13/09/2012, 00.00
FILIPPINE - SIRIA
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Il dramma di oltre 5mila lavoratori migranti filippini nell'inferno siriano

La maggior parte di loro sono donne. Esse sono impiegate come domestiche e custodi presso facoltose famiglie siriane e straniere. Circa 300 hanno fatto ritorno in patria in questi giorni dopo aver rischiato la vita negli scontri a fuoco fra ribelli ed esercito.

Manila (AsiaNews/ Agenzie) - Un gruppo di 263 donne migranti filippine sono riuscite a fuggire dalla Siria, dove lavoravano da alcuni anni come domestiche e badanti.  Molte di loro hanno visto i datori di lavoro morire davanti ai loro occhi. Il gruppo è arrivato lo scorso 11 settembre all'aeroporto di Manila, dopo diverse settimane di trattativa fra Ambasciata filippina, International Organization for Migration (Iom) e governo siriano. Secondo stime dell'Iom vi sono almeno 5mila migranti filippini, soprattutto donne, ancora in Siria. Di questi solo 1000 hanno fatto richiesta di rimpatrio immediato, gli altri hanno scelto di restare.  

Ruth Pana, giovane domestica di 29 anni, lavorava come baby-sitter per una famiglia benestante di Damasco. I figli più grandi dei datori di lavoro erano attivisti dell'opposizione e sono stati uccisi in una recente manifestazione contro il regime. Nelle scorse settimane l'esercito ha attaccato la loro abitazione per stanare alcuni ribelli che si erano appostati nel cortile di casa. Per sfuggire al fuoco incrociato di miliziani e militari Pana e la famiglia siriana si sono rifugiate in uno scantinato dei vicini. "Quando l'esercito si è allontanato - racconta - il terreno era pieno di cadaveri, c'erano corpi ovunque". Pochi giorno dopo la famiglia decide di trasferirsi in affitto in una zona più tranquilla della capitale. Pana sceglie invece di contattare l'ambasciata filippina a Damasco, che invia una vettura diplomatica per prelevare la giovane. "Fino all'ultimo - racconta - i miei datori di lavoro hanno provato a convincermi a restare con loro, sostenendo che ero sotto contratto e non potevo violare i patti, ma alla fine hanno ceduto".

Glemer Cabidog, donna di 34 anni, ha lavorato per anni  a Damasco come custode della villa di un ricco uomo d'affari del Kuwait. Questi passava di rado e le dava uno stipendio di 200 dollari al mese, per custodire una casa vuota.  La giovane ammette che sarebbe rimasta volentieri, se la guerra non fosse giunta proprio davanti alla porta di casa.  "Quando ci sono stati i primi scontri a Damasco - racconta - io e il mio collega, anch'egli filippino, abbiamo chiesto al nostro datore di lavoro il permesso per tornare in patria, ma dopo tre mesi di attesa ha detto che non potevamo, che dovevamo restare". I due restano barricati nella villa per due settimane. Nelle strade vicine impazzano gli scontri a fuoco fra ribelli ed esercito. In un momento di calma, Glemer e il suo collega fuggono. "Non volevamo morire lì", sottolinea la ragazza.  Nei giorni seguenti riescono a mettersi in contatto con il personale diplomatico filippino a Damasco che li scorta in ambasciata. Dopo una settimana fanno ritorno in patria.

Secondo Albert del Rosario, ministro degli Affari esteri filippino, nei prossimi giorni verranno rimpatri altri 600 lavoratori che hanno preso contatti con l'ambasciata e gli operatori dell'Iom. Dal marzo 2011, sono oltre 2mila i lavoratori filippini residenti in Siria che hanno scelto di tornare in patria.

 

 

 

 

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