06/06/2022, 08.57
RUSSIA
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Khanty e mansi, i piccoli popoli della Siberia

di Vladimir Rozanskij

Sono ormai poche migliaia di persone. La definizione dei territori e l’integrazione dei popoli continua a essere la priorità dei russi. Mosca vorrebbe ridurre tutte le proprie etnie – ucraini compresi – al folclore addomesticato dei khanty e dei mansi.

Mosca (AsiaNews) – Lo specialista Arkadij Baulo, vice direttore dell’Istituto di archeologia ed etnografia dell’Accademia delle Scienze di Russia, ha illustrato su Sibir.Realii le condizioni attuali di due popoli minori della Federazione russa: i khanty e i mansi. Si tratta ormai di poche migliaia di persone che risiedono nella provincia autonoma Khanty-Mansijskaja, mezzo milione di chilometri quadrati al centro della Siberia dove vive un milione e mezzo di persone, l’80% dei quali è costituito da russi e tatari.

Si tratta di due gruppi etnici distinti, ma con un destino comune, i cui nomi sono legati perfino nel titolo della città principale di Khanty-Mansijsk. Fino al 1940 la città si chiamava Ostjako-Vogulsk, perché i primi colonizzatori russi chiamavano i khanty “ostjaki”, e i mansi “voguly”. In realtà, più che alla città la vita di questi popoli è legata ai fiumi e alla taiga: ogni ceppo familiare dei khanty riceveva in usufrutto un fiume da cui trarre le proprie ricchezze  senza intaccarne le risorse naturali, protette dagli dèi dei boschi e dei fiumi. In famiglia si conservavano le immagini lignee di queste divinità, in un luogo sacro del granaio detto “ambar”.

Nell’ambar si doveva entrare “senza cattivi pensieri”, che altrimenti avrebbero provocato l’apparire di strisce nere sui tronchi degli alberi; ancora oggi i viaggiatori si meravigliano dello straordinario biancore delle betulle della valle dei khanty sul fiume Ob, che con i suoi 3.560 chilometri compete con il Volga e lo Enisej per la palma del più lungo di Russia.

A inizio di quest’anno è stata inaugurata ad Akademgorodok, la cittadella universitaria della capitale siberiana di Novosibirsk, una mostra degli oggetti di culto dei khanty e dei mansi, che ha suscitato un grande interesse ed è uno dei fiori all’occhiello della politica statale di recupero delle culture locali. Come spiega Baulo, “i khanty si dividono in due parti: nella zona dello Jamal vivono i settentrionali, nella regione di Tomsk i meridionali”.  I mansi vivono invece nella provincia di Berezovsk (delle betulle) dove è morto al confino il favorito di Pietro il Grande, Aleksandr Menšikov; una piccola parte di essi vive nella regione di Sverdlovsk sugli Urali.

L’origine dei due gruppi è piuttosto complessa: i khanty sono un popolo originario della zona artica, mentre i mansi sono ugro-finnici, parenti degli ungheresi, degli estoni e dei finlandesi, provenienti dalla steppe meridionali, come testimonia uno dei loro dèi principali, il cavaliere Mir-Susne-Kum. Nella taiga nessuno prima dei mansi usava il cavallo. La città di Khanty-Mansijsk è ricordata come il luogo dello scontro tra le armate del principe Samara e del cosacco Ermak nel 1582, uno degli episodi decisivi per la conquista russa della Siberia.

I russi hanno da sempre il problema dei confini, come si vede anche negli scontri in Ucraina di questi giorni. Invadendo la Siberia nel XVI secolo hanno deportato tutti i mansi che stavano a occidente degli Urali, concentrandoli sul versante asiatico.  Lì si integrarono non senza difficoltà con i khanty, che a loro volta si dovevano liberare dei nenezi cannibali, cacciati verso gli spazi più settentrionali. Alcuni sostengono che i mansi siano piuttosto di origine iranica, e siano venuti in gran parte dal meridione centrasiatico.

Khanty e mansi sono oggi di fatto un popolo solo, anche se al loro interno si conservano le differenze linguistiche e alcune caratteristiche genetiche, che distinguono i turanici dagli europei. Sono gruppi formati da gente laboriosa, che ha sempre vissuto di caccia e pesca, ma anche abili nell’edilizia e nella cura dell’ambiente. I khanty hanno conservato l’arte venatoria della caccia alle renne che attira gente da tutto il mondo, essendo praticamente l’unica zona dove è permessa.

La colonizzazione della Siberia è avvenuta gradualmente, prima con l’espansione militare, poi con l’evangelizzazione cristiano-ortodossa e infine con l’istituzione di una vasta rete amministrativa, che si basava sul sistema dei lager, chiamato nei tempi sovietici “l’arcipelago Gulag” raccontato da Aleksandr Solženitsyn. La definizione dei territori e l’integrazione dei popoli continua a essere la priorità dei russi, che vorrebbero ridurre tutte le etnie, ucraini compresi, al folclore addomesticato dei khanty e dei mansi.

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