Leone XIV: 'Tanti popoli spogliati: vedere senza passare oltre'
Prevost a Castel Gandolfo ha celebrato nella parrocchia di San Tommaso da Villanova. L'omelia sulla parabola del Buon Samaritano: bisogno di una "rivoluzione dell'amore"; popoli "vittime di sistemi politici oppressivi, di un’economia che li costringe alla povertà, della guerra". All'Angelus: "Non dimenticare di pregare per la pace".
Roma (AsiaNews) - Papa Leone XIV esattamente una settimana fa annunciava al termine dell’Angelus in San Pietro il “breve periodo di riposo” che sta ora trascorrendo a Castel Gandolfo, borgo laziale poco distante da Roma. Oggi è apparso pubblicamente per la prima volta, accolto dalla festosa cittadina - storica residenza dei papi - che vide in Benedetto XVI l’ultimo pontefice a soggiornarvi. Dopo l’Angelus, recitato in Piazza della Libertà, il papa ha ringraziato per la “calorosa accoglienza”, e ha chiesto di non dimenticare di pregare per la pace, “per tutti coloro che, a causa della violenza e della guerra, si trovano in uno stato di sofferenza e di bisogno”. Come l’uomo diretto a Gerico e percosso dai briganti nella parabola del Buon Samaritano, nel Vangelo odierno.
Prima della preghiera mariana, papa Leone XIV ha celebrato la messa - affiancato dal card. Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale - nella parrocchia di San Tommaso da Villanova, a Castel Gandolfo. A poca distanza dal Palazzo Apostolico, residenza dei papi aperta al pubblico da Bergoglio. Durante l’omelia, il pontefice di fronte a un ristretto numero di fedeli ha commentato il Vangelo di oggi (Lc 10,25-37), che contiene proprio la celebre parabola del Buon Samaritano. Un racconto che “continua a sfidarci anche oggi, interpella la nostra vita, scuote la tranquillità delle nostre coscienze addormentate o distratte, e ci provoca contro il rischio di una fede accomodante”, ha sottolineato. Un insegnamento che pone al suo centro la “compassione” e fa riflettere sulla condizione di “tanti popoli spogliati”.
È lo “sguardo” ciò su cui si sofferma fin da subito il brano dell’evangelista Luca. Raccontando del sacerdote, come del levita, che “vide” l’uomo mezzo morto caduto nelle mani dei briganti “e passò oltre” (v. 32). E poi del Samaritano che, invece, “lo vide e ne ebbe compassione” (v. 33). “Lo sguardo fa la differenza, perché esprime ciò che abbiamo nel cuore: si può vedere e passare oltre oppure vedere e sentire compassione”, ha affermato Prevost. Nell’omelia sono stati quindi distinti due tipi di sguardo: uno “esteriore, distratto e frettoloso”, e uno che “ci tocca, ci scuote, interroga la nostra vita e la nostra responsabilità”. “Il buon samaritano […] è anzitutto immagine di Gesù, il Figlio eterno”, ha aggiunto, che ha guardato “all’umanità senza passare oltre, con occhi, con cuore, con viscere di commozione e compassione”.
Come l’uomo percosso dai briganti, anche “l’umanità discendeva negli abissi della morte”. E ancora oggi essa “deve fare i conti con l’oscurità del male, con la sofferenza, con la povertà, con l’assurdità della morte”. “Dio, però, ci ha guardati con compassione, ha voluto fare Lui stesso la nostra strada, è disceso in mezzo a noi e, in Gesù, buon samaritano, è venuto a guarire le nostre ferite, versando su di noi l’olio del suo amore e della sua misericordia”, ha affermato. “Oggi c’è bisogno di questa rivoluzione dell’amore”. La strada che percorre quell’uomo, “da Gerusalemme a Gerico”, “è la strada percorsa da tutti coloro che sprofondano nel male, nella sofferenza e nella povertà”. Essa “è la strada di tanti popoli spogliati, derubati e saccheggiati, vittime di sistemi politici oppressivi, di un’economia che li costringe alla povertà, della guerra che uccide i loro sogni e le loro vite”.
Gesù, quindi, stravolge la prospettiva del vedere e passare oltre, “presentandoci un samaritano, uno straniero ed eretico che si fa prossimo di quell’uomo ferito. E ci chiede di fare lo stesso”, ha aggiunto Leone XIV. Ciò che rende le persone davvero prossime le une alle altre è, infatti, “vedere senza passare oltre, fermare le nostre corse indaffarate, lasciare che la vita dell’altro, chiunque egli sia, con i suoi bisogni e le sofferenze, mi spezzino il cuore”. Un’azione di umana prossimità che “genera una vera fraternità, fa cadere muri e steccati. E finalmente l’amore si fa spazio, diventando più forte del male e della morte”, ha detto il pontefice.