09/08/2019, 11.38
QATAR - ASIA
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Il Medio oriente rischia una crisi idrica senza precedenti

Per il World Resources Institute, fra le nazioni a rischio  troviamo Qatar, Israele, Libano, Iran e Giordania. Essi prelevano oltre l’80 per cento delle proprie risorse totali di acqua. Periodi di siccità prolungati e temperature sempre più elevate si sommano a uno scarso investimento nel riutilizzo delle acque reflue. Limitare gli sprechi per scongiurare la catastrofe.

Doha (AsiaNews) - In Medio oriente (e Nord Africa) si profila una crisi dell’acqua senza precedenti: dal Qatar a Israele, dall’Iran al Libano, con la sola eccezione del virtuoso Oman, i Paesi dell’area rischiano di affrontare a breve “uno stress idrico estremamente elevato”. È quanto emerge dalla classifica relativa allo “stress idrico” presentata in questi giorni dal World Resources Institute (Wri), secondo il quale 17 nazioni sono in grave rischio perché consumano oltre “l’80% della loro acqua disponibile all’anno”. 

“Lo stress idrico è la più grave emergenza” in tema ambientale “e nessuno ne parla” afferma Andrew Steer, presidente e amministratore delegato di Wri. Le “conseguenze”, aggiunge, sono già “visibili” sotto forma di “insicurezza alimentare, conflitti e migrazioni, instabilità finanziaria”. 

L’annuale classifica prende in esame 189 nazioni al mondo attorno a criteri quali le difficoltà cui è sottoposto il sistema idrico del Paese, il rischio di siccità e inondazioni fluviali gravi. L’istituto, che si avvale della collaborazione di università e istituti di ricerca in Svizzera e Olanda, utilizza dati raccolti fra il 1960 e il 2014. E i risultati sono drammatici: un quarto della popolazione potrebbe affrontare nel breve periodo pericolose carenze idriche e il fenomeno ha una portata globale.

Tuttavia, i maggiori pericoli si concentrano in Medio oriente e Nord Africa dove sono presenti i primi 12 Paesi (su 17) della speciale classifica stilata da Wri, al cui interno vive un quarto della popolazione mondiale. Nazioni come Qatar, Israele, Libano, Iran, Giordania, Libia, Kuwait, Arabia Saudita, Eritrea ed Emirati Arabi Uniti (queste le prime dieci posizioni) ogni anno prelevano in media oltre l’80 per cento delle proprie risorse totali di acqua. 

Gli esperti del Wri ricordano inoltre che nella lista sono presenti solo gli Stati membri delle Nazioni Unite. Allargando il contesto, va sottolineata la situazione della Palestina che, se fosse inserita nell’elenco, “finirebbe per piazzarsi fra il Libano e l’Iran” in quarta posizione. 

Nell’area mediorientale i periodi di siccità prolungati e le temperature sempre più elevate si sommano a uno scarso (o nullo) investimento nel riutilizzo delle acque reflue, con un conseguente maggiore sfruttamento delle risorse interne. Le nazioni del Golfo Persico, ad esempio, sottopongono a trattamento di purificazione circa l’84 per cento di tutte le proprie acque reflue, ma poi ne riutilizzano solamente il 44 per cento.

In questo contesto drammatico, vi sono eccezioni virtuose come il Sultanato dell’Oman: pur piazzandosi al 16mo posto fra i Paesi più a rischio, esso sta emergendo come modello da seguire perché sottopone a trattamento il 100 per cento delle proprie acque reflue e ne riutilizza il 78 per cento. Di contro, chi desta preoccupazione è l’India (al 13mo posto), che ha una popolazione tre volte superiore a quella di tutti gli altri 16 Paesi della classifica messi insieme.

Fra i fattori che hanno portato all’aumento considerevole dello sfruttamento di risorse idriche vi è, in primis, il cambiamento climatico che ha determinato periodi di siccità più frequenti, reso più difficoltosa l’irrigazione di terreni agricoli e costretto a un uso maggiore delle falde acquifere. Al tempo stesso, l’innalzamento delle temperature fa evaporare l’acqua presente nei bacini idrici con più facilità, esaurendo quella a disposizione per il prelievo. 

Da qui l’appello a una maggiore efficienza nel settore agricolo, con l’uso di coltivazioni che richiedono meno acqua e migliorando le tecniche di irrigazione. Bisogna inoltre sprecare meno cibo, la cui produzione richiede un quarto del totale dell’acqua usata in agricoltura e investire in nuove infrastrutture per il trattamento di acque e bacini per la conservazione delle piogge. Infine cambiare il modo di pensare alle acque reflue: non più scarto, ma bene di riutilizzo per non gravare sulle risorse idriche interne.

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