24/09/2019, 13.50
BANGLADESH
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P. Rapacioli: Nel dialogo con l’islam, non azzeriamo le differenze

Il missionario del Pime ha promosso un incontro interreligioso tra i giovani del Bangladesh. Il tema era la fratellanza umana, prendendo spunto dal Documento di Abu Dhabi. La religione “strumentalizzata per scopi terroristici”. L’incontro tra esperienze religiose diverse “che non rinnegano se stesse, aiutano a una comprensione e a una reale convivenza pacifica”.

Dhaka (AsiaNews) – Nel dialogo tra cristianesimo e islam “non dobbiamo azzerare le differenze, ma partire da esse. Nella fedeltà alle rispettive tradizioni, possiamo essere di stimolo gli uni agli altri. Non solo: nelle nostre differenze, non possiamo avocare la fede per distruggere e odiare l’altro”. Lo afferma ad AsiaNews p. Francesco Rapacioli (foto 2), missionario del Pime (Pontificio istituto missioni estere) in Bangladesh. Egli ha promosso un incontro interreligioso ed ecumenico tra giovani del Paese, cristiani e musulmani “in egual numero”. Il tema dell’evento, che si è tenuto a Dhaka il 21 settembre, “era costruire una relazione fraterna, pur ammettendo le differenze, tra giovani che sono abituati a convivere”.

Lo spunto è stato il “Documento sulla fratellanza umana” scaturito dall’incontro dello scorso febbraio tra papa Francesco e il Grande imam di Al-Azhar ad Abu Dhabi, che a sua volta si ispirava a quello avvenuto 800 anni fa tra san Francesco d’Assisi e il Sultano d’Egitto. “Si tratta – sostiene – di un documento che non può non provocare entrambe le comunità”. Un altro spunto, continua, “è stato offerto dalla lettera dei 138 saggi musulmani ai leader cristiani e al papa di allora, Benedetto XVI, del 2007.”

L’evento si è svolto alla Notre Dame University Bangladesh, la prima e unica università cattolica del Paese “che forma l’intellighentia, quindi l’orientamento futuro”. Era sponsorizzato dallo “Shalom Movement”, di cui fa parte p. Rapacioli, insieme alla Commissione episcopale per l’unità dei cristiani e il dialogo interreligioso, la Dhaka University (scuola pubblica), il Seminario maggiore, due centri teologici protestanti, case di formazione spirituale e l’associazione di fratel Lucio Beninati (Pime) che “serve i bambini di strada”. In tutto, racconta p. Rapacioli, “eravamo 120: circa 110 studenti in età universitaria (18-24 anni) e 10 organizzatori”.

Sr. Annamaria Panza, consigliera provinciale delle Missionarie dell’Immacolata (congregazione associata al Pime) e membro dello “Shalom Movement”, riporta che i ragazzi si sono riuniti in otto gruppi misti. Dal loro scambio, dice, “sono giunti spunti interessanti. Essi hanno sottolineato l’importanza di conoscere e stimare le altre religioni fin dalla scuola elementare, favorire le amicizie interreligiose e gli incontri che offrono l’opportunità di conoscersi”.

I giovani, aggiunge p. Rapacioli, “hanno ammesso la strumentalizzazione politica della religione per scopi terroristici. Per questo ritengono che possa essere utile pregare, ancor più per persone di fede differente dalla propria; l’educazione, che serve a eliminare i pregiudizi; il servizio a favore dei bambini di strada, che è un’arma potente per aiutare gli altri perché ci si dona in maniera gratuita per il bene degli emarginati”.

Secondo p. Rapacioli, “c’è un’incomprensione di fondo quando si discute di dialogo: alcuni sostengono che siamo tutti uguali. Per me, non è così: cristianesimo e islam sono diversi, a partire dal credo, dalla ritualità e dall’etica. Per esempio, per i musulmani, Gesù è un semplice profeta, per noi invece è il Figlio di Dio; per l’islam e l’ebraismo, la nostra professione di fede è una bestemmia, così come il nostro dogma fondamentale che è l’incarnazione di Dio e la Trinità nell’unicità”.

Il punto fondamentale, sostiene, “è cercare tra di noi una convergenza, perché il vero incontro avviene non a prescindere, ma a partire dalle differenze. Non dobbiamo rinnegare identità culturale, etnica e religiosa. Altrimenti rischiamo di avere una specie di annacquamento con il quale nessuno si identifica veramente. Siamo diversi e dobbiamo poter esprimere le nostre diversità. La grande sfida del dialogo – che è al tempo stesso possibilità – è che le nostre diversità non costituiscano un’obiezione alla convivenza. Lì dove invece si cerca di minimizzare, annacquare, relativizzare le differenze, non si fa un vero servizio all’incontro tra le persone”.

L’incontro tra esperienze religiose diverse “che non rinnegano se stesse, aiutano a una comprensione e a una reale convivenza pacifica”. Eventi come quello appena trascorso, dice in conclusione il missionario, “sono un investimento a fondo perduto, nel senso che non potremo vederne i frutti a breve. Noi però continuiamo a seminare”. (A.C.F.)

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