Gaza: da patriarcato e Cei un ospedale per rilanciare l'impegno nella sanità
Ad annunciarlo il card. Pizzaballa e il segretario generale della Cei mons. Baturi. Un progetto nel lungo periodo per rispondere alla crisi devastante in atto nella Striscia. Allo studio anche un pellegrinaggio dei presuli italiani. Il decennale contributo dei cristiani in ambito sanitario, dagli ospedali alla distribuzione di medicine e cure gratuite.
Gerusalemme (AsiaNews) - Il dramma della guerra - coi suoi morti e la crisi umanitaria - è ancora forte e attuale nella Striscia, teatro da quasi due anni del conflitto di Israele contro Hamas in risposta all’attacco terrorista del 7 ottobre 2023: ma la Chiesa di Terra Santa prova già a guardare oltre in una prospettiva di ricostruzione. In questo quadro si inserisce il progetto, illustrato in questi giorni, per la costruzione di un ospedale a Gaza grazie alla collaborazione fra patriarcato latino di Gerusalemme e Conferenza episcopale italiana (Cei). Ad annunciarlo sono stati il patriarca latino della città santa card. Pierbattista Pizzaballa e il segretario generale dei vescovi italiani mons. Giuseppe Baturi. Un tentativo di sostenere e rilanciare l’azione umanitaria nella Striscia nel futuro, mentre l’attenzione globale è rivolta in queste ore alla vicenda della Global Sumud Flotilla, le cui imbarcazioni sono state intercettate a decine dalla marina israeliana e gli attivisti fermati.
L’iniziativa, come spigano i promotori, vuole essere una risposta di lungo periodo agli enormi bisogni a Gaza, soprattutto in ambito sanitario dove è in atto da tempo una crisi dalle proporzioni devastanti. Essa, inoltre, si inserisce nel solco delle molte iniziative della Chiesa di Gerusalemme e del patriarcato latino - attraverso la parrocchia della Sacra Famiglia - per la sua popolazione, anche in ambito medico. “Vi è un problema sanitario molto serio, e vogliamo affrontarlo con il patriarcato: è un impegno concreto che mobiliterà molta energia” ha affermato mons. Baturi, a conclusione della visita dal 27 al 30 settembre in Terra Santa per illustrare il progetto.
Il patriarcato latino, attraverso il card. Pizzaballa, ha voluto esprimere “profonda gratitudine” ai vescovi italiani, sottolineando che in mezzo alla devastazione e alla disperazione, i gesti di solidarietà non sono simbolici ma danno vita. “La speranza - ha proseguito il porporato - ha bisogno di gesti, parole, ma soprattutto di un contesto in cui si forgiano legami, dove si costruiscono unità e comunità. In situazioni di grande dolore e sofferenza, è necessario avere qualcuno al tuo fianco che ti sostenga e ti aiuti. Tutto questo diventa un segno di speranza”.
Il progetto ospedaliero è parte di una più ampia rete di iniziative sostenute dalla Conferenza episcopale italiana e dal patriarcato latino, focalizzate sulla soddisfazione dei bisogni urgenti della comunità locale attraverso aiuti alimentari, opportunità educative e assistenza abitativa. Mons. Baturi ha quindi definito iniziative come questa una “energia di pace, capace di plasmare le coscienze e aprire il futuro”. In una regione segnata da una situazione di stallo politico e dalla tragedia umanitaria, mentre si attende la risposta di Hamas al piano di pace in 20 punti proposto dal presidente Usa Donald Trump, le voci del card. Pizzaballa e della Chiesa italiana convergono sullo stesso messaggio: “La pace - affermano - non è semplicemente l’assenza di guerra, ma la costruzione di percorsi concreti di speranza, solidarietà e umanità condivisa”.
In tema di condivisione e solidarietà, la visita del segretario generale della Cei è servita anche per definire tempi e modi di un pellegrinaggio da parte dei vescovi italiani in Terra Santa, come già fatto nel recente passato da alcune Conferenze episcopali regionali. Una pratica “che vogliamo rilanciare” afferma mons. Baturi, raccogliendo un appello in tal senso “da tanti parroci, sia della Giudea che della Galilea. Faremo dunque - assicura - un pellegrinaggio come vescovi italiani e ne promuoveremo tanti altri: è una forma concreta di vicinanza e solidarietà”. Una promessa raccolta e sostenuta dal card. Pizzaballa, secondo cui “la speranza ha bisogno di gesti, di parole, ma soprattutto di un contesto dove si fa rete, dove si costruisce unità e comunità. Nei grandi contesti di dolore e sofferenza, c’è bisogno di avere qualcuno vicino che ti sostenga e ti aiuti”. E, in questo senso, anche un pellegrinaggio può trasformarsi in un “segno di speranza”.
I cristiani, pur essendo minoranza, sono una componente attiva nella società di Gaza devastata dal conflitto e anche in questi due anni si sono spesi per portare aiuto alla popolazione, sia nella distribuzione di aiuti che in ambito sanitario. Fra le pochissime strutture rimaste aperte - ma non per questo risparmiate dalle bombe israeliane - vi è Al-Ahli Arab Hospital, meglio noto come “l’ospedale anglicano”, peraltro fra le prime ad essere colpite all’inizio dei raid aerei dello Stato ebraico a metà ottobre 2023.
Una realtà che continua a prestare la propria opera, pur a fronte di una mancanza cronica di attrezzature, garze, antibiotici, delle medicine di base oltre che dei farmaci per la cura delle patologie più gravi o croniche. Fondata nel 1882 nel settore nord, la struttura prima della guerra garantiva 300 interventi chirurgici e circa 600 visite radiologiche al mese, oltre ad avere un programma gratuito di diagnosi di cancro al seno per donne di età superiore ai 40 anni. Inoltre, il Centro per le donne anziane e il programma di cliniche mobili fornivano gratuitamente cure mediche e cibo agli abitanti delle città e dei villaggi circostanti. L’ospedale ha anche sponsorizzato in passato il primo corso di formazione per medici di Gaza in chirurgia mini-invasiva e stava sviluppando piani per l’aggiunta di un centro oncologico, con radioterapia.
Vi è poi la decennale opera delle suore di Madre Teresa, che hanno dedicato una parte consistente della loro missione nella cura delle persone disabili: presenti dal 1973, le Missionarie della Carità non hanno mai voluto abbandonare la Striscia, nemmeno quanto è stata colpita la parrocchia della Sacra Famiglia o davanti alla minaccia di una invasione di terra dell’esercito israeliano. Inoltre, l’opera del patriarcato latino - anche in tempo di guerra - ha permesso l’ingresso e la consegna di aiuti e beni di prima necessità a Gaza. L’ultima, in ordine di tempo, risale al luglio scorso durante la vista del patriarca latino e di quello greco-ortodosso dopo l’attacco alla parrocchia, che aveva provocato tre vittime e il ferimento anche del parroco p. Gabriel Romanelli.
24/06/2016 12:48
13/04/2022 11:05