01/12/2005, 00.00
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La nuova alleanza Peres-Sharon: una tragedia "postmoderna"

di Arieh Cohen

Per alcuni la nuova alleanza di centro-destra favorirà la pace; per altri sarà inutile. Per i cattolici è possibile un voto per Sharon.

Tel Aviv (AsiaNews) – L'annuncio che Shimon Peres ha lasciato il partito laburista per sostenere Ariel Sharon nelle prossime elezioni è stato uno shock anche se ce lo si aspettava. L'82enne Peres è stato un protagonista del movimento Labour per tutta la vita; è stato anche leader del partito molte volte, all'opposizione e al governo.

L'opinione pubblica israeliana lo ha sempre visto come il capo indiscusso del "partito della pace" più spinto: l'esatto opposto dell'immagine di Sharon, nazionalista e aggressivo. É vero che Sharon, dopo il ritiro unilaterale di militari e coloni dalla striscia di Gaza, è visto da molti fuori d'Israele come uno che si è convertito al "partito della pace". Ma all'interno del Paese non sono in molti a vederlo così. Lo stesso Sharon ha fatto capire più o meno che egli vuole una soluzione unilaterale al conflitto coi palestinesi (per esempio costruendo il Muro nella West Bank), e non una pace negoziata, sul modello di quella che Peres ha sostenuto per vari anni.

Peres non è l'unico politico del Labour ad aver cambiato bandiera. Almeno altri due politici, ex ministri, hanno seguito i suoi passi. L'impressione generale è quella di una "politica postmoderna", della morte delle ideologie, e la trasformazione della politica elettorale in una ricerca personale di fama e potere. In più, la decisione di Peres è considerata una tragedia personale. Di recente egli ha fallito il tentativo di essere rieletto come leader del Labour Party.

Il vincitore, con il 2% in più dei voti, è un uomo molto più giovane di lui, Amir Peretz, il carismatico capo della Confederazione generale dei sindacati. Il nuovo leader gli ha offerto la presidenza del partito, ma Peres, pur ottuagenario, non si sentiva pronto a una posizione onoraria e ha deciso di influenzare ancora il processo politico pur abbandonando la sua pluridecennale fede nel Labour.

Un diplomatico, conoscitore della politica italiana, ha fatto questo esempio: "É come se D'Alema [il presidente dei Democratici di sinistra, ex comunista] abbandonasse il suo partito e si mettesse insieme a Gianfranco Fini [leader di Alleanza Nazionale, il partito di estrema destra]". Oppure, in termini americani, è come se Jimmy Carter lasciasse il Partito democratico per sostenere il repubblicano Bush.

È ancora troppo presto per riflettere sull'influenza che la mossa di Shimon Peres avrà sui risultati delle elezioni de 28 marzo prossimo. Stando alla logica, egli porterà via solo alcuni voti al Labour Party per consegnarli al Kadimah (Avanti!), la nuova formazione di centro-destra di Sharon, lasciando inalterato il blocco nazionalista non estremista.

Da parte sua Sharon, dopo aver abbandonato il Likud e aver fondato il nuovo partito, continua a primeggiare in tutti i sondaggi. Ma alcuni osservatori attenti fanno notare che il pubblico votante è essenzialmente conservatore: è perciò probabile che la maggior parte dei votanti il Likud rimanga in quel partito. Altri sono però del parere che il panorama politico si sta ridisegnando e che la politica post-ideologica e postmoderna abbia ormai sostituito il vecchio panorama di appartenenze, come uno tsunami o un terremoto. Ma fino al 28 marzo vi è ancora tempo.

Tutto ciò non ha quasi alcun significato per la piccola comunità cristiana in Israele. La grande maggioranza dei cristiani israeliani appartiene alla minoranza araba e la loro preoccupazione più acuta – diritti civili e uguaglianza – è condivisa dalla più numerosa comunità araba musulmana. In Israele non vi è mai stato un "voto cristiano", né tanto meno un "voto cattolico": non vi è nemmeno accordo su quali siano gli "interessi cristiani". In via di principio, tali interessi sono espressi di più da un governo secolare e di sinistra: in Israele, di solito è la sinistra laica la più impegnata sui diritti civili e la libertà religiosa.

Nonostante ciò, in termini concreti, Israele non ha mai avuto un Primo ministro così attento ai problemi dei cattolici come Ariel Sharon. Fu il Labour Party (con Ehud Barak) a decidere la costruzione di una moschea fondamentalista proprio di fronte alla basilica dell'Annunciazione a Nazareth. E fu Sharon che in seguito cancellò la (sventurata) decisione.

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