14/05/2025, 14.34
SIRIA
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La promessa di Trump sulle sanzioni: gioia a Damasco, ma ancora tante incognite

di Alessandra De Poli

Fuochi d’artificio e festeggiamenti in Siria dopo l’annuncio del presidente Usa. Il nuovo governo guidato da Ahmed al-Sharaa, che ha incontrato Trump a Riyadh, in Arabia Saudita, cerca legittimità internazionale, mentre cresce l’interesse dei Paesi della regione alla riapertura dei commerci. Ma oltre 10 anni di embargo hanno lasciato profonde ferite economiche e sociali che sarà difficile sanare.

Damasco (AsiaNews) - L’annuncio del presidente statunitense Donald Trump di rimuovere le sanzioni alla Siria è stato accolto con fuochi d’artificio, spari e in generale grandi festeggiamenti nelle principali città siriane. Dopo la caduta del regime di Bashar al-Assad e l’arrivo al governo di Ahmed al-Sharaa, leader della milizia (ex) jihadista Hayat Tahrir al-Sham (HTS), la popolazione aveva grandi aspettative riguardo la ripresa economica. Alle dichiarazioni è seguito anche un incontro di circa mezz’ora tra Sharaa e Trump, che si trova a Riyadh per firmare una serie di accordi commerciali con i Paesi del Golfo. Eliminare le sanzioni, tuttavia, e promuovere la ricostruzione del Paese dopo oltre 10 anni di conflitto, non sarà immediato come ha fatto intendere il presidente statunitense.

In primo luogo, i primi regimi sanzionatori imposti dagli Stati Uniti alla Siria risalgono al 1979, quando il dipartimento di Stato americano aveva inserito il Paese tra le nazioni che sponsorizzano il terrorismo. Ulteriori sanzioni erano poi state imposte nel 1986, nel 2003, nel 2004, nel 2011 con l’inizio del conflitto civile, e infine nel 2019, quando era stato adottato il Caesar Syria Civilian Protection Act, meglio noto semplicemente come “Caesar Act”, dallo pseudonimo di un disertore dell’esercito siriano che rese note le torture e le uccisioni sistematiche con cui il regime perseguitava gli oppositori politici. Il Caesar Act proibisce qualunque tipo di investimenti in Siria da parte di soggetti terzi nei settori dell’energia, dell’aviazione e delle costruzioni, una limitazione che ha mantenuto la condizione di distruzione di intere città siriane.

Non è chiaro a quali sanzioni particolari Trump facesse riferimento nel suo annuncio. In ogni caso, come hanno sottolineato alcuni esperti e politici americani nelle ultime ore, per la rimozione di gran parte delle sanzioni non bastano gli ordini esecutivi di cui Trump fa ampio utilizzo, ma è richiesta anche l’approvazione del Congresso americano. Inoltre, oltre alle sanzioni statunitensi, la Siria è stata negli anni sottoposta a restrizioni anche da parte delle Nazioni unite e dell’Unione europea (che ha progressivamente cercato di prendere di mira solo gli esponenti del regime nel tentativo di evitare che le conseguenze più gravi ricadessero sulla popolazione, non sempre, però, riuscendo in questo intento). Nei giorni scorsi il presidente francese Emmanuel Macron aveva accolto a Parigi Ahmed al-Sharaa, segnalando la volontà di eliminare le sanzioni per favorire i commerci con l’Europa: per il moneto l'Unione ha comunicato che qualsiasi partecipazione alla ricostruzione siriana è subordinata a meccanismi anticorruzione.

Le reazioni nella regione

I Paesi della regione si erano già mossi in previsione di un reinserimento della Siria nei circuiti nel commercio globale: gli Stati del Golfo avevano segnalato di essere pronti a investire nella ricostruzione infrastrutturale, dopo aver tenuto “consultazioni tecniche” con i ministeri siriani, che hanno dato avvio alle prime indagini per appaltare i porti e alcune infrastrutture elettriche. A inizio mese, Giordania e Siria hanno firmato un accordo per una nuova gestione dei corridoi commerciali via terra che vanno da Aqaba, sul Mar Rosso, a Homs. Anche l’Iraq ha proposto nuovi collegamenti per lo scambio di merci, mentre la Russia e gli Emirati Arabi Uniti hanno mostrato interesse per la riabilitazione dei giacimenti di gas a Palmira e Deir ez-Zor.

Tuttavia, Israele (che ha occupato parte delle aree a sud del Paese, intervenendo anche in recenti scontri settari tra i drusi e gruppi islamisti sunniti nel tentativo di mantenere il Paese diviso) ha espresso preoccupazione per le dichiarazioni di Trump. Al contrario, a ottenere i maggiori vantaggi dalla possibilità di fare affari con la Siria sarebbero la Turchia (sostenitrice dell’attuale governo e già presente con le proprie compagnie nel nord della Siria) e l’Arabia Saudita (che punta ad esercitare una maggiore influenza politica economica dopo che per anni il Paese è rimasto nella sfera di influenza iraniana).

Una fonte locale di AsiaNews ha descritto l’attuale situazione con una certa apprensione: “Le persone intorno a me sono così felici. Ma nel mio cuore resto diffidente riguardo a questa decisione. Qual sarà il prezzo da pagare? Trump non rimuoverà le sanzioni senza qualcosa in cambio. Comunque, spero che questa mossa sia vera. Ora abbiamo altre sfide in Siria su cui dobbiamo lavorare: odio, vendetta, settarismo, giustizia di transizione…”.

Secondo le ultime notizie, il governo siriano ha intenzione di proporre a Trump l’accesso al petrolio siriano, fornire rassicurazioni sulla sicurezza di Israele e permettere la costruire una “Trump Tower” a Damasco.

L’impatto delle sanzioni

A prescindere dalla piega che prenderanno gli eventi, da tempo diverse organizzazioni umanitarie chiedevano che le sanzioni venissero rimosse a causa dell’impatto negativo che hanno avuto sulla popolazione civile piuttosto che sul regime siriano. La ricerca scientifica da tempo sostiene che le sanzioni riducano gli indicatori di sviluppo sociale (sanità pubblica, sicurezza alimentare, ridistribuzione del reddito ecc.), con un impatto del 24% più negativo sui soggetti vulnerabili come donne e bambini. 

In particolare, un rapporto del Carter Center redatto dall’economista siriano Samir Aita nel 2020 e un’indagine della Commissione economica e sociale per l’Asia occidentale delle Nazioni unite spiegano come, impedendo alla Siria di unirsi al circuito bancario internazionale e vietandole di importare prodotti che possono essere utilizzati sia a scopo civile che militare (le cosiddette tecnologie “dual use”), abbia di fatto condannato la popolazione siriana a una povertà strutturale.

Le merci che rientrano nella categoria di “dual use”, infatti, sono spesso comunissimi prodotti di base per la produzione agricola e industriale: pesticidi, fertilizzanti, pezzi di ricambio per centrali elettriche e le pompe dell’acqua, macchinari agricoli, protesi e semiconduttori. Questo, accompagnato al divieto di importazione di petrolio e suoi derivati, ha generato una carenza di carburante che ha fatto aumentare nel corso degli anni i prezzi di elettricità, riscaldamento e trasporti. A sua volta, la scarsità di energia e le restrizioni all’importazione di pezzi di ricambio per le pompe d’acqua hanno causato danni ai canali di irrigazione, rendendo di fatto impossibile per lo Stato condurre riparazioni. Tutto ciò ha influito sui raccolti agricoli: la Siria ha assistito a un calo della produzione di frutta e verdura, ma anche di carne, grano e cotone. In dieci anni l’accesso all’acqua potabile si è ridotto del 40%. La scarsità di prodotti alimentari ne ha ulteriormente aumentato i prezzi costringendo le persone a ridurre l’assunzione di cibo e cercare due o, in alcuni casi, anche tre lavori. Nel 2021 più di 2,4 milioni di bambini erano fuori dal ciclo scolastico, in molti casi in conseguenza alla distruzione delle scuole nei bombardamenti. Ancora oggi molti minori sono costretti a continuare a lavorare per aiutare le famiglie a mantenersi.

Anche le limitazioni alle transazioni finanziarie hanno causato complesse procedure di conformità per le banche che trattano con la Siria. Dal territorio siriano, per esempio, non è possibile collegarsi a un circuito bancario esterno (a meno che non si decida di utilizzare una VPN per eludere la geolocalizzazione), pena la sospensione permanente del proprio conto. Anche l’impossibilità di investimenti riduce la produzione industriale: messi insieme tutti questi fattori hanno di fatto finora impedito lo sviluppo di piccole e medie imprese, rafforzando un circolo vizioso di scarsa produzione, prezzi elevati e riduzione delle esportazioni, un fenomeno che a sua volta produce una svalutazione della valuta locale: se nel 2015 servivano 189 lire siriane per comprare un dollaro americano, oggi ne servono 13.158 (sul mercato ufficiale). Questo effetto a catena nel tempo ha ridotto anche le entrate nelle casse dello Stato, riducendo i servizi alla popolazione, mentre la famiglia Assad ha continuato a mantenersi con una serie di traffici illegali, tra cui quello del captagon, una droga similie all'anfetamina, principale prodotto d'esportazione della Siria durante gli anni della guerra civile. 

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