24/08/2008, 00.00
CINA
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La Cina era davvero pronta ad ospitare le Olimpiadi?

di Li Datong*
Le Olimpiadi sono state l’evento più importante degli ultimi decenni per il Paese, una vetrina per mostrare al mondo le capacità organizzative e lo strapotere fisico dei suoi atleti, che hanno trionfato nel medagliere. Una manifestazione che il governo di Pechino voleva “libera da implicazioni politiche”, e che per primo egli stesso ha “politicizzato”. Un'analisi di Li Datong, giornalista cinese licenziato per aver criticato la censura.

Pechino (AsiaNews/OD) – Una delle domande che mi sono state poste nel corso di una intervista alla Bbc, alla vigilia della cerimonia di apertura delle Olimpiadi, mi ha disorientato un po’: “Cosa si aspetta dai Giochi?”. Dopo una breve riflessione ho replicato: “Mi aspetto di vedere il meglio delle competizioni sportive”.

Forse non è stata la risposta che il giornalista voleva, ma di certo era la più onesta. I Giochi olimpici, in scena a Pechino dall’8 al 24 agosto, sono senza dubbio l’evento politico più importante degli ultimi decenni. Gli organizzatori cinesi nutrivano una profonda motivazione politica di base – ovvero mostrare al mondo il traguardo raggiunto dalla Cina come potenza su scala mondiale, organizzando i Giochi più spettacolari e imponenti della storia. Anche le cronache della stampa internazionale sui Giochi hanno registrato un taglio altamente politicizzato. Entrambi, organizzatori e media, sono responsabili di aver portato “la politica nelle Olimpiadi”. Questa commistione – generata da differenze culturali, analisi storiche, sistemi politici e livelli di sviluppo sociale raggiunto – ha offuscato il più importante evento sportivo della storia dell’umanità. Ciò è disdicevole e irritante.

La cerimonia stessa di apertura ha registrato giudizi diversi e discordanti nei vari media (inclusi i siti internet), come è successo anche all’interno della mia cerchia di amicizie. Per la maggior parte degli osservatori cinesi e internazionali è stata un “successo spettacolare”, ma per gli intellettuali che hanno un atteggiamento critico verso la Cina era “tutto corpo e niente spirito”, “tutta concentrata sulla tradizione antica e restia alla modernità” e “ripiegata solo su se stessa, sulla Cina, senza aperture al mondo”. Zhang Yimou, regista e autore della cerimonia, non ha goduto di piena libertà artistica; in un documentario relativo ai passaggi che hanno portato all’approvazione dello spettacolo, un leader governativo non nascondeva le proprie critiche per la proposta iniziale presentata dal regista perché “non ostentava i grandi risultati ottenuti dalle riforme” [volute dal Partito]. Nella rappresentazione della stampa [alla cerimonia iniziale] , è emerso un carattere cinese, che sembrava un assenso al concetto di “società armoniosa” proposto dal governo. Mostrando così in effetti il compromesso di Zhang fra politica e arte.

Nonostante l’alto livello di sicurezza, diversi manifestanti venuti dall’estero hanno potuto appendere cartelloni e striscioni inneggianti al “Tibet libero” su aste e pali nei pressi dello stadio Nido d’Uccello. Su internet ho visto foto di pacifici dimostranti stranieri strattonati e scagliati a terra dalla polizia. Il primo giorno dei Giochi un incolpevole turista americano è stato ucciso da un cinese malato di mente, che poi si è suicidato. Poi vi sono stati gli attacchi terroristici nello Xinjiang. Tutto ciò ha allungato un’ombra sui Giochi, oltre che essere un chiaro segnale che la Cina non è ancora sufficientemente matura a livello psicologico per organizzare le Olimpiadi – e l’occidente non  ancora pronto a permettere alla Cina di sedere nel club olimpico.

Il vecchio sogno

A partire dal 1896, quando hanno preso il via i Giochi dell’era moderna, solo 16 Paesi hanno ospitato le Olimpiadi. Sono tutte nazioni, fatta eccezione per il Messico, industrializzate e in alcuni casi delle superpotenze mondiali. Il lavoro organizzativo che è alla base dei Giochi implica che, anche per il futuro, solo nazioni ricche e potenti potranno permettersi il lusso di ospitare l’evento. L’occidente ancora oggi non ha ancora capito la Cina e mal sopporta il suo prepotente ingresso in questa ristretta elite. Tanto che i dubbi avanzati sull’opportunità di assegnare i giochi alla Cina erano tutti di natura squisitamente politica.

Nel 1908 un articolo pubblicato sul Tiantsin Young Men poneva tre domande fondamentali: quando la Cina avrebbe partecipato alle Olimpiadi? Quando il Paese avrebbe vinto la prima medaglia d’oro? Quando avrebbe ospitato i giochi? Queste domande dimostravano l’interesse per lo “status” della Cina nella cerchia degli intellettuali, i quali oggi promuovono sui media del Paese l’immagine delle Olimpiadi quali “un sogno lungo un secolo”. Per la Cina le Olimpiadi non sono il simbolo di una crescita nel mondo dello sport, ma il suo essere diventata una potenza internazionale. Il Paese ha rinnovato se stesso attraverso tre decadi di riforme economiche e ha dimostrato di saper organizzare i Giochi facendo incetta di medaglie: i leader cinesi hanno deciso che, per la prima volta, fosse giunto il tempo di far divenire realtà il sogno a lungo atteso.

Ma la decisione, basata solo sulle abilità organizzative nella preparazione dell’evento, si è dovuta scontrare fin dall’inizio con numerose sfide. In primis, le proteste “pro-Tibet” che grazie al palcoscenico offerto dai Giochi hanno registrato una eco mediatica senza precedenti, costringendo il governo centrale a riaprire i colloqui con i rappresentanti del Dalai Lama. Diversi incidenti, fra cui le dimostrazioni al momento dell’accensione della torcia olimpica e lungo il tragitto nei cinque continenti, hanno trasformato il viaggio della fiamma – simbolo di amicizia – in una fonte di “umiliazione”. I media internazionali hanno di continuo esercitato pressioni sulla Cina sulla questione dei diritti umani e la libertà di stampa. All’interno dei confini nazionali, le proteste innescate a causa dei ripetuti casi di ingiustizie sociali, si sono trasformate in un incubo per le autorità centrali, e le misure antiterrorismo sono state ingigantite a dismisura al fine di controllare le voci contrarie, i dissidenti politici e quanti hanno dato la parola a chi ha patito ingiustizie e sofferenze.

La nuova normalità       

Per il governo cinese la storia è fonte di “orgoglio e vergogna”, per questo sono così preoccupati per “l’immagine internazionale” del Paese e della leadership politica. Per questo nel corso della cerimonia di apertura erano presenti mimi di appena 9 anni e fuochi d’artificio realizzati dai computer, diffusi nelle televisioni di tutto il mondo, mentre i parchi della capitale destinati dalle autorità alle dimostrazioni (previa autorizzazione) erano vuoti. I leader non hanno capito che tutte queste falsità gettano il dubbio anche sui successi reali e che il loro tentativo rozzo di nasconderli causa solo maggior disonore.

In passato i leader della Cina hanno capito la realtà della scena politica. Due ex figure di primo piano del Partito, Hu Yaobang e Zhao Ziyang, una volta hanno ammesso apertamente che “ci si deve abituare a governare, mentre la gente esprime il proprio dissenso” e che “dobbiamo imparare a governare nonostante vi possano essere disordini di piccole o medie proporzioni”. Sfortunatamente questa visione e prontezza psicologica è stata spazzata via dagli incidenti di piazza Tiananmen del 1989 e da allora non è più tornata in auge. I leader cinesi hanno bisogno di riformare la loro visione su ciò che è “normale” nello stato di una nazione.

Quando sono sorte frizioni con l’occidente, il governo cinese ha sempre cercato un compromesso, anche in maniera forzata, non voluta o poco plausibile. Ciò riflette il desiderio del governo di essere accettato e rispettato come esponente autorevole della comunità internazionale, un sentimento che è di per sé essenziale per aiutare a rendere possibili le riforme necessarie.

Quando, con tutta calma, i leader cinesi saranno capaci di affrontare le proteste interne e internazionali, e quando il presidente cinese potrà appassionarsi per un evento sportivo come il suo omologo americano, invece che sedere sulle poltroncine impassibile come un pezzo di legno… in quel momento potremo finalmente dire: “la Cina è pronta!”.  

 

 

* Li Datong è un giornalista cinese che in passato ha diretto il Bingdian (Freezing Point), un supplemento settimanale del quotidiano China Youth Daily, uno degli organi di informazione più influenti del Paese. Nel gennaio 2006 è stato licenziato per aver criticato la censura e l’influenza del Partito sulla stampa. Il presente articolo è stato pubblicato per primo da“Open Democracy” (www.openDemocracy.net ).

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