La denuncia: 'Migranti birmani in Thailandia sfruttati e sottoposti a estorsione'
Dal Myanmar in 4 milioni si trovano nel Paese vicino, metà senza documenti regolari, dopo il golpe del 2021 che ha fatto precipitare il Myanmar nella guerra civile. Human Rights Watch parla di intento utilitaristico di Bangkok nella gestione dell'immigrazione, con un meccanismo di selezione che non si applica anche a Cambogia e Laos. "Autorità thailandesi si allineino agli standard internazionali".
Roma (AsiaNews) - Un recente rapporto di Human Rights Watch segnala le difficili condizioni in cui si trovano molti fra i birmani costretti a fuggire dal Myanmar verso la Thailandia dal febbraio 2021. Cercando riparo dal conflitto che insanguina e destabilizza il Paese dalla presa di potere dei militari. Le 48 pagine di “‘I Will Never Feel Secure’: Undocumented and Exploited Myanmar Nationals in Thailand”, pubblicate il 14 luglio, confermano alcune tendenze tipiche dell’accoglienza nel Paese del Sorriso di persone perseguitate nella terra d’origine, come l’intento utilitaristico nella gestione dell’immigrazione.
In quest’ultimo aspetto Bangkok è sostenuta dalla mancanza di adesione a importanti trattati o convenzioni sulla protezione di persone straniere non classificabili come migranti lavoratori. È significativa la definizione che HRW indica come ricorrente tra i birmani per le aree frontaliere, in particolare la città thailandese di Mae Sot: “walking ATMs” (bancomat ambulanti). “Dopo essersi lasciati alle spalle guerra, persecuzione e privazioni, i cittadini del Myanmar hanno bisogno di protezione in Thailandia. Invece la Thailandia nega loro un condizione legale certa e le sue autorità usano questa vulneraiblità per sfruttarli e sottoporli a estorsione”, ricorda Nadia Harman, ricercatrice per i diritti dei profughi e dei migranti di Human Rights Watch.
Si calcola che attualmente vi siano nell’ex regno del Siam 4 milioni di birmani, di cui la metà senza documenti regolari. Questi ultimi, sostiene l’organizzazione umanitaria, non hanno fatto una scelta di comodo scegliendo di entrare in Thailandia, ma una scelta necessaria dovuta al bisogno di sicurezza e di una qualche fonte di sostentamento. Nonostante gli intenti legati alla sopravvivenza propria e del nucleo familiare, si ritrovano a subire forme di oppressione e negazione dei loro diritti organizzati da coloro che dovrebbero occuparsi della loro sicurezza.
Diffuso, ad esempio, è il sistema estorsivo basato sulla vendita ai birmani di “police cards”, tessere proposte per aprire un qualche passaggio verso l’acquisizione di documenti legali, o anche solo per evitare l’arresto. Chi non le vuole o non può ottenerle ha come alternativa una auto-reclusione per evitare il rimpatrio forzato. Il pagamento non evita comunque l’espulsione, come quelle di massa di migliaia di persone, tra cui molti bambini, senza preavviso dopo alcuni giorni in detenzione.
Senza leggi specifiche o particolari obblighi internazionali in materia di migrazioni irregolari, nel 2023 il governo di Bangkok ha introdotto un nuovo meccanismo di selezione di quanti chiedono protezione nel Paese. Ma ciò non si applica a cittadini di Myanmar, Cambogia e Laos. A sua volta, il rinnovo dei permessi di lavoro non viene garantito ai tanti birmani già occupati in Thailandia in condizioni difficili, e spesso è condizionato a pressioni e sopraffazioni di vario genere. Tra queste, la consegna di documenti di impiego e residenza contraffatti o l’assunzione da parte di individui o gruppi che sono solo una copertura per truffe ai danni delle persone migranti.
A fronte di questa situazione, il rapporto di HRW chiede che “le autorità thailandesi si allineino agli standard internazionali per garantire una protezione reale a chi fugge del Myanmar. Il governo thai dovrebbe mettere fine allo sfruttamento e alle sofferenze di diversi milioni di cittadini del Myanmar senza documenti regolari”. A partire, viene specificato dall’ong internazionale, dall’introduzione di un regime di protezione temporanea.