21/08/2023, 10.45
TURCHIA - SIRIA
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Emarginazione e odio: rifugiati siriani, ‘vittime invisibili’ del sisma in Turchia

Uno studio intitolato “Migranti e terremoto” evidenzia le criticità di una fetta consistente della popolazione colpita dal sisma ma ai margini della catena di aiuti. Ancora oggi vi è profonda incertezza sul numero reale dei morti. Ankara vuole rimpatriarne almeno un milione su 3,5 milioni. L’abbandono scolastico fra i bambini finirà per alimentare il lavoro minorile. 

Istanbul (AsiaNews) - “Ci hanno accusato di infastidire le persone, ma da queste parti non si vede nessuno”. Sheikh Ahmad Al Ahmad, esperto islamico e responsabile di un polveroso centro per profughi siriani nel sud-ovest della Turchia, racconta il dramma delle numerose famiglie ospiti da mesi al suo interno perché costrette ad abbandonare le case in seguito al devastante terremoto del 6 febbraio. In seguito alla denuncia, la polizia è intervenuta per distruggere parte delle tende in cui vivevano i rifugiati. “Siamo a corto di donatori” aggiunge, e presto non rimarranno cibo o generi di prima necessità per la loro sopravvivenza. Una testimonianza, fra le tante, raccolte da The National e che conferma il clima di xenofobia e odio verso i 3,5 milioni di rifugiati siriani in Turchia, alimentato dalle stesse autorità che vogliono cacciarne almeno un milione.

I rifugiati, soprattutto siriani, sono considerati gli “invisibili” della catastrofe, il “capro espiatorio” delle criticità - soprattutto economiche e sociali - che caratterizzano il Paese in questo periodo storico. L’anello debole di una catena di vessazioni e sfruttamento a livello lavorativo, con stipendi più bassi e condizioni - in alcuni casi - che sfiorano la schiavitù, sommati a un costo della vita aumentato a dismisura a causa della svalutazione della moneta locale. La loro situazione, a oltre sei mesi dal devastante terremoto, si fa sempre più drammatica e a poco sono servite, sinora, le denunce di associazioni o gruppi attivisti. La conferma arriva da uno studio in tre parti curato dalla professoressa Didem Danış, presidentessa e fondatrice della Migration Research Association (Gar), intitolato “Migranti e terremoto”, che mostra un quadro allarmante. 

Sono “le vittime invisibili della catastrofe” spiega Danış, docente alla Galatasaray University, una delle più autorevoli di Istanbul, cuore economico e commerciale della Turchia. Ve ne sono almeno 1,7 milioni nelle zone colpite dal sisma, soprattutto fra i siriani in fuga dalla guerra e che beneficiano di una protezione temporanea, cui si sommano rifugiati ed espatriati per questioni economiche provenienti da altri Paesi. “Circa il 12% della popolazione affetta a vario titolo dal terremoto - spiega al sito turco Bianet - è composta da migranti”. 

Le vittime ufficiali secondo il ministero turco degli Interni sono almeno 7300, tuttavia vi è profonda incertezza - se non sfiducia - attorno ai numeri come avvenuto già nelle fasi più cruente della pandemia di Covid-19 in cui i morti fra migranti, rifugiati e stranieri erano sottostimati. Ad amplificare la portata dei decessi vi è anche il fatto che questa fetta della popolazione viveva in appartamenti e case disastrati, in sottoscala o nei sotterranei, privi di ogni via di fuga e salvezza quando sono iniziate le prime scosse. 

In questi mesi alla tragedia in termini di perdite di vite umane si somma un clima di emarginazione e di aperta ostilità. “Subito dopo il terremoto - spiega l’esperta - sono stati accusati di saccheggio e furto. Sono stati oggetto di parole e discorsi di odio”. Una situazione di criticità che ha spinto molti a partire, verso un nuovo esodo in un quadro di profonda incertezza e criticità, anche perché il governo e le agenzie internazionali li hanno di fatto relegati ai margini della catena di aiuti. “In definitiva, si sono trovati - prosegue - tra due fuochi: rimanere nella zona terremotata, impossibilitati a trovare nuovi alloggi o risorse per soddisfare i bisogni quotidiani, o partire e trasferirsi in altre province, o all’estero, con la prospettiva di un futuro ancor più incerto”. 

Oltre ai problemi abitativi, alimentari, di risorse e lavoro, i più giovani hanno dovuto in molti casi interrompere gli studi. “Le famiglie di migranti che hanno lasciato la zona del terremoto - spiega la fondatrice Gar - hanno incontrato notevoli difficoltà nell’iscrivere i figli alle scuole delle città in cui si sono trasferiti. I bambini sono stati esclusi dal sistema educativo e ciò porterà a un aumento del tasso di abbandono scolastico e del numero di bambini lavoratori”. Distacco emotivo, ansia, indigenza ed emarginazione, prospettiva di rimpatrio, la sensazione di essere davvero “indesiderati” in una nazione che non è più disposta ad ospitarli in nome della politica “nazionalismo e islam” voluta dal presidente Recep Tayyip Erdogan e che aveva spinto Ankara ad accoglierne in gran numero in passato. Il processo di integrazione, conclude l’esperta, sembra essere fallito, sostituito da odio e discriminazione come emerso nell’ultima campagna elettorale, in cui uno degli slogan e delle politiche più gettonate era proprio quella di rimandarli “a casa”. 

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