15/10/2004, 00.00
AFGHANISTAN
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Il lento cammino del popolo afghano verso democrazia e libertà religiosa

di Marta Allevato
Intervista a padre Angelo Panigati, ex parroco di Kabul. "Nella democrazia gli afghani vogliono riaffermare la loro identità".

Cremona (AsiaNews) –  "Ci vorrà molto tempo, ma la gente desidera la democrazia". Con queste parole, p. Angelo Panicati, per anni unico sacerdote cattolico a Kabul, avverte che democrazia e libertà religiosa sono obiettivi raggiungibili in Afhganistan, anche se il percorso non sarà facile. Barnabita di 78 anni, p. Panigati, ha vissuto dal 1964 al '90 a Kabul; diplomatico italiano e parroco dell'unica chiesa cattolica dell'Afghanistan (la cappella dell'ambasciata italiana - ndr) è stato l'ultimo occidentale cacciato dai Talebani. In un'intervista ad AsiaNews, questo sacerdote, ancora vicino alla popolazione afghana, commenta le prime elezioni democratiche del paese, le prospettive per il raggiungimento della libertà religiosa e ricorda il suo Afghanistan: "tollerante e pacifico".

 "La cosa incoraggiante è che di fondo entrambi i concetti fanno parte della cultura afghana: il Consiglio degli anziani, organo estremamente rispettato all'interno della società, viene eletto dalle singole tribù che scelgono il proprio rappresentante. Si può dire che in embrione un aspetto della democrazia, quello della rappresentanza, già ci fosse. Inoltre gli afghani vogliono la democrazia anche per ribadire la loro indipendenza e identità, della quale vanno molto fieri. Il popolo afghano è fortemente musulmano ma molto tollerante verso ciò che è diverso; è un atteggiamento ben radicato nella cultura locale". P. Panigati, unico sacerdote cattolico ammesso nel paese, ricorda la sua esperienza: "Potevo svolgere la mia attività tranquillamente, solo non dovevo fare proselitismo. La gente del posto era incuriosita dalla nostra religione e vi si avvicinava con grande rispetto. Diversi afghani partecipavano alle nostre funzioni nella cappella dell'ambasciata. Quando celebravamo comunioni o matrimoni di cristiani, venivano in veste di amici o conoscenti. Spesso mi aiutavano a Natale ad allestire il presepe. Anche io venivo invitato alle cerimonie tradizionali del posto, come quella per la scelta del nome dei nascituri, un rito molto sentito laggiù".

Secondo il barnabita, che ora vive a Cremona, "tutto è cambiato dopo l'invasione sovietica" (1979 – ndr). "La gente si è armata per la resistenza, le varie tribù che prima convivevano in modo pacifico hanno iniziato a farsi la guerra e si sono formati i talebani: mercenari che in un secondo momento si sono appropriati di principi religiosi e fatti difensori della religione più fanatica. Per sottolineare la propria identità in opposizione agli invasori, si è verificato un forte ritorno alla tradizione, come l'uso del burqa. Prima di quel periodo a Kabul c'erano 5 mila donne che studiavano e uscivano senza burqa". P. Panigati è convinto che ormai i talebani sono un ricordo che gli afghani vogliono cancellare: "La popolazione è stanca  delle violenze e inizia a reagire. Il potere di questi criminali è molto diminuito, anche se rimane ancora forte in alcune zone circoscritte come Kandahar, a mio avviso la città più fanatica del mondo".

Per l'ex parroco di Kabul le elezioni di sabato scorso sono "un passo avanti verso un Afghanistan migliore", ma vi sono ancora rischi di divisione: "La componente tribale è un elemento molto forte e negli ultimi anni le varie etnie hanno preso maggiore coscienza di sé. Se non gestito con intelligenza, il dopo elezioni cela un  pericolo: che ogni tribù veda il nuovo parlamento come il luogo dove esercitare i propri interessi particolari. Purtroppo alcune etnie hanno come fine non la democrazia e la difesa del paese, ma i propri disegni particolari; dopo le elezioni sperano di ottenere solo maggiore autorità e potere". Il primo passo che dovrà fare il nuovo governo, chiunque sia il vincitore, è distribuire in modo equilibrato le rappresentanze in parlamento: "I pashtun (etnia dominante, alla quale appartiene anche Hamid Karzai – ndr) dovrebbero farsi un po' da parte e dare importanza a etnie come quella dei tajiki - sciiti di lingua persiana e degli hazara - tutti sciiti, che vivono nelle zone centrali -  un po' dimenticati. Importante sarà contenere il potere di alcuni criminali, che rischiano di far parte del nuovo governo: Dostum, (tra i candidati alle presidenziali – ndr) è uno di questi, l'ho visto uccidere la gente per le strade".

P. Panigati conclude esprimendo la speranza che "con il tempo" arrivi anche la libertà religiosa: "Importante sarà il contatto con gli stranieri, dentro e fuori i confini, con Pakistan e India, ad esempio, ma il cammino sarà lungo e difficile".

 In Afghanistan esistono 48 mila moschee. Da 70 anni la cappella all'interno dell'ambasciata italiana è l'unica chiesa cattolica del paese. La Missio sui iuris - eretta nel 2002 da Giovanni Paolo II - è guidata oggi da p. Giuseppe Moretti; tra i suoi progetti, la costruzione di una scuola per bambini afghani alle porte di Kabul. Secondo il Rapporto sulla libertà religiosa 2004 di Aiuto alla Chiesa che soffre, la presenza di missionari cattolici si è intensificata negli ultimi anni. I musulmani sono il 98% della popolazione.

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