01/03/2016, 12.12
THAILANDIA – PAKISTAN
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Missionario Omi: La Chiesa thai in aiuto dei profughi pakistani, perseguitati in patria

Sono più di 4mila i cristiani che fuggono in Thailandia per scampare alla persecuzione in Pakistan. P. Domenico Rodighiero, parroco di San Michele a Bangkok: “All’arrivo non ricevono un visto duraturo né lo status di rifugiati, e sono costretti a vivere in modo illegale. La Chiesa locale li aiuta come può, donando cibo e aiutandoli a cercare lavoro, ma è difficile”.

Bangkok (AsiaNews) – Da tre anni “arrivano in Thailandia gruppi numerosi di pakistani, in fuga dalle leggi sulla blasfemia di Islamabad che li priva di terre e beni. Da 10 anni la nostra parrocchia si occupa di accogliere i rifugiati, e così abbiamo iniziato a prenderci cura anche di loro”. Lo dice ad AsiaNews p. Domenico Rodighiero, missionario della Congregazione degli Oblati di Maria immacolata (Omi) e parroco di San Michele a Saphanmai, periferia nord di Bangkok. I rifugiati cristiani, afferma, “sia protestanti che cattolici, sono più di 4mila. Poi ci sono anche un gran numero di musulmani della setta Ahmadi, anch’essa perseguitata in Pakistan”.

La stragrande maggioranza dei profughi fugge in Thailandia nella speranza di spostarsi in altri Paesi del sud-est asiatico, ma all’arrivo si ritrova in un vicolo cieco, senza nessun diritto riconosciuto da Bangkok e senza la possibilità di andarsene, se non per tornare in Pakistan. “All’arrivo – spiega p. Rodighiero – gli immigrati ricevono il visto turistico all’aeroporto, che dura solo un mese, 20 giorni. A qualcuno viene rinnovato ma accade molto raramente, perché è molto costoso e complicato. La Thailandia, ed è la questione più importante, non ha firmato la Convenzione Onu per i rifugiati del 1951, per cui chi sta oltre il termine del visto non è tutelato e può essere rinchiuso nei centri di detenzione o rimpatriato. Questo capita sia ai richiedenti asilo che ai rifugiati”.

Un anno e mezzo fa, la parrocchia di San Michele ha iniziato ad occuparsi dei beni di prima necessità delle migliaia di rifugiati, ed è stata poi seguita da tutta la diocesi: “Siamo partiti dalle cose essenziali come il cibo – afferma il missionario –. Ci occupiamo di tutti, cattolici, protestanti, musulmani. I musulmani a volte hanno vergogna perché si rendono contro che la causa dell’emigrazione dei cristiani sono proprio i musulmani pakistani”. “Tutti i rifugiati – spiega p. Rodighiero – vengono suddivisi in gruppi in alcune zone di Bangkok, e abitano in stanze in affitto con le famiglie”.

“Io faccio visita alle loro case – continua – e celebro la messa per i cristiani. Poi mi reco anche al centro di detenzione, dove vengono rinchiusi gli immigrati illegali o quelli a cui è scaduto il visto. La polizia, a parte qualche caso, non va a caccia di queste persone, perché sa dove sono e li controlla. Nell’ultimo periodo c’è sovraffollamento nel centro e hanno aperto la possibilità di uscire dietro cauzione [che di solito ammonta a circa 1200 dollari, ndr], anche se ciò dipende dagli ‘umori’ della polizia”.

Le migliaia di profughi, spiega p. Rodighiero, vivono in empasse, perché “pochissimi hanno la possibilità di essere riconosciuti come rifugiati dall’Onu, status non riconosciuto da Bangkok ma che permette di emigrare. A quel punto l’unica possibilità è quella di tornare in Pakistan. Se provano a emigrare in modo illegale la polizia thai li blocca alla frontiera”.

La situazione è resa ancor più difficile dal fatto che “il processo tramite cui l’Onu riconosce lo status di rifugiato dura anni: ci vogliono anni per avere il primo colloquio, e anni per avere la risposta.  Nel frattempo queste persone non hanno diritto al lavoro. Alcuni ricevono aiuti dalle famiglie in patria, ma dopo quattro o cinque anni le risorse finiscono e devono tornare”.

Secondo p. Rodighiero, “la prima cosa da fare sarebbe velocizzare le procedure dell’Onu. Dal punto di vista politico, invece, è più complicato risolvere lo stallo, perché si dovrebbero modificare le leggi thai. Inoltre, l’Onu negli ultimi anni ha tagliato le risorse per i rifugiati in Thailandia, perché ci sono altre priorità nel mondo (Siria, Africa, etc.)”.

“La Chiesa thai è generosa – conclude il missionario – e aiuta i rifugiati a trovare lavoro. Qualche volta ci capita di aiutarli a tornare a casa o in situazioni particolari come la malattia. Non è facile però, perché loro sono tantissimi e le esigenze sono enormi. La Chiesa qui è piccola e non ha molte risorse, fa fatica a affrontare un’emergenza così grande”.

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