07/05/2004, 00.00
CINA – EUROPA
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Il rischio " uomo" sul grande sviluppo della Cina

di Maurizio d'Orlando

Dati economici non rappresentativi, difficoltà nell'approvvigionamento energetico e soprattutto la necessità di mantenere un sistema repressivo: sono questi gli ostacoli che rendono meno roseo il futuro del gigante asiatico.

Milano (AsiaNews) - Il premier cinese Wen Jiabao è in Europa, e da domani, per due giorni sarà in Italia. Viene solo per fare affari e non ha in programma di parlare d'altro, meno che meno di diritti umani, e gli stessi interlocutori prescelti sono soprattutto esponenti del mondo economico.

Al momento, peraltro, le prospettive economiche della Cina presentano luci ed ombre. Un'analisi condotta a inizio anno dalla UBS, pur indicando alcuni fattori di minore espansione economica, non prevedeva per il 2004 un crollo economico della Cina, né una crisi finanziaria, né un'instabilità politica, né drastici cambiamenti di politica economica interna e nemmeno guerre commerciali con i paesi sviluppati. Ma AsiaNews, pur non intendendo confrontarsi con uffici studi che hanno potenti strutture e punti d'osservazione privilegiati, non condivide la rosea impostazione del rapporto, ritenendo che ci sono alcuni elementi dei quali va tenuto conto. Essi sono la non rappresentatività dei dati economici cinesi, la mancanza di un vincolo sociale con la conseguente necessità di mantenere un sistema repressivo e l'urgenza di modificare il sistema di produzione di energia.

Dati economici poco accurati

Già lo studio dell'UBS prevede che dopo un 2003 segnato dalla migliore crescita economica degli ultimi sei anni, nel 2004 il tasso di crescita dovrebbe scendere di due punti e nel 2005 diminuire di ulteriori due punti. In termini assoluti il tasso reale di crescita nel 2003 è stato dell'11,5 %, a fronte dell'8,5 % ufficiale, e quindi per il 2004 è prevista una crescita del 9,5 %. Secondo il rapporto, la differenza con le stime ufficiali è dovuta alla poca accuratezza dei sistemi cinesi di rilevamento. La Cina manterrà dunque un'invidiabile crescita economica, malgrado la riduzione del tasso di crescita, che dovrebbe essere ottenuta con una stretta del credito (che in realtà è già in corso), con conseguenti riduzione della domanda interna e minore crescita delle importazioni. Al tempo stesso la valuta cinese cesserà di essere ancorata solo al dollaro per collegarsi ad un paniere di monete di cui il dollaro sarà parte preminente, ma che comprenderà anche euro e yen. Nel corso dell'anno lo yuan dovrebbe essere rivalutato al massimo del 3% rispetto al dollaro, mantenendosi quindi di un 20-25 % sotto del suo valore intrinseco. E' poi atteso anche un ulteriore incremento delle riserve valutarie ed un'accelerazione di breve durata dell'inflazione che potrebbe arrivare a toccare il 6-8 %. Le autorità cinesi completeranno anche la ricapitalizzazione delle banche, cronicamente affette da sotto-capitalizzazione e da elevata percentuale di insolvenze. Da anni il sistema bancario era disastrato e potenzialmente esplosivo anche dal punto di vista politico. Pur se la ricapitalizzazione delle banche finirà con l'essere ben inferiore al necessario, l'azione intrapresa dal governo dovrebbe aprire la strada alla liberalizzazione bancaria prevista per il 2006 dagli accordi con l'Organizzazione mondiale per il commercio. Secondo AsiaNews però il punto chiave è che la ricapitalizzazione finora non sembra sia accompagnata da un autentico risanamento. Se infatti la gestione del credito e del risparmio continuerà ad essere determinata dall'arbitrio politico la ricapitalizzazione sarà stata inutile e tra qualche anno i problemi odierni si ripresenteranno identici.

Ma per esaminare le prospettive della situazione economica cinese, secondo AsiaNews occorre valutare anche la portata di alcuni ulteriori elementi.

Il primo e' la non rappresentatività dei dati economici, e ciò non solo per la poca accuratezza dei sistemi di rilevamento, ma anche perché riferiti ad un sistema economico e sociale molto difforme dai canoni di riferimento usati nei usuali parametri occidentali di misurazione statistica. Fornire poi dati globali sulla crescita economica senza tener conto delle difformità esistenti è per lo meno fuorviante. In primo luogo le difformità regionali in Cina sono così marcate che un dato aggregato finisce per essere di per sé poco significativo, visto che per certi versi le regioni cinesi presentano differenze maggiori di quelle riscontrabili tra due Stati europei. In una stessa regione, poi, le differenze tra chi è inserito nell'economia di mercato e nel circuito legato al commercio estero e chi ne è fuori sono tali da non poter essere rappresentate da un unico dato. Va ricordato inoltre che i 900 milioni di contadini cinesi, cioè la stragrande maggioranza della popolazione, non solo hanno un reddito che è un terzo di quello già molto basso della popolazione urbana e industriale, ma negli ultimi anni esso è diminuito, mentre per il resto della popolazione è aumentato.

 

Il vincolo sociale allo sviluppo

In secondo luogo va tenuto conto del vincolo sociale allo sviluppo cinese, che è in gran parte basato sulla subfornitura, sull'assemblaggio e le lavorazioni per conto di committenti all'estero. La Cina, infatti, importa (per il 74 % del valore delle lavorazioni) materie prime e componentistica estere (in gran parte dal resto dell'Asia) e riesporta la produzione verso i Paesi più sviluppati (soprattutto gli Stati Uniti) usufruendo principalmente dei bassi salari interni. Si tratta di un tipo di produzioni caratterizzato da un basso valore aggiunto interno pari, in media, inclusi i salari, solo a circa il 25 – 30 % (ancor meno per i prodotti più tecnologici) del valore delle commesse: nel 2003 queste rilavorazioni hanno raggiunto il valore record di circa 405 miliardi di dollari cioè il 48 % dell'interscambio commerciale estero. Nella fase di trapasso dalla rigida struttura economica stalinista, l'adozione di tale modello produttivo ha avuto l'indubbio vantaggio di accelerare l'ammodernamento industriale, accollandone il finanziamento agli investitori stranieri, da cui sono venuti l'80% degli investimenti. Il tipo di sviluppo industriale intrapreso comporta però un forte dispendio di risorse e cioè di manodopera e materie prime. Per la manodopera, in larga parte strappata ad un agricoltura di mera sussistenza e che cinquant'anni di feroce dittatura hanno reso docile ad ogni privazione, è plausibile che non vengano a prodursene carenze. Tale condizione potrà però permanere solo finché le autorità riusciranno ad applicare i metodi "forti" con cui sono abituate a risolvere problemi come il livello di vita dei contadini e dei pensionati, le condizioni di lavoro dei migranti, la frustrazione dei circa 40 milioni di lavoratori licenziati dalle imprese statali in dissesto, ma anche la scarsità e la cattiva qualità delle infrastrutture che comportano disagi quotidiani e gravi rischi per la popolazione in caso di calamità naturali, epidemie ed incidenti.

Soprattutto occorre che il partito riesca a mantenere la sua coesione, necessaria per tenere segregate le diverse componenti della popolazione ed in particolare le varie regioni del Paese di modo che non si formi alcuna aggregazione, religiosa o d'altro tipo, perché qualsiasi nucleo o gruppo che si formasse al di fuori del controllo del partito potrebbe potenzialmente coagulare un dissenso anche politico. Questa è la ragione della forte repressione di qualsiasi forma di religiosità organizzata, da quella probabilmente più insidiosa del Falun Gong che ha dimostrato una capacità organizzativa incontrollabile per le strutture statali, a quella di altre religioni, come il cattolicesimo, i cui fedeli, seppure in crescita, non sono che l'un per cento della popolazione, e anche per una semplice questione numerica non potrebbero certo costituire alcun rischio politico. Il fattore che potrebbe favorire aggregazioni incontrollabili è il rapidissimo moltiplicarsi degli utenti collegati ad Internet, che vedono la Cina seconda solo agli Stati Uniti per il numero totale di utenti  (79,5 milioni); nel 2003 l'incremento di persone connesse è stato di 20,4 milioni, con un tasso di crescita del 34,5 %. Sebbene le autorità esercitino una vigilanza della rete molto forte è difficile immaginare che sia possibile mantenere a lungo un controllo efficace ed evitare ogni potenziale aggregazione.

 

Il vincolo energetico allo sviluppo cinese

Un secondo vincolo importante derivante dal modello di sviluppo riguarda il fabbisogno di materie prime per molte delle quali, come ha già riferito Asianews, la domanda cinese ha fatto notevolmente incrementare le quotazioni internazionali. Il dato più preoccupante però riguarda in particolare la sottostima della domanda di petrolio ed idrocarburi, dei quali la Cina è importatore netto dal 1993, da parte non solo delle autorità cinesi ma anche dell'Opec e della IEA (l'Autorità Internazionale dell'Energia). Nel primo trimestre di quest'anno le importazioni petrolifere della Cina sono aumentate del 35,7 % rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e l'incremento delle importazioni nel corso dei dodici mesi del 2003 rispetto all'anno precedente è stato del 31,2 %. La rapida crescita industriale comporta, infatti, un forte aumento dei consumi elettrici: nel 2003 le carenze di forniture elettriche hanno riguardato 21 provincie con continui tagli alle forniture stesse. Anche supponendo un relativamente modesto (per gli attuali parametri cinesi) tasso medio di crescita annuo del 6 %, le sole importazioni di petrolio nel 2020 dovranno essere di sei milioni di barili al giorno, ben sei volte il volume di importazioni del 1999, e pari quasi al volume totale delle esportazioni dell'Arabia Saudita, che è di circa sette milioni di barili giorno. Si tratta di un quantitativo che è ben sei volte il volume di importazioni del 1999, tre volte circa il volume del 2004, con una progressione quindi molto veloce.  D'altro canto, per poter continuare ad espandersi, la Cina necessita di 800 – 900 milioni di chilowatt annui: nel 2003 ad esempio la domanda di energia elettrica è cresciuta di circa il 15 %. La Cina però oggi non riesce a produrre che 350 milioni di chilowatt l'anno. Per coprire l'ammanco di 450 –550 milioni di chilowatt, Pechino contava di far ricorso alle risorse interne di carbone, che nel 2003 ha fornito il 61% dell'energia consumata. Per generare 550 milioni di chilowatt servono 1,2 miliardi di tonnellate di carbone, ma l'estrazione, il trasporto e la combustione di tale quantità di minerale (che essendo estratto localmente non comporta esborsi valutari e grazie ai bassi salari è disponibile a prezzo estremamente concorrenziale), porta problemi ecologici irrisolvibili. Già oggi infatti molte città cinesi sono soffocate dal grave inquinamento causato da obsoleti impianti a carbone e tale inquinamento ha anche effetti climatici sulle precipitazioni, con i relativi rischi di inondazioni in determinati periodi dell'anno e di desertificazione in alcune regioni del paese. Un maggior ricorso al carbone è dunque improponibile. Semmai se ne dovrà ridurre l'utilizzo. Per coprire il fabbisogno addizionale di energia la Cina deve pertanto indirizzarsi verso le altre fonti energetiche: petrolio, gas naturale, energia idraulica e nucleare. Per quanto riguarda il gas naturale la Cina, come ha già riferito AsiaNews, ha firmato accordi di lungo termine per forniture da Australia, Indonesia Turkmenistan e Siberia Orientale. Per quanto riguarda i grandi impianti idroelettrici quelli in costruzione sono 28 mentre l'energia nucleare si prevede che nel 2020 fornirà 36 milioni di chilowatt, il 4 % del consumo elettrico.  I tempi di realizzazione sono però lunghi ed enormi gli investimenti necessari. Un maggior ricorso all'importazione di petrolio è dunque inevitabile e d'importanza non solo economica ma anche politica, visto che già il prossimo anno la Cina diventerà il secondo importatore al mondo dopo gli Stati Uniti e che la Cina, pur avendo cercato forniture alternative in Siberia e nell'Asia Centrale ex sovietica, importa il 60 % del petrolio dal Medio Oriente, area da sempre instabile e dove gli Stati Uniti hanno un forte interesse politico ed economico. Che cosa accadrebbe? Quali ripercussioni ci sarebbero? Dall'inizio di quest'anno le autorità cinesi sembrano essersi rese conto della gravità del problema come AsiaNews ha già riferito in articoli precedenti. La soluzione non sembra però essere né agevole né a portata di mano nel breve periodo e non sono pochi segnali i segni di nervosismo della Cina in merito. In definitiva quello che AsiaNews vuol mettere in luce è che la strategia cinese di riduzione della dipendenza dalle forniture petrolifere del golfo Persico non sta avendo successo e che di fatto la copertura presente e futura del fabbisogno energetico cinese, seppure non irrealizzabile, deve essere considerata a rischio di eventi imprevisti. Se la tensione nel Regno Saudita tra i wahabiti che detengono il potere e gli sciti che vivono nelle zone di produzione petrolifera dovesse portare alla spaccatura del paese, se la situazione irachena dovesse continuare ad essere travagliata come è ora e se le esportazioni iraniane dovessero essere compromesse dallo scontro in Iran tra riformisti e "guardiani" della rivoluzione khomeinista o se questi ultimi dovessero radunare attorno a sé anche gli arabi sciiti della regione sotto un possibile "ombrello" nucleare, anche la Cina finirebbe per subirne le conseguenze, quanto meno in termini di ridotta crescita economica. E il vincolo energetico connesso al modello di sviluppo economico adottato costituisce per la Cina uno dei potenziali fattori di rischio in grado di innescare convulsioni sociali incontrollabili.

 

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