08/02/2013, 00.00
CINA
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Cina, il divario sociale fa paura al governo: più tasse per ricchi e stranieri

Per salvare il fondo pensionistico e calmare le tensioni sociali, il Consiglio di Stato riforma la tassazione interna. Dopo 19 anni viene eliminata l’esenzione a favore delle imprese e dei singoli lavoratori stranieri in Cina. Colpiti anche i colossi dell’industria statale, che vedono aumentare il cuneo fiscale del 5%. Analisti concordi: sono buone idee, vedremo se saranno applicate.

Pechino (AsiaNews) - Dopo 19 anni, il governo cinese ha intenzione di eliminare la politica fiscale "di favore" che ha praticato sino a ora nei confronti degli investitori stranieri. Secondo analisti politici ed economici, la decisione dimostra la volontà del nuovo esecutivo di migliorare il sistema pensionistico interno e soprattutto indica la crescita del settore investimenti interno al Paese. Nel frattempo il Consiglio di Stato si prepara a varare una riforma dei salari per cercare di colmare l'enorme divario fra ricchi e poveri.

Lanciata nel 1994, la politica fiscale per gli stranieri prevedeva un'esenzione dal pagamento delle tasse del 20 % sul reddito da dividendi sul capitale in imprese finanziate dall'estero, prelievo imposto invece a tutti i cittadini cinesi. Combinata con gli incentivi nei confronti dei capitali stranieri, questo "sconto" ha attirato in Cina un buon numero non solo di industriali ma anche di tecnici specializzati e insegnanti, che hanno contribuito a migliorare il know-how interno.

Secondo fonti di Pechino, l'eliminazione del privilegio andrà tutta a favore del sistema pensionistico e previdenziale interno. Grazie agli orrori della legge sul figlio unico, infatti, la popolazione cinese sta invecchiando a grandi ritmi e non ci sono abbastanza tasse per coprire le necessità nazionali. Liu Tianyong, direttore dello studio legale Hwuason Lawyers della capitale, è d'accordo con il governo: "Quella pratica non ha più senso, anche perché si è moltiplicato il trasferimento dei capitali privati all'estero".

La novità è contenuta in un pacchetto di riforme approvato lo scorso 5 gennaio dal Consiglio di Stato. Si tratta di 35 misure ideate con lo scopo di bilanciare il sistema di distribuzione della ricchezza sul territorio nazionale, che in questi giorni stanno vedendo la luce dopo la revisione del Politburo, il massimo organo politico della Cina comunista. Il pacchetto sarebbe stato voluto dal nuovo leader Xi Jinping, che entra in carica il prossimo marzo.

Fra le prime misure approvate, oltre alla revisione delle politiche fiscali per gli stranieri, c'è la nuova politica salariale. Secondo il testo le paghe medie sul territorio nazionale "saranno alzate" e le imprese di proprietà dello Stato dovranno "rinunciare a una fetta maggiore dei propri profitti". La riforma era stata preparata circa 8 anni fa ma ha subito enormi ostacoli interni e almeno 12 revisioni ufficiali. Tuttavia, temendo l'aumento del malcontento sociale, il premier dimissionario Wen Jiabao ne ha imposto la discussione e l'approvazione.

Nel testo si legge che le aziende statali - colossi controllati del tutto dal Partito comunista - dovranno cedere il 5% in più dei propri profitti alle casse nazionali. Questo aumento, quantificabile in centinaia di milioni di euro, sarà destinato all'aumento dei salari e al fondo pensionistico. Li Shi, professore alla Normale di Pechino, commenta: "L'idea e l'obiettivo sono buoni. Resta da vedere come metteranno in pratica le nuove norme".

 

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