06/02/2012, 00.00
SRI LANKA
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Jaffna: Sfollati dal 1990, il governo dimentica migliaia di persone

di Melani Manel Perera
Nel campo profughi di Udduppidi vivono 100 famiglie, 52 in quello di Sinnaweli. Da un anno il governo considera queste persone “reinsediate” e non invia più farina, riso, lenticchie, olio di cocco e zucchero. Gli sfollati: “Senza dignità, vogliamo essere cittadini del nostro Paese”.
Jaffna (AsiaNews) – “La guerra e gli espropri ci hanno tolto ogni dignità di esseri umani. Quando torneremo a essere cittadini nel nostro Paese?”. Se lo chiedono centinaia di famiglie, originarie della penisola di Jaffna e altre zone della Northern Province dello Sri Lanka, che dal 1990 vivono nei campi per Idps (Internally Displaced People, sfollati interni). Tra questi, migliaia di persone dell’area di Pallali (città della penisola di Jaffna) che il governo ha trasferito nel campo di Sinnaweli e nel campo J-354 di Udduppidi. Da legittimi proprietari di case e terreni, a profughi che non hanno più un lavoro, né aiuti dal governo, perché “la guerra è finita”. Così, mentre lo Sri Lanka celebra in questi giorni il 64mo anniversario dell’indipendenza, da quasi un anno le famiglie di questi campi non ricevono derrate alimentari.

Il campo J-354 di Udduppidi si trova su un terreno privato, appartenente a un tamil che risiede all’estero. Qui vivono 100 famiglie, cinque delle quali sono “guidate” da donne, rimaste vedove durante la guerra. “Avevamo una bella vita – raccontano ad AsiaNews alcune di loro –, eravamo agricoltori e le nostre terre ci davano tutto il necessario per la sussistenza. Invece, da quando siamo qui conduciamo delle vite miserabili. Non abbiamo nulla”.

Negli ultimi sei mesi, le loro condizioni di vita sono ancora peggiorate. Il governo infatti ha sospeso la distribuzione di aiuti alimentari. “Le autorità – spiegano le donne – vogliono mostrare al mondo che non ci sono più profughi, né campi. Così, noi non riceviamo più riso, lenticchie, farina, zucchero e olio di cocco. Ma non avendo più un lavoro, facciamo ancora più fatica”. A questo, sottolineano alcuni uomini, “si aggiunge un altro problema: non potendo provare di essere proprietari di una terra o di una casa, la banca non ci concede alcun tipo di prestito. Così, non possiamo avviare attività. E le 300-400 rupie [circa 2 euro] che riusciamo a guadagnare in una giornata, non bastano al fabbisogno di una famiglia”.

Gli sfollati del campo di Sinnaweli vivono in condizioni simili. Sono 52 famiglie di pescatori, per un totale di 250 persone, sempre provenienti dall’area di Palali. La maggior parte di loro sono cattolici, i restanti sono indù. Il campo sorge a Wadamarachchi, vicino alla spiaggia, e ogni anno, durante la stagione delle piogge, le persone sono costrette a spostarsi a causa delle alluvioni. Vi sono 40 giovani che hanno studiato fino al diploma, ma non riuscendo a trovare lavoro aiutano i loro padri nella pesca. “Un’attività – spiegano alcune persone – non più sufficiente alla sussistenza minima di una famiglia”.

Il governo ha sospeso gli aiuti alimentari per questo campo da un anno. Inoltre, le autorità hanno classificato queste famiglie come “reinsediate”, non più come “da reinsediare”. La gente di Sinnaweli si chiede: “Che senso ha tutto questo? Perché il governo gioca con le nostre vite? Non siamo mendicanti. Abbiamo proprietà, terre, case, a pochi chilometri da qui. Che fine hanno fatto? A lungo abbiamo cercato di discutere con i funzionari locali, ma senza alcun successo. Vogliamo tornare a Palali. Le nostre vite sono lì”.
 
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