01/05/2018, 09.58
INDIA
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Esperto: lo spauracchio dell’infiltrazione cristiana in India è una ‘bufala politica’

di Deep K Datta-Ray

L’avversione nei confronti dei missionari stranieri deriva da come gli indiani hanno percepito la colonizzazione europea. Gli appelli a “riformare” le tradizioni indiane per reinventare se stessi. E' diffusa l'idea che l’Occidente è il leader della scienza solo perché “ha rubato la scienza indiana”. “I cristiani occidentali hanno rubato l’eredità dell’India e l’hanno messa a repentaglio per rendere gli scienziati occidentali più forti di tutti gli altri”.

New Delhi (AsiaNews) – Uno “spauracchio antichissimo” che deve le sue origini “a come gli indiani hanno scelto di comprende il colonialismo europeo”. È come il prof. Deep K Datta-Ray descrive la rinascita dell’antica avversione nei confronti dei cristiani. L’argomento è tornato al centro del dibattito la scorsa settimana, quando Bharat Singh, personaggio di spicco del partito nazionalista indù Bharatiya Janata Party (Bjp), ha accusato i missionari di essere una “minaccia per la democrazia e l’unità” del Paese e il Congress Party di operare alle loro dipendenze. Secondo l’esperto, la convinzione del politico deriva dalle origini italiane – e quindi si presume cristiane – di Sonia Gandhi, ex presidente del Congress. A loro volta, i missionari cristiani pagano lo scotto di essere i discendenti dei colonizzatori europei, da cui gli indiani tentano di prendere le distanze rileggendo la storia del periodo coloniale. Di seguito il suo commento (traduzione a cura di AsiaNews).

È risorto l’antichissimo spauracchio dell’infiltrazione cristiana nel cuore dell’India al fine di indebolirla. Significativo non è il risveglio di quella che ora è un’inflazionata bufala politica, ma il fatto che sia un leitmotiv della politica indiana. Ciò segnala un malessere insidiosamente invidioso che ha privato il corpo politico indiano della sua immaginazione politica verso ciò che è possibile. Tutto questo è aggravato dalla simultanea limitazione del futuro per più di un miliardo di persone verso la storia dell’Occidente comprendendolo in un modo che era l’Occidente di una volta, ma che da lungo tempo esso ha scartato.

Al cuore di questo attacco a bastonate verso i cristiani vi è un parlamentare del partito di governo Bjp che afferma che “i missionari cristiani controllano il partito d’opposizione Congress”. La certezza del parlamentare deriva non da prove empiriche, anche perché non esiste uno straccio [di prova], ma trae sostegno dalle origini italiane – e presunte cristiane – di Sonia Gandhi. [Ella] è presentata come se dominasse ancora la sua creatura, il partito del Congress che lei ha guidato per quasi 20 anni, e suo figlio Rahul Gandhi, attuale leader del Congress. Tutto questo nonostante Sonia abbia sposato un indiano, sia divenuta cittadina indiana e viva in India da decenni. Non solo il legame è il più tenue [che ci possa essere], ma è anche minato dal concetto su cui poggia. E cioè che gli esseri umani sono incapaci di cambiare, intrappolati per sempre nelle proprie origini. Persino un’occhiata veloce alla vita di tutti i giorni respinge questa nozione difettosa che alla fine ci nega la capacità di crescita personale generata dall’esperienza.

Nonostante queste ovvie assurdità, il concetto persiste e domina i circuiti intellettuali di una porzione significativa dell’India di oggi. La tenacia del concetto rende opportuno tracciarne le origini e i contorni, una necessità tanto più acuta dopo l’ondata di violenze che è sempre stata parte dell’India, ma che è cresciuta da quando il Bjp è salito al potere nel 2015.

Tale  concetto nasce dalla mentalità con cui gli indiani scelgono di comprendere il colonialismo europeo. Invece di vedere i colonizzatori europei come coloro che hanno solo rimpiazzato una serie di leader imperfetti con altrettanti leader imperfetti, gli indiani lo hanno interiorizzato come un incontro profondamente umiliante. Il primo passo per affrontare il dolore è stata una eviscerazione di sé, iniziata alla fine del 1800, in cui la comprensione era che l’India aveva fallito nel resistere alla carica del colonialismo. Da qui gli appelli, diffusi nei primi anni del 1900, a “riformare” le tradizioni intellettuali indiane, almeno quelle che non sono state subito rigettate. Gli indiani erano convinti che il vuoto che ne fosse derivato avrebbe permesso la reinvenzione di se stessi. Naturalmente il modello di questo nuovo indiano doveva essere la supposta vittoriosa mentalità occidentale del tempo, e ciò che ora sappiamo è una visione binaria e delusa del mondo dove l’Occidente è buono, e il resto è sbagliato. Sottolineare questa convinzione è il tabù della conoscenza scientifica, compresa come nata dal passato cristiano dell’Occidente e fatta per l’idea del progresso scientifico. In breve, tutto ciò che era buono per l’Occidente era sinonimo di scienza e perciò l’unica speranza che gli indiani avevano di sopravvivere era progredire – vale a dire, occidentalizzarsi.

Una volta adattata, la mentalità ha preso vita da sé. Il motivo era la contraddizione di persone di colore che tentavano di interiorizzare una mentalità che li vedeva come inferiori. Gli indiani continuano a lottare con tale paradosso. Lo mostrano gli immigrati indiani in Occidente. Dipesh Chakrabarty e Sumit Ganguly, lottano per reinventare se stessi come occidentali, e si sforzano di comprendere gli indiani affermando che essi sono occidentali fin dall’inizio. Ovviamente nessuna delle ipotesi funziona, se non altro perché la realtà indiana contraddice entrambe. Ad ogni modo, la via di Ganguly è popolare nella terra che egli si è lasciato alle spalle e lo strumento è rigettare la storia occidentale nella sua mentalità nel tentativo di rivendicare i suoi frutti scientifici come indiani. Notate per esempio come il primo ministro Narendra Modi cita personaggi mitologici come prova che gli indiani hanno inventato la genetica migliaia di anni fa. Eppure, rimane l’inconveniente che se anche l’India abbia inventato la scienza, la sua roccaforte è l’Occidente.

Gestire tutto questo richiede un’ulteriore ginnastica mentale, ma i suoi contorni sono limitati dal fatto che gli indiani si sono già occidentalizzati fino a credere in modo binario. È necessario perciò ribaltare le idee coloniali dell’Occidente come superiore. Ad aiutare è l’invenzione dell’India come scientifica dal punto di vista storico, il che significa che l’India è buona. Ovviamente in tal caso significa che l’Occidente non lo è, e perciò l’unica spiegazione del perché oggi è il leader della scienza, è perché esso [l’Occidente] ha rubato la scienza indiana e minato la politica che l’ha generata.

È in questo frangente che riappare il cristianesimo, perché l’Occidente era, se non lo è ancora, cristiano. La violenza e le dichiarazioni offensive dirette contro i cristiani sono un prodotto del binarismo che gli indiani hanno appreso dall’Occidente colonizzatore. A questi è imputata l’idea che i cristiani occidentali hanno rubato l’eredità dell’India e l’hanno messa a repentaglio per rendere gli scienziati occidentali più forti di tutti gli altri. Alla radice di tutto ciò vi è il fallimento degli indiani nel trattare con il proprio passato coloniale. Una via d’uscita si è presentata inavvertitamente ad Hanoi.

In una galleria si festeggiava quello che i vietnamiti chiamano il “Dien Bien Phu dell’aria” con quadri di piloti, ingegneri dell’aviazione e soldati. Nel Natale del 1972 gli Stati Uniti avevano lanciato una massiccia campagna aerea contro Hanoi, ma le perdite americane furono così ingenti che la battaglia fu affidata ai negoziati di Parigi dell’anno successivo, che alla fine portarono alla ritirata degli Usa. L’episodio mi è stato raccontato da un loquace, gruppo di uomini anziani e grassi e donne che, al centro della galleria, stavano banchettando. Senza dubbio la loro loquacità era aiutata dal mucchio di bottiglie di vino vuote, il che ha suscitato in me una domanda che la mia guida ha rivolto loro in maniera esitante: “Gli americani non erano molto diversi dai francesi, dato il nome che voi avete dato alla battaglia. Ma non è strano che celebriate la vostra vittoria con del vino francese?”. Ci fu una pausa, fino a quando uno degli uomini esplose: “È stata una grande battaglia, una battaglia degna delle migliori celebrazioni. Cosa pretendi, che la celebriamo con del vino cinese?!”.

Diversamente dagli indiani, i vietnamiti ricordano gli sbagli del passato nel modo migliore possibile. Quegli ex Vietcong non vedono né i francesi né gli americani come esseri superiori, ma semplicemente come coloro che possiedono cose utili che valeva la pena sfruttare per migliorare il presente vietnamita. Ma ancora una volta, tale obiettività può essere la prerogativa del vincitore.

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