacimenti e può paralizzare il Parlamento bloccando l’iter della nomina del prossimo capo dello Stato. Le contrapposizioni fra Aoun e Mikati e la “rosa” dei possibili successori. Il timore del patriarca maronita di una “manipolazione” della scadenza elettorale. 

 

Beirut (AsiaNews) - Alla vigilia dell’arrivo in Israele del presidente Usa Joe Biden, mentre sulla scia del conflitto in Ucraina la rivalità russo-americana si consolida, Hezbollah ha alzato i toni: “Se al Libano viene impedito di far fruttare le proprie risorse di gas - ha dichiarato il segretario generale Hassan Nasrallah in occasione del 16mo anniversario della guerra del luglio 2006 - noi non permetteremo a nessuno di estrarre e vendere il gas, a prescindere da quali possano essere le conseguenze” di questa posizione. 

Dopo l’invio, una dozzina di giorni fa, di tre droni nei pressi del giacimento di gas israeliano di Karish, nel nord di Israele, Hassan Nasrallah ha paventato il rischio di una guerra lanciata dalla sua formazione. L’obiettivo è quello di far valere i diritti del Libano sulla totalità delle riserve di idrocarburi del vicino campo di Cana (Libano sud), di cui Israele rivendica un 20% di superficie, ma difeso con ferocia da Beirut dal quale prevede entrate stimate in 600 miliardi di euro.

L’opzione della guerra viene brandita in modo aperto, sebbene Washington e Bruxelles siano tuttora ala ricerca di una stabilità regionale che consenta loro di rifornire l’Europa del gas proveniente dal Medio oriente, sostituendo quello russo macchiato di sangue ucraino.

La questione del confine marittimo con Israele sarebbe forse una nuova carta a disposizione nel mazzo in mano all’Iran? La risposta sembra essere “sì”, ed è solo in questa prospettiva che si possono leggere alcune delle vicende dell’attualità libanese, fra le quali l’approssimarsi della scadenza del mandato presidenziale di Michel Aoun (31 ottobre 2022), principale alleato cristiano di Hezbollah, e mentre il premier Nagib Mikati è stato incaricato di formare un nuovo governo.

La Costituzione prevede che il successore del presidente Aoun debba essere eletto dal Parlamento durante il mese di settembre. I candidati papabili per la successione sono, al momento, il capo del Cpl Gebran Bassil, il leader di Zgharta Sleiman Frangié, quest’ultimo un filo-siriano e il comandante dell’esercito, Joseph Aoun (che non ha alcun legame di parentela con il presidente), considerata una candidatura di compromesso. Il leader delle forze libanesi, Samir Geagea, pur essendo un grande elettore, non è candidato perché il suo passato di miliziano glielo vieta.

Ovviamente, i rispettivi approcci alla scadenza presidenziale da parte del Capo di Stato e del primo ministro incaricato sono diametralmente opposti. Anticipando un’elezione presidenziale che percepisce come difficile, persino dominata dal caso, e per garantire l’ascesa al potere del genero Gebran Bassil, il presidente Aoun desidera formare un governo che sia rappresentativo di tutte le comunità. Ben sapendo che un simile esecutivo dovrà anche assumere le prerogative del capo dello Stato nel caso in cui si assista a una vacanza temporanea della funzione presidenziale.

Da parte sua, avendo in mano sia la carta della formazione del governo che la cura degli affari correnti, Mikati diffida di questo approccio del capo dello Stato e della prospettiva di un nuovo mandato di sei anni di egemonia di Hezbollah. Di conseguenza, propone una revisione limitata dell’attuale formazione e, in particolare, la sostituzione del ministro dell’Energia, Walid Fayad (vicino al Movimento patriottico libero del presidente Aoun), con l’uomo d’affari sunnita Walid Sinno, sapendo che il Fondo monetario internazionale (Fmi) chiede riforme strutturali - anche nel settore dell’elettricità - per aiutare il Libano a superare il suo collasso economico.

Nell’entourage di Mikati il timore, pur senza ammetterlo apertamente, è la ripetizione dello scenario che ha preceduto l’elezione del presidente Michel Aoun nel 2016. Una nomina preceduta da due anni e mezzo di vacanza della carica presidenziale, a causa della ripetuta mancanza di quorum causata dal tandem sciita e dal Cpl. Con l’attuale Parlamento, dove nessuna parte ha la maggioranza, la riproduzione di questo scenario è possibile, sapendo che in assenza di un consenso sul nome del capo dello Stato, il campo pro-Hezbollah potrebbe affossare tutte le sessioni elettorali del presidente a tempo indefinito, impedendo la presenza di una maggioranza alla Camera (65 deputati) e, di conseguenza, il raggiungimento del quorum. Al riguardo vale sapere che, per eleggere al primo turno il capo dello Stato, serve una maggioranza dei due terzi dei deputati. 

La vacanza della carica presidenziale è fonte di estrema preoccupazione anche nella sede patriarcale maronita. “Ci rifiutiamo - ha detto il 10 luglio scorso il primate card. Beshara Raï - come popolo libanese, di consentire che la scadenza presidenziale venga manipolata. Ci impegniamo a rispettare le scadenze costituzionali previste per queste elezioni, che devono tenersi in tempo”. Il porporato è persino andato oltre, mettendo in guardia contro qualsiasi tentazione che il presidente Aoun possa nutrire di essere confermato nella carica in caso di mancato consenso attorno al nome del successore, ipotesi peraltro già respinta dai collaboratori del capo dello Stato.

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