01/09/2023, 13.40
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G20 di New Delhi: le dispute territoriali dietro l'assenza di Xi Jinping

La notizia, circolata ieri, mette ancora una volta in evidenza la competizione tra Delhi e Pechino a guida del Sud globale. Nonostante le dichiarazioni di distensione all'incontro dei BRICS della settimana scorsa, restano irrisolte le continue tensioni lungo il confine che attraversa la regione del Ladakh orientale. Un fallimento per la diplomazia indiana che sperava di riunire i maggiori leader globali allo stesso tavolo.

New Delhi (AsiaNews) - Molto probabilmente il presidente cinese Xi Jinping non parteciperà al G20 in India in programma dall’8 al 10 settembre, ma lascerà invece che a rappresentare Pechino sia il premier Li Qiang, hanno rivelato ieri fonti della Reuters. Ma secondo The Wire i funzionari indiani erano a conoscenza della decisione già da un mese. L’assenza di Xi Jinping al vertice per la cooperazione economica globale - la prima dal 2013 -, unita alla rinuncia anche del presidente russo Vladimir Putin, che manderà al suo posto il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, segnala un fallimento per la diplomazia indiana, che puntava a riunire allo stesso tavolo i leader di Russia, Cina e Stati Uniti, in virtù dei legami ambigui con Mosca e dei rapporti di cooperazione strategica con Washington.

Gli esperti sostengono che la scelta di Xi di non partecipare al G20 sia in linea con la volontà di allontanare il proprio Paese dalle istituzioni internazionali dominate dall’Occidente. Ma allo stesso tempo ritengono che Pechino abbia voluto mandare un segnale al proprio rivale asiatico, che aveva finora promosso con grande orgoglio l’arrivo del G20 a Delhi: Pechino pare rifiutarsi di concedere prestigio e autorevolezza all’economia indiana, che rispetto a quella cinese è in continua crescita. 

Le speranze del primo ministro indiano Narendra Modi di proporre l’India come mediatore e anello di congiunzione tra Oriente e Occidente - lette fin da subito come un progetto ambizioso - avevano però in realtà già mostrato diversi segnali di cedimento legati alle rivendicazioni territoriali.

India e Cina da tre anni hanno in corso una disputa lungo quella che viene definita “line of actual control” (LAC) che corre per 3.500 chilometri nella regione del Ladakh orientale. Il confine, che attraversa le catene dell’Himalaya, non è mai stato fissato dopo il ritiro dei britannici dall’ex colonia e la questione è rimasta irrisolta per decenni fino a che a giugno 2020 uno scontro armato tra le truppe dei due Paesi nella valle di Galwan ha portato alla morte di 20 soldati indiani e almeno 5 cinesi. Nonostante le tensioni al confine tra i due giganti asiatici non siano una novità (per la stessa ragione era scoppiata una guerra tra Cina e India nel 1962) gli analisti considerano gli eventi del 2020 come uno spartiacque nei rapporti bilaterali tra Pechino e Delhi: tutti i round di colloqui tenutisi finora (almeno 19 negli ultimi tre anni) hanno solo portato a un ulteriore rafforzamento delle rispettive posizioni lungo la frontiera anziché a un disimpegno militare. 

Nonostante quindi un’apparente distensione ventilata durante l’incontro dei BRICS a Johannesburg, in Sud Africa, la settimana scorsa, durante il quale Pechino ha proposto l’allargamento del gruppo ad altri sei membri (ancora una volta nel tentativo di proporsi a guida di un movimento anti-occidentale), la questione dei confini è emersa nuovamente questa settimana dopo che il ministero cinese delle Risorse naturali ha pubblicato l’ultima edizione della mappa che mostra tutti i territori che la Cina considera sotto la propria sovranità: tra questi vi sono anche lo Stato indiano dell’Arunachal Pradesh e l’altopiano dell’Aksai Chin, parte della regione del Kashmir. Il ministro degli Esteri indiano S. Jaishankar ha definito “assurde” le rivendicazioni cinesi (che si allargano anche a Taiwan e a diversi territori nel Mar cinese meridionale che hanno fatto arrabbiare i Paesi del sud-est asiatico), ma per tutta risposta le autorità cinesi hanno invitato le controparti indiane a non “reagire in modo eccessivo”. Di recente a funzionari e sportivi indiani provenienti dall’Arunachal Pradesh la Cina non ha timbrato i visti nel passaporto perché li considera cittadini che si muovono all’interno di regioni cinesi e non stranieri. Si tratta quindi di una questione che, nonostante le recenti dichiarazioni di facciata di “intensificare gli sforzi” a favore della “distensione”, non sta trovando risoluzione e pare destinata a segnare le relazioni tra Cina e India ancora a lungo.

Gli osservatori hanno inoltre sottolineato che la maggior parte degli incontri tenutisi finora in preparazione al summit del prossimo fine settimana non hanno ancora portato a una visione condivisa della guerra in Ucraina. L’esempio più recente risale al mese scorso, quando un incontro tra i ministri delle Finanze e i governatori delle banche centrali del G20 si è concluso nella città di Gandhinagar senza una dichiarazione congiunta sul conflitto. Cina e Russia si sono opposte ai paragrafi secondo cui la guerra in Ucraina stava causando “un’immensa sofferenza umana” e “esacerbando le fragilità esistenti nell’economia globale”. L’India, nel tentativo di mantenere una posizione neutrale, ha espresso preoccupazione per l’impatto del conflitto sui Paesi in via di sviluppo, ponendosi come leader del Sud globale, ruolo che ancora una volta cozza con le ambizioni cinesi. Ma anche quando l’India a maggio aveva organizzato un incontro preparatorio in Kashmir per funzionari stranieri dei Paesi del G20 le delegazioni dalla Cina e dal Pakistan (alleato di Pechino in chiave anti-indiana) si erano rifiutate di prendervi parte.

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