15/11/2023, 10.30
INDIA
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Donne discriminate nella donazione di organi, vittime di ‘pressioni e coercizioni’

di Nirmala Carvalho

Nel conto dei dati su chi ha ricevuto un trapianto in India uno squilibrio di quattro uomini per ogni donna. Nei maschi più donazioni da persone decedute, nelle donne più frequente la donazione da viventi. Sulle donne maggiori “pressioni” per “sacrificarsi” a favore di mariti, figli, fratelli. Medico indiano: vi sono alla base “norme culturali e sociali” legate alla “mentalità patriarcale della nostra società”. 

Delhi (AsiaNews) - In India le donne sono discriminate anche sul piano della donazione degli organi. Questo è quanto emerge in un rapporto pubblicato da The Times of India (Toi), basato sui dati raccolti in materia di trapianti fra il 1995 e il 2021. In particolare, dei 36.640 interventi effettuati nel Paese, circa 29mila hanno riguardato uomini e “solo” 6.945 donne. In particolare, spiegano gli autori dell’inchiesta, nel sesso maschile vi è una maggiore disponibilità in termini di donatori da persone decedute, in un continente in cui la pratica ha faticato a decollare, alimentando il ricorso al mercato nero e al traffico di organi. Di contro, fra le donne è più frequente la donazione da viventi. In termini assoluti, per ogni donna che ha ricevuto un trapianto di organi vi è un corrispettivo di quattro uomini.

Un documento pubblicato nel 2021 sulla rivista Experimental and Clinical Transplantation Journal ha analizzato i trapianti di organi nel 2019. Lo studio ha mostrato che l’80% dei donatori di organi viventi sono donne, principalmente la moglie o la madre, mentre l’80% dei riceventi sono uomini. Sul fatto che le donne abbiano maggiori probabilità di essere donatori di organi da viventi, una ragione potrebbe essere legata alle maggiori “pressioni” che subiscono per “sacrificarsi” e donare una parte del corpo per salvare marito, figli o fratelli, mostrando maggiore vulnerabilità.

Interpellato da AsiaNews Pascoal Carvalho, medico indiano e membro della Pontificia accademia per la vita, sottolinea che “la disparità di genere nella donazione di organi è una realtà non solo in India, ma in tutto il mondo, come indicano studi ed esperti”. “Le norme culturali e sociali - prosegue - spesso considerano le donne come assistenti e nutrici, fatto attribuibile alla mentalità patriarcale della nostra società”. “Dobbiamo scoprire - conclude - le ragioni dello squilibrio di genere esistente e verificarlo per questioni di equità e di pressioni e coercizioni indebite sulle donne per la donazione di organi”. 

In passato la Chiesa indiana si è spesa con forza per promuovere la donazione di organi, in una nazione - e più in generale un continente - in cui vi era in passato, e tuttora in molti settori, una forte reticenza a sostenere la pratica. Nel 2016 decine di suore indiane di diverse congregazioni si erano impegnate a donare le cornee alla morte, nell’ambito di un programma promosso dai padri clarettiani dell’Indian Institute of Spirituality di Bangalore. L’iniziativa si intitolava “The Project Vision” ed era volta a sensibilizzare la popolazione sul tema dei malati con problemi di vista, in una nazione in cui risiede un terzo delle persone non vedenti al mondo.

La donazione degli occhi non è molto diffusa in India. Ogni anno 140mila persone avrebbero bisogno di un trapianto di cornea, ma il numero di donatori non supera i 40mila. Questo vuol dire che 100mila malati vengono inseriti nelle liste di attesa. In precedenza era stato sacerdote indiano, p. Jerry Rosario, professore di teologia e attivista sociale del Tamil Nadu (India del sud), ad aver fondato un movimento chiamato Dhanam (donare) per sensibilizzare il Paese sulla donazione di sangue e di organi, regolata a livello legislativo da una norma quadro del 1994. 

Le popolazioni asiatiche sono, in genere, restie a donare gli organi sebbene vi sia un mondo sommerso basato sul traffico di organi venduti per denaro spinti dalla povertà o, come avvenuto a lungo in Cina, prelevati a forza dai carcerati e, in particolare, dai condannati alla pena capitale. Nel 2006 alti funzionari di governo avevano “ammesso” che i detenuti nel braccio della morte sono “la base” del traffico di organi, pur rivendicato un codice “etico” nell’uso. 

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