30/04/2021, 11.12
LIBANO - A. SAUDITA
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Captagon, l’embargo saudita mette in ginocchio l’agricoltura libanese

di Fady Noun

Pesa il mancato controllo alle frontiere con la Siria. I buchi nella rete dei controlli sfruttata da Hezbollah per i suoi traffici oltre confine. Il timore che il Libano possa diventare il crocevia del commercio di droga verso le nazioni del Golfo. Almeno 120 passaggi illegali alla frontiera siriana. Smerciare stupefacenti nel regno wahhabita è anche un “obiettivo politico”.

Beirut (AsiaNews) - La Bèkaa, piana centrale del Libano, si sta trasformando in un crocevia del traffico di droga verso i Paesi del Golfo? E' il timore espresso qualche giorno fa dal patriarca maronita, il card. Beshara Raï, quando è venuto a sapere che l’Arabia Saudita ha congelato le importazioni di frutta e verdura provenienti dal Libano, in seguito al rinvenimento di diversi milioni di pillole di captagon (psicotropo a base di anfetamina) nascosto con abilità all’interno di un carico di melograni provenienti via mare dal Libano. 

In un Libano che attraversa la peggiore crisi economica della propria storia, la decisione saudita rappresenta un colpo durissimo per gli agricoltori del Paese. Questo embargo, entrato in vigore il 25 aprile, finisce per piagare una economia già in grave difficoltà. Secondo le cifre pubblicate dal sindacato degli agricoltori, il Libano esporta tutti gli anni il 55,4% della propria produzione agricola verso le nazioni del Golfo. Il Paese ha esportato nel 2020 una cifra pari a 29,3 milioni di dollari in frutta e verdura verso l’Arabia Saudita, stando a quanto riferisce il sito delle dogane libanesi. 

La vicenda rilancia il dibattito sul contrabbando transfrontaliero che transita attraverso il Libano e la necessità di rafforzare i controlli. Il presidente della Repubblica Michel Aoun ha tenuto una riunione allargata il 26 aprile scorso al palazzo presidenziale di Baabda, durante il quale ha esortato l’Arabia Saudita a concedere una moratoria al Libano e a tornare sui propri passi. In cambio, egli si è impegnato in prima persona a rafforzare la lotta contro il commercio illegale. 

Tuttavia, in ambito politico regna lo scetticismo sulla capacità delle forze di sicurezza libanesi di controllare le frontiere. Secondo i primi elementi dell’inchiesta delle Dogane, rilanciati dal quotidiano libanese L’Orient-Le Jour, il cargo di melograni contraffatto e contenente captagon è stato introdotto in Libano dalla Siria, per poi ottenere un marchio di produzione libanese ed essere infine esportato verso il regno wahhabita. Ibrahim Tarchichi, presidente del sindacato contadini e agricoltori della Békaa, assicura che non è certo il Libano il produttore dei melograni. “Inoltre - spiega - non è certo la stagione dei melograni qui, senza contare che non è un frutto che noi esportiamo con regolarità”. Questi frutti sono stati importati in Libano mediante una società fittizia. E sono arrivati dalla Siria il 26 gennaio 2020, a bordo di camion “entrati attraverso il valico di frontiera di Masnaa”. 

Una rapida inchiesta ha stabilità che i frutti entrati in Libano sono stati immagazzinati in un deposito nella Békaa, prima di essere inviati al porto di Beirut. L’indagine, sostenuta dall’ufficio di intelligence delle forze di sicurezza interna, è sfociata nell’arresto di quattro persone legate alla fittizia compagnia che ha portato i frutti in Libano. Per gli inquirenti si tratta ora di sapere di quale complicità hanno beneficiato i trafficanti nell’ottenere il certificato di origine necessario per l’esportazione dei melograni, procedura che coinvolge i ministeri dell’Agricoltura e dell’Economia e la Camera di Commercio e industria della Bekaa.

Sul piano logistico, la scoperta di pillole di captagon tradisce la carenza delle verifiche che vengono compiute alle frontiere del Libano. Durante la riunione al palazzo presidenziale, il capo dello Stato ha protestato in modo energico contro il fatto che i confini del Paese siano in sostanza abbandonati a se stessi, mentre una legge per l’acquisto di scanner per il telerilevamento per il porto, sottoscritta ne luglio 2020, giace tuttora incompiuta. 

Anche dal punto di vista logistico, il Paese si batte sin dallo scoppio della crisi economica nell’ottobre 2019, contro la presenza di valichi illegali lungo i 375 chilometri di frontiera con la Siria. A livello ufficiale, vi sono cinque posti di confine fra le due nazioni, ma l’esercito libanese conta - in via ufficiosa - circa 120 valichi illegali, che vanno dalle mulattiere alle strade sterrate ma abbastanza grandi da consentire il passaggio di mezzi pesanti e veicoli. Prova ne è il fatto che il contrabbando di carburante fra i due Paesi è in pieno svolgimento. Nonostante l’installazione, con l’aiuto britannico, di torri di guardia lungo il confine, i militari non riescono a sigillare le frontiere, soprattutto perché Hezbollah ritiene anche alcuni generi di contrabbando con la siria siano in realtà un “atto di resistenza” per sfuggire al soffocamento sul piano economico delle sanzioni americane. Inoltre, in alcuni circoli politici si crede ancora alla “concomitanza” di destini fra la Siria e il Libano, una costante della dottrina del partito Baath, al potere in Siria.

Da ciò risulta evidente che, in un clima politico di questa natura, le autorità saudite sono più che scettiche in merito alla possibilità del Libano di estinguere un traffico contro il quale Riyadh ha messo in guardia sin dal 2011, quando una delegazione saudita è sbarcata in Libano per discutere della faccenda con le autorità locali. Per il deputato Assem Araji, presidente della commissione parlamentare Sanità, il caso è senza speranza. “Vengo dalla Bekaa, so di cosa parlo” afferma. “È una battaglia persa. Viviamo - aggiunge - in una casa senza porte e senza finestre. Le reti in atto sono più forti dello Stato, altrimenti come può un uomo arrestato per traffico di droga non scontare più di una settimana di prigione?”.

Per Marwan Hamadé, ex ministro e deputato dimissionario, il coinvolgimento degli alleati di Damasco nel Paese non è in dubbio. Fedele oppositore del regime siriano, ricorda che più volte nei casi di traffico di captagon nella regione i sospetti si sono concentrati sul Hezbollah, mentre l’embargo saudita può essere letto anche come monito rivolto al Paese dei cedri. “Il traffico di stupefacenti e droghe - ha spiegato - è diventato una delle principali fonti di reddito per il partito sciita, dal momento che l’Iran non può più permetterselo”. “Nel caso del traffico verso l’Arabia Saudita - prosegue Marwan Hamadé - questo è un obiettivo politico. Il traffico e l’esportazione verso destinazioni selezionate fa parte dell’offensiva generale di Hezbollah”. “I sauditi non si lamentano solo per il captagon, ma anche delle radio e dei televisori di Hezbollah che operano nella periferia meridionale di Beirut e che trasmettono attraverso satelliti russi in Yemen e Bahrain”. Egli mette infine in guardia il Paese contro il “progressivo isolamento del Libano dalla comunità internazionale”, nel caso in cui dovesse continuare a “ignorare la gravità della situazione”.

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