14/01/2021, 12.23
INDIA
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Cento giorni di ingiusta prigionia per p. Stan Swamy

di Cedric Prakash

Malato di Parkinson, è accusato di legami con la guerriglia maoista. Per un famoso giurista indiano, i tribunali del Paese mancano di umanità. Molti cittadini e la comunità internazionale si sono attivati per ottenerne la liberazione.

New Delhi (AsiaNews) – L’arresto e la prigionia di p. Stan Swamy violano i principi cardine della Costituzione indiana. È quanto afferma p. Cedrick Prakash, gesuita e attivista indiano. P. Swamy, un attivista pro-tribali, è stato arrestato l’8 ottobre per “terrorismo maoista”. Il sacerdote gesuita è da circa 50 anni impegnato a difendere i diritti forestali degli Adivasi nel Jharkhand. Dopo 100 giorni di prigionia egli è debole e malato, ma conserva la sua profonda spiritualità e positività. Di seguito il commento di p. Prakash (traduzione a cura di AsiaNews).

Domani saranno cento giorni da quando l’83enne padre gesuita Stan Swamy è stato preso in custodia dalla sua residenza a Ranchi (Jharkhand). Gli agenti  dell'Agenzia nazionale di intelligence (Nia)  l’hanno prelevato l’8 ottobre; da allora è rinchiuso nel carcere di Taloja, vicino a Mumbai (Maharashtra).

P. Stan è accusato di aver infranto l’Unlawful Activities Prevention Act (Uapa) per il suo presunto coinvolgimento negli incidenti di Bhima-Koregaon, scoppiati il primo gennaio 2018, e per i suoi supposti legami con gruppi armati maoisti. La verità è che egli non è mai stato a Bhima-Koregaon. Altri 15 attivisti per i diritti umani sono stati incarcerati per queste imputazioni fantasiose; alcuni di loro stanno languendo in prigione da più di due anni. I veri autori delle violenze sono stati liberati grazie ai loro stretti legami con il regime che oggi governa la nazione.

L’Uapa deve essere abolito immediatamente e senza condizioni. In un’intervista pubblicata il 25 novembre – vigilia del “Giorno della Costituzione” – su The Wire, l’ex presidente della Commissione legale A.P. Shah ha citato una sentenza della Corte suprema dell'aprile 2019. Essa riguarda il caso Zahoor Ahmad Shah Watali e dice “che un accusato deve rimanere in custodia per tutto il periodo del processo” se è perseguibile ai sensi dell'Uapa. Il verdetto stabilisce inoltre che “i tribunali devono presumere che ogni accusa fatta nell’atto di denuncia (Fir) sia corretta e che ricade sull’accusato l’onere di smentire le imputazioni”.

Questa decisione è una completa negazione dell’articolo 21 della Costituzione, che garantisce il diritto alla libertà personale. Per il giudice Shah, la cauzione è la regola e il carcere l’eccezione; a quanto pare, la Corte suprema ha fatto del carcere la regola e della cauzione l’eccezione. Secondo Shah, “sembra che viviamo in uno stato di emergenza non dichiarata”. Egli ha poi aggiunto che oggi “ai tribunali mancano l'umanità e la preoccupazione per i diritti umani fondamentali degli imputati”.

A questo proposito, Shah ha citato l’esempio di Varavara Rao e p. Swamy. Egli è rimasto stupito dal fatto che il tribunale della Nia abbia impiegato due settimane per decidere se al sacerdote poteva essere concessa una cannuccia per bere e alimentarsi: sono dichiarazioni molto forti da parte di uno dei più noti giuristi del Paese.

Per mettere le cose in prospettiva, lo scorso 26 novembre il ricorso presentato a un tribunale speciale dai legali di p. Swamy per fargli avere una cannuccia è stato rinviato al 4 dicembre: egli ne ha bisogno come paziente affetto dal morbo di Parkinson. La Nia ha risposto che non può restituire un tale effetto personale perché non lo ha mai confiscato.

P. Stan ha ricevuto poi la cannuccia; però il 14 dicembre la sua richiesta di cauzione è stata respinta ancora una volta dalla Nia. Il 12 gennaio è iniziata un’altra udienza con la presentazione delle argomentazioni di entrambe le parti. Il dibattito processuale dovrebbe andare avanti ancora per qualche giorno: Nessuno può sapere se p. Stan otterrà il rilascio!

Oltre che per la sua età, p. Stan è anche debole a causa di alcuni problemi fisici. Egli però non si lamenta, e conserva la sua profonda spiritualità e positività. Le sue comunicazioni con il mondo esterno sono regolate e monitorate; ognuna di esse è molto motivante. Poco prima di Natale ha scritto una poesia molto toccante. Un estratto di essa recita:

La vita in prigione, un grande livellatore

All’interno degli spaventosi cancelli del carcere

Tutti gli averi personali sono portati via

Ma per lo stretto necessario

Il “tu” viene prima di tutto

L'io viene dopo

"Noi" è l'aria che si respira

Niente è mio

Niente è tuo

Tutto è nostro

Nessun avanzo di cibo è buttato via

Tutto condiviso con gli uccelli del cielo!

Nel frattempo, migliaia di cittadini di tutti i ceti sociali e da tutto il mondo hanno condannato con forza l'arresto illegale di p. Stan, chiedendone l’immediata liberazione. In una lettera del 18 dicembre, indirizzata al premier Narendra Modi, più di 20 parlamentari europei scrivono: “I sottoscritti, membri del Parlamento dell’Unione europea, desiderano esprimere la loro profonda preoccupazione per la detenzione e l'incarcerazione di 16 difensori dei diritti umani in relazione ai fatti di Bhima-Koregoan. Desideriamo attirare l'attenzione in particolare sul sacerdote gesuita p. Stan Swamy. Egli ha sempre lavorato nel quadro della Costituzione indiana e dei processi democratici. P. Swamy ha 83 anni ed è affetto dal morbo di Parkinson Si trova quindi in uno stato fisico vulnerabile; soprattutto a causa della sua età avanzata, egli necessita di osservazione medica e di una dieta speciale. La prigionia ha compromesso senza dubbio la sua salute nell'ultimo mese e mezzo. Siamo profondamente preoccupati per la sua condizione fisica e il suo benessere nel pieno della pandemia da Covid-19, e vi esortiamo a rilasciarlo immediatamente per motivi umanitari”.

Di recente un team di alto livello delle Nazioni Unite in tema di protezione dei diritti umani, che comprende il Gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria, il Relatore speciale sulla situazione dei difensori dei diritti umani e il Relatore speciale sulle questioni delle minoranze, ha reso pubblica una lettera scritta al governo indiano. Nella missiva, il team Onu esprime preoccupazione per la “presunta detenzione arbitraria del difensore dei diritti umani Stan Swamy”.

La lettera, inviata al governo indiano il 3 novembre, è stata resa pubblica perché le autorità di Delhi non hanno risposto entro il termine previsto di 60 giorni. I rappresentanti Onu hanno chiesto all’esecutivo di “fornire informazioni sulla base fattuale e giuridica dell'arresto di p. Swamy”. Essi hanno richiesto poi notizie sulle misure intraprese per “garantire che i difensori dei diritti umani, soprattutto quelli che lavorano per la protezione e la promozione dei diritti delle persone appartenenti a minoranze, dalit o tribù riconosciute in India, siano in grado di svolgere il loro legittimo lavoro in un ambiente sicuro e favorevole, senza il timore di azioni penali, intimidazioni, molestie e violenze, nel pieno rispetto dei loro diritti civili e politici, tenendo conto anche dell’attuale emergenza sanitaria”.

Nel frattempo una petizione online indirizzata all'Alto Commissariato Onu per i diritti umani, con la quale si chiede il rilascio di p. Stan, ha raccolto migliaia di firme in tutto il mondo. Il 15 gennaio, centesimo giorno di prigionia di P. Stan, sono in programma diverse iniziative sul web. Una di queste è organizzata dall’Unione popolare per le libertà civili e dai gesuiti, che stanno conducendo una campagna per il rilascio del sacerdote insieme a diverse altre importanti reti e piattaforme per i diritti umani. Il programma si concentrerà sul “volto brutale dello Stato indiano”. Ci sarà anche l’intervento di Mary Lawlor, relatrice speciale dell’Onu sulla situazione dei difensori dei diritti umani.

La prigione non è una reggia. Una cosa però è chiara: di fronte alle crescenti violazioni dei diritti umani e alla sistematica distruzione dei principi democratici, grazie a Padre Stan e agli altri che languono in carcere, vi è oggi un maggiore risveglio tra noi, popolo dell'India. L’appello è quindi quello di agire insieme, in modo rapido e con uno scopo comune, prima che tutto sia perduto per tutti e per sempre!

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