I 'lavori forzati' dei medici in Russia
La riforma della formazione approvata dalla Duma prevede per i laureandi in medicina l'obbligo di tre anni di servizio per ripagare i fondi spesi dallo Stato per gli studi. Dietro la misura le sempre maggiori difficoltà di bilancio ma anche l'intento di ottenere classi sociali e professionali sempre più sottomesse in un contesto dove le proteste sono ormai impossibili.
Mosca (AsiaNews) - La Duma di Mosca ha approvato la riforma della formazione medica, che prevede l’obbligo per i laureandi in medicina di un periodo di tre anni di servizio per ottenere l’accredito alla professione, e anche il finanziamento statale degli studi andrà recuperato progressivamente negli anni. Le regole finora prevedevano un accordo finalizzato, come strumento facoltativo per ottenere sussidi dal futuro datore di lavoro e garanzie di assunzione, oppure si poteva completare gli studi tranquillamente secondo i fondi del bilancio statale.
Ora chi non ripaga i finanziamenti secondo le nuove regole sarà punito con multe fino a tre volte l’intero costo del programma di studi. Il presidente della Duma, Vjačeslav Volodin, ha dichiarato che se i laureati cominceranno a lavorare negli ospedali municipali e statali questo permetterà un grande sviluppo di tutto il sistema sanitario federale; ma i principali sindacati degli operatori sanitari si sono dichiarati contrari al progetto di legge approvato. Il sindacato panrusso ha dichiarato che “il pagamento obbligatorio degli studi si caratterizza come lavoro forzato”, e l’altro grande sindacato Dejstvie parla di “discriminazione” della classe medica.
Il chirurgo e attivista sociale Andrej Volna ha commentato questa vicenda nel programma “Di fronte agli eventi”, affermando che “questa iniziativa assomiglia al ripristino delle pratiche sovietiche, quando esisteva il sistema di tutoraggio obbligatorio, ma oggi non ci sono più i tutor, e i giovani non vengono formati da medici esperti con grandi conoscenze, per la grave carenza di personale medico”. Quello che invece si vuole imporre è “una servitù della gleba dei laureandi in medicina”. Il risultato sarà che nessuno vorrà più iscriversi alla facoltà di medicina, aggravando ulteriormente il deficit dei quadri sanitari.
Secondo Volna e molti altri commentatori, questa e altre riforme indicano che le autorità del potere russo attuale “sfruttano la totale assenza di una vera società civile”, sapendo che le proteste sono ormai quasi impossibili anche nel campo delle professioni, senza toccare temi politici o quelli legati alla guerra. Nella formazione dei medici, dove le conoscenze si assimilano in varie fasi grazie all’esperienza oltre agli studi specifici, la coercizione è particolarmente inefficace e anche dannosa, spegnendo nei giovani specialisti il desiderio di crescere nella professione e nel rapporto con i pazienti. Volna ricorda una frase di Hemingway, che affermava come “con lo stesso entusiasmo iniziano a lavorare il giovane medico e il giovane sacerdote”, ma se si spegne l’entusiasmo nei primi anni, “non si otterranno buoni medici”.
Le sempre maggiori difficoltà di bilancio della Russia sono la causa principale della carenza di personale, non essendo disponibili i mezzi finanziari per attrarre i giovani dottori a una professione soddisfacente e ben retribuita. Tutto questo apre spazi sempre maggiori ai fenomeni di corruzione e di ricerca di profitti illegali, per non parlare degli effetti della guerra, che sottraggono le migliori forze alle necessità sociali. L’irrigidimento delle condizioni imposte dalla Duma dipendono anche dalle tante leggi sulla limitazione della libertà d’espressione, sugli agenti stranieri, sulle fake news e il discredito delle forze armate, cercando di ottenere classi sociali e professionali sempre più sottomesse e manipolabili, soprattutto in settori delicati come quello sanitario e quello dell’istruzione pubblica.
Come spiega Volna, si ottiene di fatto una nuova categoria, quella degli tseleviki, i “finalizzati”, formata dagli studenti raccolti a determinate condizioni e senza concorsi d’ingresso, disponibili al lavoro forzato anche più dei 2-3 anni di “compenso statale”, ma anche per 7-8 anni senza di fatto ricevere stipendi, riducendo le perdite statali. Come afferma il chirurgo, lo Stato “si aspetta che i cittadini paghino il riscatto per la loro professione, per la loro stessa esistenza”.