02/01/2023, 12.19
SIRIA-TURCHIA
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Conflitto siriano: nel 2022 circa 3.800 morti, il più basso dal suo inizio

É quanto emerge dal rapporto elaborato dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, per un totale in oltre un decennio di quasi mezzo milione di vittime. Almeno 1.627 civili, di cui 321 bambini e 209 deceduti per mine anti-uomo o bombe inesplose. Per il direttore Rami Abdel Rahman sono legate al “caos” e alla “mancanza di sicurezza”. 

Damasco (AsiaNews) - In Siria nel 2022 sono morte almeno 3.825 persone a causa del conflitto civile, un numero che - seppur consistente - rappresenta il dato più basso dalle prime rivolte legate alla Primavera araba nel marzo 2011, sfociate poi in una guerra per procura fra potenze regionali e globali. É quanto emerge dal rapporto elaborato dagli esperti dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, una ong con base nel Regno Unito e una fitta rete di informatori sul territorio, fra le fonti più rilanciate in questi anni di violenze nel Paese arabo. In oltre un decennio sono morte quasi mezzo milione di persone, la guerra ha affossato l’economia e distrutto buona parte delle infrastrutture. 

Secondo l’Osservatorio, il bilancio è diminuito dalla cessazione delle principali operazioni militari da parte delle forze di Damasco, sostenute dalla Russia con raid aerei e attacchi a tappeto contro milizie ribelli e gruppi jihadisti. Il progressivo disimpegno di Mosca - almeno sul piano militare - è legato alla guerra lanciata dal Cremlino nel febbraio scorso in Ucraina, e che sembra destinata a proseguire. In parallelo, nelle ultime settimane si sono intensificate le relazioni diplomatiche fra Siria e Turchia, con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan pronto a lanciare una offensiva nel nord da un lato e, dall’altro, a raggiungere un’intesa con l’omologo siriano Bashar al-Assad. 

Fra le vittime del 2022 si contano 1.627 civili, di cui 321 bambini. Almeno 209 morti, la metà delle quali minori, sono legate a mine-antiuomo nel sottosuolo o residuati bellici inesplosi e abbandonati sul terreno. A questi si aggiungono i 627 decessi fra militari siriani e 217 combattenti di milizie fedeli a Damasco. L’Osservatorio conta 562 combattenti dello Stato islamico uccisi, 387 delle Forze democratiche siriane e affiliati, oltre a 240 combattenti di altre fazioni di opposizione. L’anno più sanguinoso resta il 2014, con almeno 111mila morti. L’intensità dei combattimenti è gradualmente diminuita negli ultimi due anni in diverse aree, soprattutto nella provincia di Idlib (nord-ovest), dove Hayat Tahrir al-Sham (ex Jabhat al-Nusra) controlla circa metà del territorio e ha sottoscritto un cessate il fuoco, che regge a fronte di occasionali focolai di violenze.

Il direttore dell’Osservatorio Rami Abdel Rahman sottolinea che buona parte delle morti è legata al “caos” e alla “mancanza di sicurezza” che si registrano ancora nel Paese. A questi si sommano le decine di raid da parte di Israele e gli attacchi dello Stato islamico (SI, ex Isis), ancora attivo sul territorio con piccole cellule o lupi solitari nel deserto siriano. Grandi aree, tra cui le pianure agricole e i pozzi di petrolio e gas sono ancora al di fuori del controllo del governo, in particolare il settore curdo nel nord-est, le aree attorno a Idlib e la zona cuscinetto controllata da Ankara nel nord.

I numeri in costante calo vengono interpretati in modo positivo da alcuni governi, che considerano il Paese pacificato e sicuro, tanto da permettere il rientro dei milioni di profughi e rifugiati che lo hanno abbandonato negli anni più bui. In realtà ong e attivisti pro-diritti umani smentiscono con forza tali affermazioni, sottolineando che la situazione sul terreno non permette il ritorno di persone già in condizioni di estrema difficoltà. Fra gli elementi critici la detenzione, le sparizioni forzate e le violenze contro ex ribelli e oppositori che decidono di rientrare contando su una apparente “riconciliazione”. Negli ultimi anni più ancora delle armi sono state le sanzioni internazionali e il Caesar Act imposto dagli Stati Uniti a colpire la popolazione, vittima di punizioni collettive ingiuste e di “sofferenze senza fine” che hanno fatto esplodere la “bomba della povertà”.

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