23/01/2020, 15.49
PAKISTAN
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Giovane indù pakistano: la mia vita, una lotta con la mia identità

di Kamran Chaudhry

Puran Ram racconta le discriminazioni subite fin da quando era piccolo, che lo hanno fatto sentire “sporco dalla nascita”. Il suo nome in sanscrito significa “antiche leggende e folclore popolare”, ma i compagni lo canzonavano con il termine “porno”. Uno studente lascia la scuola “perché non voleva avere a che fare con me, altri si portavano il bicchiere da casa”.

Lahore (AsiaNews) – Una lotta con la propria identità, a partire dal nome: così Puran Ram, 21enne del Pakistan, descrive la sua vita. Il giovane è di religione indù, in un Paese a maggioranza islamica. “Quando ero nella 7ma classe – racconta ad AsiaNews – i compagni associavano il mio nome a ‘porno’. Alla fine ho smesso di tentare di spiegare che è una parola sanscrita che sta per ‘antiche leggende e folclore popolare’”.

Ram viveva con altri 60 indù nel villaggio 118 DB, un’area a maggioranza islamica vicino Bahawalpur. Nel 2016 il giovane si è trasferito a Lahore in cerca di un futuro migliore. Ieri ha condiviso la propria storia durante un seminario organizzato dal governo del Punjab sulla “formulazione della politica interreligiosa”.

L’incontro rientra nella campagna “Harmonious, Tolerant and Safe Punjab” lanciata lo scorso 11 gennaio da Ejaz Alam Augustine, ministro provinciale per i diritti umani e gli affari delle minoranze. Ad essa collabora la Youth Development Foundation (Ydf) di Lahore. Shahid Rehmat, direttore esecutivo della Ong, spiega: “Abbiamo invitato leader religiosi, rappresentanti della società civile, studenti, accademici, ai quali abbiamo chiesto di presentare proposte e suggerimenti da incorporare nel piano politico”.

Ram racconta che “quando ero nella nona classe, ho cambiato scuola dopo che i compagni mi hanno accusato di utilizzare una catena d’acciaio del serbatoio d’acqua. Mia madre mi proibiva di studiare la religione islamica, una materia obbligatoria agli esami. Era preoccupata che mi sarei convertito all’islam. Io saltavo l’ora di religione e studiavo etica in biblioteca. La preparazione è stata tosta, perché non c’erano insegnanti della materia alternativa per i non musulmani”.

Le sfide, continua, “sono continuate al college. Mi presentavo semplicemente come non musulmano. La mia identità religiosa suscitava problemi. Molti mi accomunavano all’India, una nazione rivale. Altri mi invitavano ad abbracciare l’islam. Un compagno mi ha confidato che i suoi parenti anziani di solito bruciavano gli utensili ‘macchiati dall’ombra di un indù che passava’. Io tagliavo corto i discorsi sulla religione. Il silenzio era la mia miglior protezione. Alla fine quel compagno ha lasciato il college perché si rifiutava di studiare con me. Altri si portavano dietro i bicchieri per bere”.

Secondo Ram, “una nuova politica potrebbe migliorare la situazione delle minoranze”. Anche i cristiani denunciano di continuo trattamenti discriminatori nell’accesso all’istruzione e al lavoro. Particolarmente acuto è il problema delle ragazze rapite e convertite all’islam con la forza. Secondo la Commissione per i diritti umani del Pakistan, nel 2018 almeno 1.000 giovani cristiane e indù hanno subito questa sorte nella provincia del Sindh.

Le famiglie indù, conclude Ram, “sono costrette a celebrare le feste religiose dentro casa. abbiamo paura di spargere la vernice colorata sugli altri durante l’Holi, la festa dei colori. A volte sento come se non fossimo puliti dalla nascita, non importa quanto ci sforziamo di essere buoni. Persino la polizia ci chiede una mazzetta fino a 35mila rupie [circa 205 euro, ndr] per il permesso di celebrare la festa annuale di Rama Pir [un santone indù] nel nostro villaggio”.

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