11/11/2023, 09.00
MONDO RUSSO
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Israele, gli ebrei e i 'veri russi'

di Stefano Caprio

L’ostilità verso l’Occidente solletica il lato aggressivo della natura russa, e la maggior parte della popolazione abbocca alla provocazione, soprattutto se si mettono in mezzo gli ebrei. Ma il paradosso è che proprio la Russia, per la sua storia e cultura, è inestricabilmente legata ai destini del popolo ebraico. Come mostra una parodia che circola in rete.

Il rapporto dei russi nei confronti di Israele segue le convenienze delle geometrie politiche internazionali conseguenti al conflitto in atto a Gaza con i palestinesi di Hamas, ma questo non può nascondere la reale dimensione di un confronto cruciale per la stessa identità del popolo russo. Il sostegno alla causa palestinese, che in Russia è esplicito nelle espressioni delle regioni caucasiche musulmane e meno diretto in quelle ambigue del Cremlino, s’incrocia con una vicinanza storica e spirituale tra russi ed ebrei, che replica in modo ancora più evidente la contraddizione di una Russia che pretende di volgersi a Oriente, quando in realtà rimane quanto mai radicata nell’Occidente tanto vituperato.

Israele è un Paese intensamente russofono, in conseguenza delle tante ondate migratorie che risalgono alla fine della seconda guerra mondiale e a quella dell’Unione Sovietica, ma è la Russia a rimanere inestricabilmente legata ai destini del popolo ebraico. Non solo per le assonanze profetico-spirituali, ma moltissimo per i legami di sangue e di cultura, che attraversano la storia antica e recente del popolo stesso. In questo si replica la situazione creatasi con l’invasione dell’Ucraina, uno scontro basato sulla comune identità, essendo la natura russa per sua definizione ambivalente ed “eurasiatica”.

A sottolineare questo paradosso, in questi giorni sta spopolando su internet una parodia dell’attore e scrittore russo-ebreo Semen Slepjakov, già stella di prima grandezza della televisione russa, da tempo emigrato in Israele. Parafrasando la canzone propagandistica del giovane Šaman, Ja russkij (“Io sono russo!”), il comico stand-up ne ha proposto una sua versione negativa di tendenza ebraica, Nie russkij (“Io non sono russo!”), in cui si evidenzia la diversità ebraica rispetto all’identità russa, finendo per ri-definire la russicità alla luce dell’ebraismo.

Nella canzone diventata quasi un nuovo inno nazionale in questi mesi di guerra, il biondo eroe si presenta spavaldo proclamando che Io respiro quest’aria / il sole dal cielo mi guarda / su di me soffia il vento della libertà / che è proprio come sono io, passeggiando sul campo di grano in camicia bianca, sotto il volo delle aquile. Il controcanto di Slepjakov, che imbraccia la sua chitarra seduto con un amico al tavolo della cucina, con una vistosa kippah rossa sul capo, presenta uno scenario decisamente diverso: Mi metto il cappuccio per il gelo / e mangio cibo kosher / e quando attraverso la strada, anche di notte / io passo con il verde. Šaman pretende di evocare le figure epiche delle bilyne, le antiche fiabe russe, con i condottieri intrepidi che attraversano i campi e dominano la natura rigogliosa, mentre l’immagine degli ebrei chiusi nella stanza, impegnati a tramare contro gli uomini onesti e laboriosi, è una reminiscenza di tutti i sensi di colpa dei popoli europei, per lavarsi la coscienza dalle proprie inettitudini.

Eppure, come ogni russo sa bene, la vita quotidiana di chi vive in Paesi freddi si svolge principalmente attorno al tavolo della cucina, per scaldarsi con il tè bollente e le bevande ad alta gradazione alcolica: non è l’ebreo che si nasconde, ma il russo che non riesce a uscire da sé stesso. L’efficacia del lavoro agricolo – tipica piuttosto degli ucraini – è sempre piuttosto incerta sulle terre russe, come descrive la grande letteratura da Gogol ai moderni scrittori “campagnoli”, anche se lo stesso presidente Putin si è vantato in più occasioni, negli ultimi giorni, degli straordinari risultati dei raccolti e del commercio russo dei cereali, nell’ottica del “Paese che rifiorisce contro tutto e tutti”, lo slogan della campagna elettorale che verrà incessantemente ribadito fino alla prossima primavera. L’agricoltura russa ha conosciuto effettivamente una grande crescita negli ultimi anni, ma Putin ha trascurato di precisare che questo è avvenuto grazie ai macchinari e alle tecnologie occidentali, che presto saranno assai difficili da mantenere e rinnovare; e i guadagni dalla vendita di cereali russi si basano sul contrasto all’esportazione di quelli ucraini, uno dei cardini principali della strategia bellica di Mosca.

Invece Slepjakov “mangia cibo kosher”, non si illude di poter godere di un’illusoria e peccaminosa abbondanza, e “passa col verde perfino di notte”, rispettando regole che i russi si vantano di ignorare, distruggendo i confini e i limiti di ogni convenzione. Šaman aggiunge poi che “Ho solo voglia di amare e respirare / non mi serve nient’altro / sono come sono, e nulla mi può distruggere / e questo perché SONO RUSSO! / e vado fino in fondo / sono russo! / e il mio sangue è quello di mio padre”. La spensieratezza, la sfrontatezza e l’audacia sono le maschere putiniane, che nessuno in Russia può prendere veramente sul serio, ben sapendo che il “sangue del padre” è tutt’altro che puro e cristallino, mescolando codici genetici di ogni tipo, e la storia russa mostra proprio l’incapacità di “andare fino in fondo” alle proprie aspirazioni. Quindi l’ebreo più realisticamente afferma che Tengo i soldi in banca / non bevo tutti i giorni / e ho sempre bisogno di qualcosa / una volta all’anno mi controllo dal medico / e questo perché NON SONO RUSSO! / Non mi importa del sangue di mio padre – (gli ebrei, come noto, si distinguono per la discendenza materna ndr) – Mi manca un pezzo per il tutto / e niente va mai come dovrebbe / sono il male universale, perché non sono russo! Se tutti i mali vengono sempre addebitati agli ebrei, è piuttosto evidente che la palma del “principale nemico dell’umanità” oggi è in mano proprio alla Russia putiniana.

Nell’autocelebrazione dell’ipocrisia russa si proclama che Io sono russo / e per questo sono fortunato / Sono russo / alla faccia del mondo intero! / Questa canzone vola nel cielo / e il mio cuore s’infiamma / illuminando la strada verso casa / Sono fatto così, non mi spezzerete / perché sono russo! La canzone di Šaman “vola nel cielo” di tutti gli schermi della propaganda e dei raduni di massa, ma la parodia di Slepjakov precisa che Questa canzone esce su Spotify / e i soldi arrivano sul conto / Sarebbero abbastanza, ma il cuore / mi dice: dammene ancora / tutto ciò che è spirituale mi è estraneo / e solo perché non sono russo! La grande finzione riguarda infatti la “nobiltà degli scopi” delle azioni belliche dei russi, che intendono difendere i “valori morali e religiosi”, così estranei alla vita quotidiana dei cittadini dell’intera Federazione.

Le relazioni tra la Russia e Israele non sono mai state idilliache, fin dagli anni sovietici, anche per la vicinanza politica di Mosca con i principali nemici degli israeliani, dalla Siria all’Iran e altri. Il conflitto con i terroristi di Hamas, i cui rappresentanti sono stati accolti a Mosca poco dopo la strage del 7 ottobre, fa riemergere l’antisemitismo profondo non solo delle regioni musulmane, ma degli stessi russi, che già si era manifestato nella paradossale accusa agli ucraini di essere degli “ebrei nazisti”, un corto circuito molto rivelatore di quanto si agita nella coscienza di Putin e dei suoi accoliti. L’ostilità verso l’Occidente solletica il lato aggressivo della natura russa, e la maggior parte della popolazione abbocca alla provocazione, soprattutto se si mettono in mezzo gli ebrei.

Israele conosce molto bene questi complessi interiori dell’anima russa, essendo in buona parte legato dal sangue e dalla storia comune, e non a caso il governo di Netanyahu è stato molto prudente nel sostegno all’Ucraina, a cui non ha voluto inviare carichi di armi o condividere tecnologie belliche. Per quanto la Russia possa sostenere Hamas, come ha sostenuto in passato i palestinesi anche in azioni di terrorismo, a Tel Aviv sanno che questo sostegno non sarà mai decisivo, ma si limita a una retorica globale per incolpare gli Stati Uniti e l’Occidente, tramite Israele come già con l’Ucraina, di tutti i mali dell’ordine geopolitico mondiale.

Alla Russia “serve solo il caos”, come osserva amaramente Anna Borščevskaja, esperta dell’Istituto per la politica mediorientale a Washington, “e l’escalation dei conflitti è la sua unica strategia”. La canzone di Šaman ripete che il russo “va fino in fondo”, ma Slepjakov rivela che in realtà “il suo cuore dice: dammene ancora”, perché il “vero russo” non è mai certo della sua vera identità, e non può ammettere che l’americano, l’europeo e soprattutto l’ebreo, sono dimensioni inestirpabili dell’anima russa.

 

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