13/10/2009, 00.00
AFGHANISTAN
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L’alto costo della guerra afghana

di Soraya Rahmani
A otto anni dall’operazione militare internazionale, si sono consumati soldi, truppe e anche la speranza della popolazione. Mentre Onu e Nato annaspano, Russia e Cina cercano il “dialogo” coi talebani. Sempre a spese degli afghani.
Kabul (AsiaNews) - Cominciata trionfalmente il 7 ottobre 2001, in otto anni l’operazione Enduring Freedom (e la parallela Isaf) si è trasformata in una missione dai costi elevatissimi in termini economici, umani e di rischi per gli equilibri geopolitici mondiali. In un’altalena tra ricostruzione e bombardamenti, oggi sull’impegno militare in Afghanistan i maggiori governi occidentali si giocano la loro popolarità, la Nato la sua credibilità e la gente comune il suo futuro.
A quasi due mesi dal voto l’Afghanistan non aspetta solo di conoscere il suo nuovo presidente; aspetta ancora e soprattutto di ricominciare a vivere. La possibilità di un ballottaggio tra il presidente uscente Hamid Karzai e lo sfidante Abdullah Abdullah rimane concreto, mentre l’unica certezza è quella del rilevamento di “brogli considerevoli”, confermati dalla stessa Onu che quel voto doveva monitorare. Lo stallo elettorale mina la già fragile reputazione di cui godono tra la popolazione il governo di Kabul, le organizzazioni internazionali e il contingente straniero. Alle urne il 20 agosto si sono recati appena la metà degli aventi diritto, molti meno del 70% raggiunto nel 2004. “Allora - raccontano fonti locali di AsiaNews - c’era molta più fiducia in una rapida ricostruzione e apparivano possibili cambiamenti radicali. Il cittadino non si aspetta più particolari miglioramenti nella sua vita, ma ha voluto riaffermare la propria fiducia nel sistema democratico”.
 
La speranza ha lasciato il posto a disillusione e preoccupazione. La gente si pone domande sul futuro e non sa rispondere: il governo e la comunità internazionale riusciranno a impedire il ritorno dei talebani? Perché il loro impegno è fallito, nonostante l’ingente quantità di forze e investimenti economici (oltre 100mila militari dispiegati, 38 miliardi di dollari solo dal Congresso Usa) e il sacrificio di migliaia di civili? Dal 2001 a oggi, secondo le stime più attendibili, le vittime delle azioni militari straniere sono state oltre 7.500. La “nuova strategia” del pacifista Obama doveva minimizzare le perdite civili, limitando il ricorso all’aviazione e all’artiglieria pesante. Ma dall’inizio dell’anno, secondo i dati ufficiali Onu, sono tra 300 e 400 i civili afghani uccisi dalle truppe occidentali (600 quelli vittime di attacchi talebani).
 
Tra gli afghani è diffusa la convinzione che il primo errore contro la pace e la sicurezza sia stato “cedere al compromesso con i signori della guerra, riciclati facilmente come parlamentari, e tergiversare con il Pakistan che nasconde al-Qaeda”. “Ma la più cocente delusione - spiegano da Kabul - è la promessa mancata della ricostruzione”. L’intero Paese, sostengono esperti del posto, deve essere oggetto di una ricostruzione prima di tutto qualitativa, poi quantitativa, che abbracci tessuto sociale e classe dirigente come scuole, strade e ospedali. “Non si può dire che non si sia fatto nulla, ma certo non abbastanza”, si lamentano nella zona di Herat.
 
Delle ombre che si addensano sull’Alleanza atlantica in Afghanistan, ne approfittano Cina e Russia interessate a guadagnarsi una loro influenza nella zona. Pechino e Mosca hanno iniziato solo di recente a criticare apertamente la strategia Usa-Nato di guerra a oltranza e proporre una soluzione negoziale. Il governativo China Daily ha pubblicato un articolo in cui si suggerisce di accettare gli studenti coranici come “attori chiave” nel processo di riconciliazione. Ipotesi ventilata più volte da Karzai, ma accolta con gelo da Washington. Russia e Cina sognano un’alleanza politico-militare che comprenda anche le Repubbliche centroasiatiche e il Caucaso: una specie di anti-Nato.
 
Intanto continuano stragi di civili, mancanza di servizi, debolezza dello Stato, ma anche narcotraffico e corruzione dilagante. In pochi rimpiangono la dittatura del mullah Omar, ma il rischio da scongiurare è la crescente insofferenza della popolazione nei confronti del contingente Nato-Isaf, sempre più visto come invasore e sempre meno come possibile salvatore.
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