'Il nostro Natale da cattolici in Arabia Saudita'
Per un milione tra filippini, indiani e cristiani di altre nazionalità il “miracolo di internet” permette oggi di vivere con discrezione nelle proprie case le celebrazioni e i riti della propria tradizione. Nella quarta puntata del reportage di AsiaNews i volti della festa nella “Chiesa delle catacombe” nel regno dove non sarebbero ammesse fedi diverse dall’islam sunnita. Presenza e partecipazione, un passo alla volta, stanno sconfiggendo paura e diffidenza.
Riyadh (AsiaNews) - All’esterno un edificio come molti altri fra i minareti della città, affacciato su un grande piazzale dove un tempo sorgevano case e palazzi ora demoliti per far posto a costruzioni moderne che stanno rimodellato il volto di Jeddah, metropoli costiera affacciata sul Mar Rosso. La città è già immersa nell’oscurità, mentre a poca distanza il traffico scorre ininterrotto fino a tarda notte. Al suo interno, in un appartamento all’ultimo piano, da un dispositivo provengono canti di una tradizione antica, quanto attuale: “Sia gloria a Dio nell’alto dei Cieli”. Parole dell’antica liturgia siro-malabarese in lingua malayam, scandite nella funzione celebrata in una chiesa del Kerala, dall’altro lato dello schermo. Il giorno seguente in un’abitazione di un quartiere della periferia orientale, da un tablet giunge la voce di un sacerdote che, nell’omelia, si rivolge a un gruppo di fedeli indiani e filippini parlando di “persecuzioni, fede di sangue, richiamo alla pace”. Temi che più volte abbiamo rilanciato sulle nostre pagine in questi anni e che, oggi, testimoniamo in prima persona. Questo è “il miracolo di internet, che permette di assistere a messe trasmesse via Zoom” confida un membro della famiglia ci ospita, anche se questa “è una occasione speciale per la sua varietà e unicità” avendo riunito “persone provenienti da diverse parti del mondo”.
Un insieme di riti, tradizioni, popoli e culture diverse, uniti “grazie alla rete” a simboleggiare il significato più vero e profondo della “cattolicità” e della “preghiera” in un Paese, e in una società, in cui non è ammessa - almeno in linea teorica - fede diversa da quella musulmana sunnita. In realtà al suo interno vive un popolo composto da circa un milione di persone che ricorda l’esperienza dei cristiani dei primi secoli, quella raccontata dalle scritture al tempo dei romani e delle prime persecuzioni: una comunità che è anche un edificio che non è fondato sui mattoni come i tradizionali luoghi di culto che siamo abituati a conoscere in Occidente, quanto su uomini e donne, giovani e bambini con una fede profonda, viva e salda nonostante le difficoltà, i timori e le restrizioni. Questa è l’impressione che si ricava incontrando di persona i cattolici in Arabia Saudita, ascoltando le loro storie e condividendone le difficoltà, le sfide e le speranze, anche e soprattutto in questo periodo particolare del calendario liturgico che avvicina al Natale.
La monarchia del Golfo ospita due delle più importanti città (assieme a Gerusalemme) dell’islam sunnita, la Mecca e Medina, ed è ogni anno meta di pellegrinaggio per milioni di fedeli. La religione musulmana resta la sola ufficialmente riconosciuta e praticata nel regno, altri culti non sono ammessi ma l’espansione nel secolo scorso dell’industria del petrolio e i mega-progetti avviati negli anni scorsi hanno alimentato l’immigrazione da Oriente e Occidente. Europa e Stati Uniti, ma soprattutto Filippine e India, Pakistan e Bangladesh hanno trainato l’ingresso di una fetta consistente di “expat” che, seppur fra profonde restrizioni e pericoli, hanno cercato di vivere la loro fede fra le mura domestiche, in modo discreto. E talvolta correndo il rischio di incappare nei raid e nelle perquisizioni della Muttawa, la polizia religiosa, con arresti, sequestri di materiale, carcere ed espulsione anche se, a partire dal 2018, si è registrato un parziale rilassamento nei controlli pur in un quadro di continua sorveglianza.
Cristianesimo nelle sue diverse denominazioni, buddismo, induismo sono alcune fra le religioni che, sotto il mando dell’islam, sono presenti nella nazione del Golfo e si sono sviluppate nel tempo, sebbene ancora oggi non vi sia un riconoscimento ufficiale. Ed è proprio la possibilità di “poter praticare il culto” il desiderio “più grande” e uno dei motivi che “animano la preghiera” della gran parte dei cattolici che abbiamo incontrato nelle giornate trascorse fra Jeddah e Riyadh. Una speranza forse nemmeno troppo remota, considerando il quadro di profondi cambiamenti sociali ed economici impressi dalla leadership di Riyadh e dal principe ereditario Mohammed bin Salman (Mbs) nell’ambito del piano di riforme “Vision 2030” tuttora in continua evoluzione.
Raccontando la realtà saudita mons. Aldo Berardi, vicario apostolico dell’Arabia settentrionale (territorio che comprende anche Kuwait, Qatar e Bahrein dove ha sede il vicariato) parla di una “Chiesa delle catacombe” in cui professare la fede può essere “a volte un rischio”. “Per questo - prosegue il prelato - quanti vogliono seguire Cristo lo fanno in modo profondo”. E laddove non vi sono luoghi di culto, dalla piccola cappella di preghiera alle grandi basiliche o cattedrali, per professare la fede “non servono muri, perché le persone stesse - afferma - diventano Chiesa”. “A volte, scherzando - prosegue il vicario apostolico - dico loro di non avere fretta di volere un edificio in cui pregare, perché poi sarete costretti a occuparvi dell’aria condizionata, di come pagare l’elettricità, di risvolti pratici che adesso non avete. Potete concentrarvi su formazione, vita spirituale, studio della Bibbia e catechismo - conclude - anche perché oggi disponiamo di diversi mezzi come internet, piattaforme di incontro e discussione, social media per approfondire la fede”.
Filippini, indiani, libanesi: i cattolici in Arabia Saudita sono uniti dal desiderio di vivere nel profondo le celebrazioni e da una “fame di Eucarestia” come racconta Thomas [il nome è di fantasia, come tutti quelli citati nell’articolo a tutela della loro identità, ndr]. A Jeddah vi è una comunità cattolica di circa 300mila fedeli: “Durane gli esami negli istituti superiori o università - prosegue il cattolico indiano - oggi non è raro vedere studenti cristiani che recitano il Padre Nostro prima della prova. E ogni incontro o conferenza cui si assiste in rete implicano uno scambio e una crescita spirituale”. A differenza delle parrocchie in Occidente in cui sono i fedeli a recarsi in Chiesa la sfida, racconta un cattolico europeo, è “poter non dico incontrare, ma raggiungere in qualche modo le persone, rispondere alle loro esigenze, a partire dalla condizione di migranti in una terra che non è la loro”. “In questa prospettiva è ancora più significativo andare alle origini della fede e le festività, come il Natale, diventano occasione - sottolinea - per unire identità diverse, all’insegna della tradizione e della speranza, valorizzando i diversi riti”.
Per illustrare il clima di condivisione e unità in queste settimane di Avvento, un fedele da anni a Riyadh racconta un aneddoto sul Natale riguardante la comunità dello Sri Lanka, che vive nella capitale saudita. “Ogni anno - spiega - sono soliti preparare un concerto, con le musiche tradizionali della festa cui partecipano anche concittadini di altre fedi: buddisti, indù e pure i musulmani. Lo scorso anno anche loro, pur non essendo cristiani, hanno voluto partecipare alle fasi preparatorie, allestendo la sala, mentre i bambini oltre a giocare hanno riprodotto il presepe vivente. È stato un momento particolarmente toccante e significativo, nella sua estrema semplicità”.
Per gli indiani le settimane di preparazione al Natale rappresentano un periodo ideale per approfondire gli elementi della fede e accostarsi ai sacramenti, in particolare alla confessione che richiedono con maggiore frequenza. Anche in questo caso viene in soccorso la rete, una risorsa per molti versi “miracolosa” per “assistere a messe e preghiere” mentre le case, per quanto possibile, “vengono addobbate a festa in un clima di grande gioia”. “Non ci possiamo riunire all’aperto - precisa Anthony - ma non manca la speranza, che è anche il motto di quest’anno giubilare; cambiamenti ne vediamo, perché rispetto al passato la situazione è migliorata anche se restano le precauzioni. Certo, le restrizioni rafforzano la fede e il desiderio di condivisione, ma l’augurio e il regalo che chiediamo per il Natale è quello di una maggiore libertà” pur nel rispetto delle norme e delle tradizioni del Paese e della sua forte identità islamica.
“Generosità e carità - afferma una fonte istituzionale - sono elementi peculiari dei cattolici” in Arabia Saudita, che “oggi presentano una tendenza maggiore alla commistione fra indiani, filippini o fedeli di altre nazionalità” rispetto al passato in cui ciascuno tendeva a restare isolato. Una separazione giustificata anche dai maggiori controlli e dal bisogno di non attirare l’attenzione delle autorità. “Quanto il clima sia diverso - spiega Fady, maronita libanese - è evidenziato dal fatto che, oggi, non è raro che colleghi di lavoro [non cristiani] rivolgano gli auguri” per la festa. Così come, rispetto al passato, capita di entrare in centri commerciali o negozi addobbati con alberi di Natale, palline colorate, e osservare sugli scaffali rose rosse, saponi colorati, decorazioni e immagini di Babbo Natale. “Certo, non si guarda all’elemento cristiano della Natività - precisa - quanto piuttosto alla figura di Santa Claus e all’aspetto commerciale. E lo scorso anno - conclude - in un articolo pubblicato su Arab News [principale quotidiano anglofono del regno, ndr] un leader religioso musulmano affermava che non è peccato dire ‘Buon Natale’ a un cristiano”.
Riti, tradizioni, cerimonie legate all’Avvento assumono infine un valore particolare per la comunità filippina, che anche in terra d’Arabia cerca di rivivere funzioni collegandosi alle parrocchie del Paese di origine contando su quello che è più volte definito “il miracolo della rete”. Sullo schermo di smartphone, tablet e computer scorrono le immagini di funzioni che, in patria, attirano milioni di fedeli: dalle messe all’alba del Simbang Gabi (o Misa del Gallo) alle Novene, dalla celebrazione della vigilia col banchetto serale (Noche Buena) ai canti. “Oggi il modo di vivere il Natale - afferma Ferdinand, da 30 anni nel regno - è diverso rispetto al passato, più aperto, tanto da poter rivivere almeno in parte in questa terra gli elementi tradizionali della nostra fede”. “Il Natale in Arabia Saudita - conclude Xavier, indiano, mentre ascolta in sottofondo il rito in lingua malayam - vuol dire presenza e partecipazione, due pilastri della fede oggi più forti della paura e della diffidenza”.
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