16/10/2008, 00.00
INDIA
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Il Sangh Parivar vuole estirpare ogni traccia dei cristiani in Orissa

di Nirmala Carvalho
Ai fedeli è proibito pregare anche nei campi profughi del governo. I terreni di case e chiese bruciate vengono requisiti e “ripuliti” delle violenze. Consiglio indù alla suora stuprata: sposarsi con lo stupratore. Caccia ai convertiti.

Bhubaneshwar (AsiaNews) – I gruppi fondamentalisti indù che da oltre un mese hanno lanciato il pogrom contro i cristiani dell’Orissa, sono divenuti più metodici: aiutati anche dalla polizia, proibiscono ai cristiani di incontrarsi e pregare; cercano di uccidere i nuovi convertiti; occupano il terreno delle chiese distrutte e le terre dei fuggitivi, cancellando ogni traccia di presenza cristiana. Di fronte all’opinione pubblica indiana, sconvolta dalle violenze e soprattutto dallo stupro di una suora, propongono una legge tribale: che il violentatore sposi la suora.

Gli attacchi contro i cristiani con 180 chiese distrutte, 4500 case bruciate e razziate, la fuga di oltre 50 mila profughi, sono solo il primo capitolo di un programma che vuole estirpare il cristianesimo dallo Stato. Perfino nei campi di rifugio approntati dal governo per “custodire” i cristiani in fuga, questi sono criminalizzati. Il p. Ajay Singh, direttore del Jan Vikas, un centro di iniziativa sociale della diocesi di Cuttack-Bhubaneshwar, dopo aver visitato 3 campi, dice ad AsiaNews: “La nostra gente è trattata come animali. Hanno distribuito solo una coperta per famiglia; l’igiene e la sanità sono inesistenti. Ma ciò che è più tragico è che ai cristiani è proibito pregare: le forze di sicurezza continuano a vigilare in modo puntiglioso  perché questo non avvenga e proibiscono anche ogni aiuto e consolazione dall’esterno. Le donne, soprattutto, sono consumate da una profonda depressione”.

All’esterno, nei villaggi già distrutti dalla furia dei gruppi fondamentalisti indù, la situazione non migliora. Secondo testimonianza raccolte dal Global Council of Indian Christians (Gcic), il Sangh Parivar (l’associazione-ombrello che raccoglie tutte le organizzazioni militanti) ha iniziato una “pulizia” dei terreni dove prima esistevano case di cristiani e chiese, bruciate nelle scorse settimane. I gruppi svellono perfino le pietre delle fondamenta, riempiendo le buche con terra; rimuovono i segni dei confini fra i campi coltivati, proprietà dei cristiani e se li sono suddivisi fra di loro.

“La loro intenzione – afferma Sajan K George, presidente del Gcic – è di appropriarsi con mezzi fraudolenti delle proprietà dei cristiani, ‘mostrando’ che non c’è mai stata una casa cristiana, né una chiesa. Il mio timore è che si mettano a costruire templi indù sulle terre dove una volta esistevano case e chiese cristiane”.

Sajan George suggerisce anche un altro motivo: i radicali indù “vogliono nascondere i segni della loro brutalità contro persone innocenti, ora che l’opinione pubblica indiana è venuta a conoscenza dei loro attacchi”.

Sui giornali indiani è stato riportato in modo diffuso soprattutto le violenze degli indù contro le donne e in particolare lo stupro di una suora. Alle critiche dell’opinione pubblica contro l’inattività del governo dell’Orissa, questi ha risposto mettendo in prigione – a un mese dal fatto – 3 attivisti indù: Mitu Patnaik, Saroj Ghadai e Munna Ghadai, arrestati in Kerala. I tre sono tutti originari di Baliguda (Orissa).

La stampa e le organizzazioni fondamentaliste hanno allora cominciato una campagna per diminuire l’impatto della notizia. Advani, il capo del Bjp (Bharatiya Janata Party), legato ai gruppi fondamentalisti, l’ha condannato come “un crimine vergognoso”, ma membri di gruppi alleati – come il Bajrang Dal – hanno espresso “sospetti” che la suora “fosse consenziente”.

Il 13 ottobre scorso, a K Nuagaon, almeno 5 mila donne indù radicali, hanno manifestato insieme per chiedere di attuare nel caso dello stupro della suora, la loro tradizione: “che lo stupratore sposi la vittima”.

Un altro capitolo della lotta contro i cristiani è il tentativo di bloccare le conversioni al cristianesimo, costringendo anche con minacce di morte i nuovi convertiti a ritornare all’induismo.

Il 12 ottobre scorso, un’associazione di studenti, la Kandhamal Chatra Sangharsa Samiti, ha domandato una moratoria sulle conversioni fatte da organizzazione non governative cristiane, per rendere onore all’opera dello Swami Laxamananda Saraswati, che per 45 anni ha lavorato in Orissa per fermare le conversioni cristiane. La morte dello Swami, ad opera di un gruppo maoista, ha scatenato la furia delle violenze contro i cristiani, accusati ingiustamente dell’assassinio.

Intanto, gruppi di fanatici del distretto di Kandhamal hanno stilato una lista di persone che essi vogliono riconvertire all’induismo o uccidere. Fra questi vi è Pabitra Mohan Katta, del villaggio di Adigar. Dieci anni fa egli era un discepolo dello Swami e membro del Vhp (Vishwa Hindu Parishad), ma poi si è convertito alla fede cristiana. La sua casa è stata bruciata il 26 agosto scorso e lui si è salvato dalla morte grazie all’intercessione del fratello, che è indù. Alcuni giorni dopo anche la casa del fratello è stata bruciata.

I cristiani che per paura si "riconvertono" (v. foto), sono costretti a bruciare bibbie e libretti di preghiera, sono rasati a zero, si fa loro bere dell'urina di vacca (considerata purificante) e vengono vigilati per giorni da gruppi indù perchè non abbiano più contatto con i loro ex correligionari.

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