18/03/2020, 14.42
ITALIA-CINA
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La tromba dei doni di Pechino all’Italia e al mondo

di Bernardo Cervellera

Giornali e telegiornali danno ampio spazio ai cosiddetti “aiuti” della Cina all’Italia per contrastare l’epidemia di coronavirus. Angela Merkel: È reciprocità. Un’ enorme campagna pubblicitaria per mostrare la Cina come il campione vittorioso sul Covid-19, dimenticando i silenzi sull’epidemia per quasi due mesi. Una Nuova Via della seta di tipo “sanitario”, con aiuti a Italia, Spagna, Serbia, Iran, Filippine, Pakistan, Corea del Sud, Giappone, Iraq. “E’ meglio la dittatura della democrazia”. A rischio la libertà religiosa in Cina e in Europa.

Roma (AsiaNews) - “Quando dunque fai l'elemosina, non far suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere onorati dagli uomini. Io vi dico in verità che questo è il premio che ne hanno. Ma quando tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra quel che fa la destra” (Matteo 6, 2-3).

Questa frase, così ricorrente in questo periodo di Quaresima, mi viene in mente nel vedere quanto spazio e immagini vengano date in giornali e telegiornali nostrani ai cosiddetti “aiuti” della Cina all’Italia per contrastare l’epidemia di coronavirus.

Di per sé questi “aiuti” sembrerebbero in realtà frutto di contratti economici anche se qualcuno – fra cui il nostro ministero degli Esteri - l’abbia voluto far passare come un gesto di benevolenza. In più, come ha giustamente affermato Angela Merkel, “l’Unione europea ha inviato strumentazioni mediche alla Cina quando la Cina ha chiesto aiuto… Qui siamo in presenza di reciprocità”.

Nei momenti di bisogno è bello che i Paesi si aiutino fra di loro. Ma rimango impressionato dalle “trombe” suonate nelle piazze mediatiche e dal fatto che la “sinistra” sappia perfettamente quello che fa la “destra”. Certo la Cina – come si dice ufficialmente, ma non è vero – è “il Paese più ateo del mondo” e quindi non si può pretendere che il suo comportamento segua il Vangelo. Ma proprio per questo ci poniamo la domanda sul perché di questa enorme campagna pubblicitaria. Vi sono stati i saluti e il presenzialismo di Li Junhua, l’ambasciatore cinese presso il Quirinale; i messaggi e le telefonate di Xi Jinping, gli slogan “Forza Cina e Italia!” sui social; le donazioni di Jack Ma, … Ieri ho perfino ricevuto una telefonata da un giovane cinese che ha studiato in Italia. Mi diceva che un gruppo di ex studenti ha raccolto fondi per inviare materiale sanitario a diverse organizzazioni, suscitando il mio stupore per la generosità, ma anche per la ricchezza degli studenti cinesi nell’inviare centinaia di migliaia di mascherine insieme a respiratori!

Una cosa è ormai chiara: la Cina – che rifiuta la definizione di “virus cinese” o “di Wuhan” a questo coronavirus scoppiato in casa sua - vuole mostrarsi come il campione vittorioso sul Covid-19, mettendo a disposizione “la sua esperienza”, “i suoi materiali sanitari”, i suoi “dottori” al mondo che ancora annega nel virus, mentre in Cina esso è ormai debellato.

Questa pretesa di aver vinto l’epidemia in casa è molto dubbia: dalla Cina riceviamo notizie di alcune province del nord e dell’est dove vi sono casi di nuovi contagi, che però non appaiono sulle statistiche ufficiali, che anzi predicano che al di là di Wuhan non vi sono nuovi contagiati.

Ma è dubbia soprattutto la fiducia in una leadership che pur sapendo la gravità di questa epidemia già in novembre, ha taciuto fino alla fine di gennaio e ha soffocato e minacciato chiunque – dottori, infermieri, giornalisti - osasse mettere in guardia dal pericolo imminente. Il silenzio per quasi due mesi, proprio nel periodo del Capodanno lunare, quando centinaia di milioni di cinesi viaggiano ovunque, ha determinato la pandemia.

Facendo finta di essere solo “vittima” del virus, ma non responsabile della sua diffusione, la leadership cinese sta ora cavalcando il bisogno del mondo – da essi generato – per affermare una Nuova Via della seta di tipo “sanitario”, offrendo aiuti a Italia, Spagna, Serbia, Iran, Filippine, Pakistan, Corea del Sud, Giappone, Iraq, …

Il punto è che essi non solo si propongono come “modello” di lotta contro il coronavirus, ma anche come “modello di società”. Fino ad ora vi erano economisti e imprenditori che battevano le mani a Pechino perché aveva successo economico; ora ci sono quelli che l’applaudono perché ha sconfitto il virus. La conclusione è che “è meglio la dittatura della democrazia”.

Preoccupa che l’applauso venga da politici italiani ed europei, spinti forse dalla loro fragilità e inconsistenza, a trovare sostegno e appoggio nel nuovo imperatore, come un tempo i signori feudali.

Al presente abbiamo un timore – almeno quanto quello sulla diffusione del coronavirus: che questo periodo di emergenza, in cui siamo costretti a rimanere isolati, a non incontrarci, a non piangere o festeggiare, a non discutere faccia a faccia, rimanga come nuovo stile ispirato al “modello Cina”, dove lo Stato controlla ogni aspetto della vita dei cittadini.

Lo Stato è giunto perfino a decretare la cancellazione delle messe con il popolo, proprio sullo stile cinese, dove sono riaperte le fabbriche, ma non le chiese. Ed è forse un peccato che la Chiesa italiana sia stata così prona nell’accettare questi limiti troppo invadenti.

Negli Stati Uniti, ad esempio, vi sono diocesi che hanno seguito il “modello cinese”, ma molte altre che hanno moltiplicato le messe alla domenica, così da permettere la partecipazione del popolo in maniera adeguata, garantendo le sicurezze e le distanze sanitarie.

Ma si sa: negli Stati Uniti il dibattito e la difesa della libertà religiosa è sempre vivo; in Cina questo principio esiste solo sulla carta. Speriamo che l’Europa non segua il “modello cinese” anche in questo.

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