Papa a Beirut: l'incontro in piazza dei Martiri e l'eco tra la gente delle sue parole
L'appello di Leone XIV alla pace e al dialogo tra le religioni, incontrando i principali leader cristiani, musulmani e drusi. Il Libano come "potente esempio" di convivenza, pur segnato da crisi economica, instabilità politica e dagli attacchi israeliani. Come san Giovanni Paolo II nel 1980 mette in guardia dai rischi di una sua scomparsa. Ma per alcuni osservatori su quanti minano il Paese coi loro comportamenti è stato anche fin troppo mite.
Beirut (AsiaNews) - Al centro di Beirut, in Piazza dei Martiri, storicamente conosciuta come “Al Burj” (la torre), luogo che mantiene la memoria delle esecuzioni del primo conflitto mondiale, Leone XIV ha vissuto questo pomeriggio uno storico incontro ecumenico e interreligioso, nel secondo giorno di permanenza in Libano, e in Medio Oriente. Nel discorso ai presenti, Prevost si è detto “profondamente commosso” per essere nella regione di persona - da ieri sera, 30 novembre, e fino a domani, 2 dicembre - in quella “terra benedetta” che è il Paese coi “cedri imponenti emblemi dell’anima giusta che fiorisce sotto lo sguardo vigile del cielo”, ha affermato. E al termine dell’incontro è stata la piantumazione di un ulivo - “simbolo senza tempo di riconciliazione e pace” - a sigillare nelòla memoria il ricordo dell’incontro plurale odierno con il vescovo di Roma.
Plurale come le voci intervenute ad accoglierlo: Abdullatif Darian, Mufti della Repubblica del Libano; il patriarca greco-ortodosso Yohanna X, patriarca; Ali El-Khatib, vicepresidente del Consiglio Islamico Sciita Superiore; Mar Ignazio Efraim II, patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente per la Chiesa siro-ortodossa; dr. Sami Abi Al-Muna, sceicco Al-Aql della comunità drusa; Aram I, catholicos armeno; dr. Joseph Kassab, presidente del Consiglio Supremo della Comunità Evangelica in Siria e Libano; Ali Kaddour, leader alawita. Sono testimonianza di una terra “mai caduta nel silenzio”, capace di “richiamare, di secolo in secolo, coloro che desiderano aprire il loro cuore al Dio vivente”. E, citando l’esortazione apostolica Ecclesia in Medio Oriente di Benedetto XIV, firmata a Beirut nel 2012: “La natura e la vocazione universale della Chiesa esigono che essa sia in dialogo con i membri delle altre religioni”.
Leone XIV si è rivolto agli “amici” presenti, in uno dei luoghi dove “minareti e campanili stanno fianco a fianco”. “In questa amata terra possano suonare insieme ogni campana e ogni adhān: possa ogni richiamo alla preghiera fondersi in un unico inno, elevato non solo per glorificare il misericordioso Creatore del cielo e della terra, ma anche per implorare di vero cuore il dono divino della pace”. Ed è ancora un richiamo alla pace, su cui il papa aveva centrato il discorso di ieri rivolto alle autorità, verso cui le comunità del Medio Oriente stanno vivendo un “arduo cammino”. “Talvolta l’umanità guarda al Medio Oriente con un senso di timore e scoraggiamento, di fronte a conflitti così complessi e di lunga data”, ha affermato il papa. “Eppure in mezzo a queste lotte, si può trovare speranza”, chiamata dalla “comune umanità” e “fede in un Dio di amore e misericordia”.
Il Libano rappresenta un “potente esempio” di “convivenza”, che talvolta può sembrare “un sogno lontano”. “Paura, sfiducia e pregiudizio non hanno qui l’ultima parola, mentre l’unità, la riconciliazione e la pace sono sempre possibili”, ha affermato il papa. Il Libano testimonia la “verità duratura” che “cristiani, musulmani, drusi” e altri “possono vivere insieme”, nel rispetto e nel dialogo. Dialogo che - promosso anche dalla dichiarazione conciliare Nostra Aetate - ha “radici nell’amore, unica base per la pace, la giustizia e la riconciliazione”. Un amore che “respinge pregiudizi, discriminazioni, persecuzioni”, ha aggiunto Leone XIV.
Intanto oggi il Libano ha riflettuto sulle parole pronunciate ieri dal papa nel suo discorso alle autorità. L’ex ministro libanese Ziad Baroud ieri si era rivolto al pontefice, col piglio di un ex comandante dell’esercito: “Sua Santità, dica al mondo che noi (libanesi, ndr) non moriremo, non lasceremo il nostro Paese, non scompariremo, ma resteremo qui per essere uno spazio di incontro interculturale”. Queste parole rispondono anche al recente ultimatum del ministro israeliano della Difesa Israel Katz, il quale ha annunciato che non ci sarà “né calma, né ordine, né stabilità” in Libano finché Hezbollah non sarà disarmato.
Per un pensionato di Nabatyeh, Kamal R., le cui indennità sono bloccate da cinque anni in una banca, il papa ha alluso diplomaticamente all’aspetto immorale della crisi che mina in molti settori la vita pubblica del Paese. “Per quanto riguarda la crisi bancaria, si sente troppo poco la voce della coscienza e troppo quella della ragion di Stato”, ha sottolineato. Khaled B., blogger musulmano, ritiene invece che il papa dovrebbe visitare, anche i malati della prigione centrale di Roumieh. Al suo interno, dice, vi sono detenuti senza processo centinaia di detenuti sospettati di sovversione islamista, alcuni dei quali hanno già scontato più volte la pena che avrebbe potuto essere loro inflitta.
La pace, per essere costruita, ha bisogno di artigiani che rimangano nel Paese, aveva detto ieri il papa, toccando così un punto nevralgico della crisi vissuta dalle élite universitarie e dai giovani in generale. E ricordando l’ampio “esodo” che conduce molte persone ad abbandonare il Paese. Per p. Salim Daccache, rettore dell’Università Saint-Joseph, l’economia libanese in crisi genera ogni anno solo tra i 3mila e i 4mila posti di lavoro, mentre ogni anno circa 30mila laureati si affacciano sul mercato del lavoro.
Nonostante la loro simpatia per la Chiesa universale e il suo capo, molti osservatori hanno giudicato il discorso del papa “troppo mite”, alla luce degli attacchi e delle violenze subite dallo Stato libanese. Bombe, raid aerei e attacchi che ne hanno minacciato la sovranità sia dall’interno che dall’esterno e la cui stabilità - compreso il principio dell’alternanza - è costantemente messa in discussione da comportamenti discrezionali. Infine, Leone XIV ha reso giustizia al ruolo fondamentale che le donne svolgono nella società come operatrici “di pace, perché sanno preservare e sviluppare legami profondi con la vita, le persone e i luoghi”.
Il suo discorso ha ricordato, senza mezzi termini, il famoso monito pronunciato negli anni ‘80 da San Giovanni Paolo II, in una lettera indirizzata a tutti i vescovi della Chiesa cattolica; nella quale si ammoniva della “scomparsa del Libano”, portatore di un modello di civiltà di elevata importanza, nonostante le interferenze e le alleanze esterne che continuano a ostacolarlo.
Leone XIV ha fatto una sosta anche al santuario di Harissa, come avevano fatto prima di lui i due papi che hanno visitato il Libano. Si sarebbe potuto intuire il programma di questa visita - sul quale vi è stata grande discrezione - dalla striscia di asfalto nuovo che conduce alla porta del convento. Oggi pomeriggio da Piazza dei Martiri, Prevost ha affermato: “Possa questo amorevole e materno abbraccio della Vergine Maria, Madre di Gesù e Regina della Pace, guidare ciascuno di voi, affinché nella vostra patria, in tutto il Medio Oriente e in tutto il mondo, il dono della riconciliazione e della pacifica convivenza possa scorrere ‘come i ruscelli che scorrono dal Libano’, portando speranza e unità a tutti”.
10/05/2025 08:44




