17/07/2025, 13.18
BANGLADESH
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Dhaka: quattro morti nelle proteste giovanili, ma la violenza dilaga oltre la politica

di Sumon Corraya

Durante una manifestazione del partito di giovani studenti che ha cacciato l'ex premier Hasina, almeno quattro persone sono state uccise. L’episodio si inserisce in un contesto di crescente violenza collettiva che negli ultimi dieci mesi ha causato oltre 140 vittime. Le minoranze religiose e i difensori dei diritti umani denunciano un clima di terrore e sollecitano elezioni rapide per superare le fragilità dell'attuale governo tecnico.

Dhaka (AsiaNews) - Almeno quattro persone nella città meridionale di Gopalganj sono rimaste uccise ieri durante una manifestazione del National Citizen Party (NCP), partito creato dagli studenti che lo scorso anno hanno costretto l’ex prima ministra Sheikh Hasina alle dimissioni e alla fuga in India. Secondo quanto riferito dai media locali, l’attacco ha coinvolto giornalisti, forze dell’ordine e membri del partito. Il quotidiano Prothom Alo parla di almeno nove feriti, mentre le autorità hanno imposto il coprifuoco. L’Awami League, il partito dell’ex premier Hasina, ha reso noto su Facebook che uno dei suoi membri è stato ucciso da colpi d’arma da fuoco sparati dai militari. 

“Impedire ai giovani cittadini di tenere pacificamente un raduno per commemorare il primo anniversario del loro movimento rivoluzionario è una vergognosa violazione dei loro diritti fondamentali”, ha dichiarato in un post su X Muhammad Yunus, capo di governo ad interim, riferendodi all’ala giovanile dell’Awami League come responsabile delle violenze. Yunus, già premio Nobel per la Pace, ha assunto l’incarico su richiesta degli studenti universitari del Bangladesh dopo la cacciata di Hasina. 

Non si tratta, tuttavia, di un caso di violenza isolato. Negli ultimi dieci mesi episodi di giustizia sommaria hanno provocato 140 morti. Si tratta di un’escalation che si è intensificata dopo le controverse elezioni di gennaio 2024, quando venne rieletta Sheikh Hasina in seguito al boicottaggio dell’opposizione, già duramente repressa dal governo. La situazione sta generando preoccupazione anche tra le comunità religiose minoritarie, inclusi i cristiani, e i difensori dei diritti umani. 

L’ultimo episodio di violenza risale al 9 luglio, quando Lal Chand, commerciante di rottami di 39 anni, è stato brutalmente ucciso fuori dall’ospedale Mitford di Dhaka. I video di sorveglianza mostrano che un gruppo lo ha attirato con un pretesto, poi lo ha pestato con mattoni e pietre fino a schiacciargli il cranio e il corpo. Le indagini hanno collegato gli aggressori alla Jubo Dal, ala giovanile del partito d’opposizione Bangladesh Nationalist Party (BNP), che ha poi espulso i responsabili. Pochi giorni dopo, un ex leader della stessa Jubo Dal è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco in un presunto atto di vendetta.

Nell’ultimo anno sono stati uccisi anche oltre cento leader e attivisti dell’Awami League. I gruppi di opposizione accusano invece il governo di sequestri forzati, sparizioni e omicidi extragiudiziali.

Si tratta di una crisi legata a doppio filo ai problemi del sistema giudiziario. Tra la popolazione si è diffuso un sentimento di frustrazione in seguito a episodi di criminali che sfuggono alle condanne oppure di uccisori che ottengono facilmente la libertà su cauzione. “Questi episodi sono il risultato diretto di un fallimento nella governance”, ha commentato Rebecca Gomes, avvocata cattolica e vicepresidente della Bangladesh Christian Lawyers Association. “La gente è accecata dalla vendetta perché non vede alternative”.

Molti criticano anche il silenzio delle figure di spicco della società civile, incluso lo stesso Yunus, accusato di non fare abbastanza per guidare un processo di riconciliazione. “Il governo deve fermare immediatamente la violenza delle folle e ristabilire l’autorità della polizia. Con un’amministrazione ad interim in carica, sono fondamentali elezioni rapide per riportare al governo un’autorità stabile ed esperta,” ha aggiunto Gomes.

Intanto le violenze hanno superato l’ambito politico e i bersagli della violenza collettiva includono ormai anche persone prese di mira per motivi religiosi o persino abitudini personali. Il 28 febbraio scorso, per esempio, due giovani donne sono state assalite a Dhaka per aver fumato una sigaretta. Lo scorso mese un insegnante cattolico è stato pestato brutalmente dopo essere stato falsamente accusato di aver insultato il profeta Muhammad. Gli estremisti lo hanno umiliato pubblicamente, “incoronato” con scarpe e preso a calci e pugni. La polizia è intervenuta, ma invece di proteggerlo lo ha arrestato.

“Ho paura anche solo a uscire di casa”, ha raccontato una donna cattolica che lavora in una ONG, intervistata in forma anonima. “Mi insultano per come mi vesto, mi sputano addosso se porto una camicia. Devo scappare per evitare di essere aggredita”.

Syeda Rizwana Hasan, consigliera del governo ad interim, il 12 luglio, durante un evento pubblico a Savar, alla periferia di Dhaka, ha dichiarato: “Il governo non tollera la giustizia sommaria in nessuna forma. Ogni volta che si verifica un episodio del genere, i colpevoli vengono arrestati. Nessuno è sfuggito alla giustizia”.

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