03/08/2009, 00.00
GIAPPONE
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Le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, un fallimento morale

di Pino Cazzaniga
Il 6 e il 9 agosto cadono gli anniversari delle bombe atomiche lanciate sulle due città giapponesi. E segnano l’inizio dell’era del terrore nucleare. Le testimonianze del gesuita p. Arrupe, allora ad Hiroshima, e di un medico cattolico di Nagasaki. Nel ’45 i disegni politici la vinsero sugli scienziati e umanisti che rifiutavano l’uso dell’atomica. E ora?

Tokyo (AsiaNews) - Ogni anno nelle prime ore mattutine del 6 agosto a Hiroshima nel parco memoriale della pace (Peace Memorial Park) migliaia di cittadini giapponesi e qualche centinaia di turisti siedono in raccoglimento di fronte al cenotafio che ricorda le vittime della prima esplosione atomica. Alle 8.15 il suono cadenzato di un gong invita l’assemblea alla preghiera silenziosa.

Sopra lo stesso cielo 64 anni prima il “Little Boy” (“piccolo bambino”), la prima bomba atomica, sganciata da un B29 americano, esplose con una potenza pari a 13 mila tonnellate di tritolo, facendo sull’istante 80 mila vittime che divennero 350 mila entro la fine dell’anno.

Tre giorni dopo, il 9 agosto alle ore 11 una simile cerimonia-memoriale si tiene sulla collina della Pace, nella città di Nagasaki: anche qui 64 anni prima, nello stesso momento esplose una bomba atomica, “Flat Man” (“uomo grasso”),  lanciato pochi istanti prima da un altro B29. Qui le vittime immediate furono solo 44.000 perché per improvvisa deviazione strategica del bombardiere, l’ordigno è esploso sopra la valle di Urakami, che ha contenuto le micidiali radiazioni.

Per la gravità dei danni inferti e soprattutto per il fatto che si tratta del primo e unico utilizzo di simili armi, i due attacchi vengono considerati dagli analisti tra  gli episodi bellici più significativi dell’intera storia dell’umanità. Ma il significato della tenebrosa tragedia supera l’aspetto strategico o giuridico: esso è soprattutto morale.

La tragedia nelle testimonianze di due protagonisti

“Riposate in pace, perché questo sbaglio non sarà ripetuto”, sono le parole scolpite sulla pietra del cenotafio di Hiroshima.. La frase un po’ ambigua forse è stata scelta con l’intenzione di commemorare le vittime di Hiroshima senza politicizzare la questione.

Ma di quale “sbaglio” si tratta? Strategico? Giuridico? Morale? La nostra risposta non ha tentennamenti: l’errore è stato soprattutto morale. Due testimonianze dirette ci aiutano a metterne a fuoco la dimensione etica

Il padre Pedro Arrupe (1907-1965), divenuto in seguito superiore generale dei gesuiti,  il 6 agosto del 1945 si trovava nella casa della sua comunità religiosa alla periferia di Hiroshima. Ecco quanto scrisse: “Ero nella mia stanza con un altro prete alle 8,15  quando improvvisamente vedemmo una luce accecante, come un bagliore al magnesio. Non appena aprii la porta che si affacciava sulla città, sentimmo un’esplosione formidabile simile al colpo di vento di un uragano. Allo stesso tempo porte, finestre e muri precipitarono su di noi in pezzi. Salimmo su una collina per avere una migliore vista. Da là potemmo vedere una città in rovina: di fronte a noi c’era una Hiroshima decimata. Poiché ciò accadde mentre in tutte le cucine si stava preparando il primo pasto, le fiamme a contatto con la corrente elettrica, entro due ore e mezzo trasformarono la città intera in un’enorme vampa. Non dimenticherò mai la mia prima vista di quello che fu l’effetto della bomba atomica: un gruppo di giovani donne, di diciotto o vent’anni, che si aggrappavano l’un l’altra mentre si trascinavano lungo la strada. Continuammo a cercare un qualche modo per entrare nella città, ma fu impossibile. Facemmo allora l’unica cosa che poteva essere fatta in presenza di tale carneficina di massa: cademmo sulle nostra ginocchia e pregammo per avere una guida, perché eravamo privi di ogni aiuto umano”.

La preghiera diede al missionario l’energia per essere aiuto e consolazione per la citta’ desolata e poi per il Giappone depresso dell’immediato dopoguerra.

Un rosario tra le ceneri di Nagasaki

Il dottor Paolo Takashi Nagai (1908-1951), radiologo e preside della facoltà di medicina dell’università’ di Nagasaki, la mattina del 9 agosto 1945 si trovava al suo posto di lavoro non lontano dall’epicentro dell’esplosione ma da esso separato dal dorsale di una collina. Al di là di quell’altura viveva una numerosa comunità cattolica.

Scrive uno storico: “Secondo il comando militare alleato, la bomba atomica era una necessità, perché non si trattava di piegare una resistenza armata, ma l’idea molto viva tra i giapponesi che dio era dalla loro parte….L’atomica avrebbe dovuto scalfire questa certezza perché infliggeva un colpo mortale allo shintoismo artificialmente trasformato in ideologia militarista. Invece, continua l’analista, la bomba più che il cuore della religione giapponese colpì in pieno il quartiere cattolico di Nagasaki, il più importante e numeroso centro della Chiesa in estremo oriente La comunità cattolica contava allora più di 12.000 fedeli. Perirono quasi tutti. L’epicentro dell’esplosione era stata proprio la loro cattedrale che, tra l’altro, in quel momento era affollata di fedeli in coda davanti al confessionale per prepararsi alla festa dell’Assunta”.

La casa di Nagai si trovava a pochi decine di metri dalla chiesa. Quando il professore poté ritornarvi trovò solo cenere e ossa.  Da radiologo esperto non ebbe difficoltà a individuare i resti di sua moglie Midori. Tra le ossa della mano brillava qualcosa: era una corona del rosario e un crocifisso. Mise tutto in un secchiello e mentre, triste ma non depresso si avviava verso il cimitero, gli parve di sentire nel tintinnare del rosario e del crocifisso la voce della sposa che gli infondeva speranza.

I contabili della guerra e gli umanisti

Pur essendo convinti che i due bombardamenti atomici sono stati moralmente atti delittuosi e non solo un male minore, ci guardiamo dall’attribuirne la responsabilità a un popolo o a una nazione.

Anzitutto va segnata una netta linea di demarcazione tra il governo e le chiese cristiane d’America. In un rapporto del Concilio Nazionale delle Chiese intitolato “guerra atomica e fede cristiana”, redatto nel 1946, si legge: “In quanto cristiani americani siamo profondamente pentiti per l’irresponsabile uso già fatto della bomba atomica. Abbiamo concordato che, qualunque sia il giudizio che si può avere della guerra in principio, i bombardamenti a sorpresa di Hiroshima e Nagasaki sono moralmente indifendibili”.

La responsabilità della decisione di usare l’atomica contro il Giappone è stata del presidente americano Harry Truman, entrato in carica solo nell’aprile del 1945, dopo la morte repentina di Franklin Roosevelt. Ma a questa data la prima bomba atomica era già  pronta.

Nel 1939 Roosvelt, su esortazione di Albert Einstein, aveva acconsentito al “Progetto Manhattan” che si è poi concluso con il primo test atomico ad Alamogordo nel deserto del Nuovo Messico il 16 luglio 1945. Il suggerimento di Einstein era stato motivato dalla consapevolezza che la Germania nazista di Hitler stava lavorando a un progetto simile. Ma nel 1945 Einstein e altri scienziati si sono decisamente opposti ad all’uso della bomba.

Esistono resoconti storici che indicano che la decisione di usare bombe atomiche venne presa alla scopo di provocare una resa anticipata del Giappone tramite l’uso di un potere impressionante. Per questo le bombe vennero usate di proposito su obiettivi che includevano zone abitate da civili. I contabili della strategia bellica hanno avuto la meglio sugli umanisti. E così l’umanità  è entrata nell’era del terrore nucleare.

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