17/11/2021, 12.29
SINGAPORE
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Il 'dilemma del curry' fa discutere Singapore

di Steve Suwannarat

Nella città-Stato che afferma l'armonia tra le sue componenti si fanno sempre più frequenti i casi di cittadini o immigrati di origine indiana che si vedono rifiutare a priori dai proprietari cinesi l'affitto di una casa per "gli odori emessi dalla loro cucina". Le minoranze denunciano un razzismo nascosto. A Singapore la comunità originaria del subcontinente rappresenta il 9% della popolazione.

Singapore (AsiaNews) - Crescono i casi e anche le polemiche a Singapore per quello che è ormai definito il "dilemma del curry" (curry conundrum), cioè la tendenza dei proprietari e degli amministratori di abitazioni a considerare l’appartenenza etnica di chi è alla ricerca di una casa, spesso rifiutando l’assegnazione a cittadini o immigrati di origine indiana. Una sottolineatura razziale contro gli abitanti originari del subcontinente che utilizza come “ragione” gli odori emessi dalla loro cucina e che va a colpire una comunità che rappresenta il 9% della popolazione della città-Stato.

In una società multirazziale come quella singaporeana, con leggi severe e una Costituzione che promuove l’armonia sociale e razziale pur nella diversità, la discriminazione è spesso indiretta. I risultati lasciano perplessi chi ne viene a conoscenza magari per esperienza diretta. È capitato, ad esempio, a una coppia di giovani coniugi britannici di origine indiana che, avendo scelto Singapore come nuova casa, si sono visti rifiutare un appartamento già praticamente accordato dopo avere incontrato di persona l’intermediario. La loro vicenda più di altre è sembrata aprire gli occhi ai mass media su una realtà quotidiana e non sempre risolvibile con una ricerca ulteriore tra gli annunci immobiliari.

La difficoltà nei rapporti tra immigrati di origine indiana e i proprietari cinesi non è affatto un mistero. Al punto che il sito di annunci immobiliari PropertyGuru dal 2017 si è impegnato a impedire questa forma di discriminazione chiedendo agli agenti di non indicare preferenze dei proprietari verso gli affittuari che indichino un pregiudizio razziale o etnico, arrivando a sospendere chi non si adegua.

Il Diritto singaporeano non prevede però misure contro la discriminazione in campo abitativo e di conseguenza altri provvedimenti di sensibilizzazione o dissuasione hanno finora ottenuto pochi risultati. Così, domande come “cucini con le spezie?” o affermazioni come “spero che non apparteniate alla razza indiana” continuano a persistere e, anzi, nel tempo della pandemia, espressioni di linguaggio d’odio e tensioni tra le comunità si sono moltiplicate.

Il primo ministro, Lee Hsien Long, ha recentemente annunciato di volere puntare all’approvazione di una Legge sull’armonia razziale. Tuttavia, nello stesso discorso, Lee ha anche sottolineato che la legge non includerebbe misure punitive per chi la violi e ha negato che esistano i privilegi per i cinesi (il 75% della popolazione). Affermazioni che poco si allineano con le quote etniche stabilite per gli edifici di edilizia pubblica, ovvero l’80 per cento del mercato immobiliare.

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