25/06/2022, 09.00
MONDO RUSSO
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La guerra della sposa che si sente tradita

di Stefano Caprio

I Paesi con cui la Russia oggi si sente in contrapposizione non sono i “nemici”, ma i Paesi “non amichevoli”. Per capire in profondità questa definizione si possono ricordare le tesi di Vladimir Solov’ev, che alle soglie del XX secolo ricordava la “natura femminea” della Russia. In questa prospettiva la guerra è una reazione che afferma l’ingiustizia e la violenza maschile di un Occidente che vive solo di sé stesso e non onora la capacità di sacrificio della sua sposa, il suo desiderio di generare un mondo nuovo.

La guerra della Russia, che ha ormai superato i quattro mesi di violentissimi scontri, sembra essersi circoscritta al controllo delle regioni del Donbass, considerando tale zona nella sua versione più ampia, ma pur sempre ridotta alla fascia sud-orientale dell’Ucraina. Dalle nebbie dei bunker del Cremlino emergono di tanto in tanto proclami di nuovi assalti a Kiev e a tutto il resto del Paese “nazificato”, magari coinvolgendo la Bielorussia dell’incerto Lukašenko, e qualche deputato della Duma si spinge a minacciare la Lituania che blocca il transito all’enclave russa nel Baltico di Kaliningrad, per non ricordare le minacce nucleari ricorrenti di Putin e del suo ebbro sodale Medvedev.

Al di là delle vicende strettamente belliche, la guerra del risentimento russo verso l’Occidente ha orizzonti e dimensioni ben più ampi e profondi, dovendo dimostrare al mondo intero la necessità di ascoltare il messaggio di salvezza che la Russia invia a tutta l’umanità, come ha ricordato il nuovo “ministro degli esteri” del patriarcato, il giovane metropolita Antonij. Ecco allora che non si tratta soltanto di tracciare la linea del fronte ucraino o lituano, e neppure nei confronti della tanto odiata Nato degli anglosaksy e dei loro coloni europei. C’è un termine russo che distingue i Paesi con cui la Russia si sente in contrapposizione, e in dovere di testimonianza della verità calpestata: non sono i “nemici”, ma i Paesi “non amichevoli”, nedružestvennye strany. Il termine non indica neppure l’ostilità o lo schieramento ideologico contrario come ai bei tempi sovietici, semmai una “diversità morale” e sentimentale: il drug è l’amico, il nedrug è l’amico che ti ha tradito, e ha preso una strada sbagliata.

La lista dei Paesi “non amichevoli” si è ampliata in questi mesi, passando da 2 (Repubblica Ceca e Usa) a 48, tra cui tutti quelli della Ue (tranne in parte l’Ungheria), la Svizzera, i Paesi della Nato e i loro alleati asiatici, tutti quelli che sostengono in qualche modo l’Ucraina e si uniscono anche solo di striscio alle sanzioni contro la Russia. Da questi Paesi non si accettano più gli studenti, anche se non vengono bloccati gli uomini d’affari e i turisti che ancora hanno interesse a visitare il Paese, perché “i russi non sono nemici di nessuno”, come ripete spesso il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov. La definizione di “non amichevole” è stata precisata da un’apposita legge del 2018, applicandola a quegli Stati che “compiono azioni non amichevoli nei confronti della Federazione Russa, dei cittadini russi o delle istituzioni russe”. Ovviamente le sanzioni rientrano come la principale azione assai poco amichevole, ma si aggiungono le iniziative che mettono in pericolo “l’integrità territoriale della Russia o sono rivolte alla sua destabilizzazione economica e politica”.

A inaugurare la lista della non-amicizia furono la Repubblica Ceca e gli Usa, che ad aprile 2021 espulsero un gran numero di diplomatici russi, e da Washington arrivarono anche delle sanzioni aggiuntive contro Mosca. A decidere a chi si applica il titolo del tradimento sentimentale, per legge, è solo il presidente della Russia, che ha il diritto-dovere di “decidere le misure di compensazione” nei confronti dell’ex-amico, che possono andare dal divieto di collaborare con persone giuridiche russe a quello di commerciare in diversi settori produttivi. In realtà non c’è una limitazione formale a queste misure, che possono riguardare qualunque dimensione dei rapporti che esprimano l’efficacia della punizione per chi ha inflitto dolore e umiliazione alla Russia, come a una moglie tradita.

Per meglio comprendere questa sensibilità femminile dei russi nei confronti degli affetti e dell’amicizia negata, si possono ricordare le tesi di uno dei più famosi filosofi russi, Vladimir Solov’ev, che alle soglie del XX secolo ricordava la “natura femminea” della Russia, la sua ženstvennost. L’espressione non intende circoscrivere il genere (Solov’ev era un femminista ante litteram), ma applicare una dimensione che appartiene a qualunque forma di vita del genere umano: uomini, donne, popoli e nazioni, chiese e partiti, ma soprattutto agli esseri umani chiamati ad esercitare il potere. Nei “Tre discorsi in memoria di Dostoevskij”, Solov’ev ricorda la visione di San Giovanni nell’Apocalisse della “donna vestita di sole”, che secondo lui rappresenta la Russia che genera un nuovo verbo, la parola di verità che i russi devono annunciare al mondo intero. Per il filosofo tale messaggio è “la parola della riconciliazione tra Oriente e Occidente, nell’unione della verità eterna di Dio con la libertà umana”.

Sarebbe lungo ripercorrere le interpretazioni solovieviane dei principi maschile e femminile, che egli ha descritto in varie opere come il “Significato dell’amore”. Di certo la “femminizzazione” della Russia è vista come un riflesso dell’unione escatologica dell’umanità, intesa come la Sposa, con il suo Sposo che è Cristo, secondo l’immagine biblica del Cantico dei Cantici, a cui lo stesso Gesù si riferisce in tante metafore nuziali e riferimenti come quello all’amico dello Sposo, quel Giovanni Battista che deve attestare l’unione coniugale consumata tra l’umano e il divino. Solov’ev tentò perfino di tradurre queste visioni in un progetto politico-spirituale, espresso nella monumentale riflessione sulla “Russia e la Chiesa universale”, in cui lo zar russo si affianca al papa di Roma in una grandiosa unione dei cristiani e dei popoli per l’affermazione di quella che egli chiama la “libera teocrazia”, il sistema che realizza fino in fondo l’incarnazione e la redenzione dell’uomo in Cristo.

Il filosofo russo spiega che “il fondamento della cultura orientale è la sottomissione dell’uomo in tutto alla forza soprannaturale, mentre quella occidentale insegna l’autonomia dell’uomo che si fa da sé”, in una comparazione tra “umiltà” e “dignità” che genera la necessità di una “terza forza”, rappresentata appunto dalla Russia, che “riconcilia l’unità del principio superiore con la molteplicità della libertà delle varie forme”. La missione della Russia si realizza dunque superando “l’aspetto esteriore dello schiavo, la condizione miserevole di inferiorità economica e sociale che non contraddice la sua vocazione, anzi la esalta”, perché come affermava anche Dostoevskij, amico e ispiratore dello stesso Solov’ev, nei russi si esprime “la capacità inusitata di appropriarsi dello spirito e delle idee degli altri popoli, di reincarnarle nell’essenza spirituale della nostra nazione”. Conclude Solov’ev che “noi come popolo siamo salvati non dall’egoismo e dalla presunzione, ma dallo spirito di sacrificio nazionale, in cui consiste la nostra autentica identità”. Questo ideale spirituale e religioso, insito nell’animo del popolo russo, lo distingue dalla “superba Francia” o dalla “antica Anglia”, e anche dalla “fedele Germania”, per mostrare al mondo la “santa Russia”.

Le visioni di Solov’ev non vengono normalmente citate in Russia, per l’ostracismo ufficiale nei suoi confronti a causa della sua conversione al cattolicesimo, che egli volle per “sentirsi autenticamente ortodosso”. Né furono accolte le sue grandi proposte ecumeniche e sociali, che pure ispirarono molti, perfino il papa Leone XIII a cui furono sottoposte e che in qualche modo si riflettono nella dottrina papale sulla “terza via” tra liberalismo e socialismo. Eppure il grande filosofo proponeva in forma “mistica” ciò che i russi hanno sempre cercato di realizzare, e sognano anche oggi, quella nuova sintesi in cui non c’è contrapposizione tra Oriente e Occidente, ma rivelazione del volto autentico di entrambi.

Per questo la Russia non può avere “nemici”, proponendosi come l’amata del Cantico che cerca il suo sposo in ogni giardino e in ogni anfratto della valle. Se l’amato ti tradisce, egli è il “non-amico” che suscita un moto di delusione e profondo rancore, e più che il tradimento a far soffrire la Russia è la mancanza di considerazione, l’offesa dell’indifferenza, l’incapacità di vedere la bellezza dell’amata. La guerra russa è una reazione femminea, che afferma l’ingiustizia e la violenza maschile di un Occidente che vive solo di sé stesso e non onora la capacità di sacrificio della sua sposa, il suo desiderio di generare un mondo nuovo. Il mondo della superbia mascolina vive di soddisfazioni materiali, e pensa di affermarsi con delle banali sanzioni economiche, non sapendo che in questo modo farà risplendere ancora di più la purezza e la meraviglia dell’eterno femminino della santa Russia.

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