28/10/2025, 10.37
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Sospesa fra Israele ed Hezbollah, la nazione libanese ‘al bivio’ aspetta papa Leone

di Fady Noun

La popolazione è “onorata” per essere stata scelta come prima meta di un viaggio apostolico all’estero del pontefice, ma è anche “esausta”. Dai due anni di guerra agli attacchi nel sud di Israele, restano molti i nodi irrisolti. La missione di Ortagus per negoziati diretti fra Stato ebraico e il Paese dei cedri. Si allarga la frattura fra cristiani, drusi e sunniti e il tandem sciita Hezbollah-Amal.

Beirut (AsiaNews) - Onorati di essere stati scelti dal pontefice come prima destinazione per i suoi viaggi apostolici, ieri i libanesi hanno finalmente preso conoscenza del programma della visita in Libano (e Turchia) di papa Leone XIV dal 30 novembre al 2 dicembre. Nelle famiglie cristiane del Paese dei cedri, la speranza di un miracolo rimane flebile, ma reale, e il ricordo delle due precedenti visite in Libano di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI è ancora vivo. Esausti da due anni di guerra aperta, e ora latente, i libanesi “sperano contro ogni speranza” che la visita faccia pendere la bilancia dalla parte della pace in un Paese martoriato da crisi politiche, economiche e di sicurezza, stretto nella morsa tra l’occupante israeliano e l’Hezbollah filo-iraniano. “Nel Libano meridionale ci sono vittime ogni giorno, la situazione non può più durare” si mormora in tutti i salotti del Libano.

Attacchi diversificati

Infatti, nonostante l’accordo di cessazione delle ostilità concluso alla fine di novembre 2023, gli attacchi israeliani si stanno espandendo sul piano geografico e si stanno inoltre diversificando. In quest’ottica, due importanti parchi macchine edili e un impianto di produzione di catrame e asfalto nel Libano meridionale sono stati distrutti, uno dei quali era situato a nord del Litani, vicino alla residenza meridionale del presidente del Parlamento Nabih Berry. Un modo brutale per affermare che ai libanesi è vietato ricostruire i loro villaggi fino a quando non sarà stato firmato un accordo di sicurezza con lo Stato ebraico.

Nel frattempo, prosegue senza sosta la caccia delle forze israeliani ai miliziani e ai presunti membri di Hezbollah, con un bilancio di nove morti solo nella scorsa settimana in sparatorie contro auto in movimento a Bint Jbeil, Naqoura e Khiam. Questi attacchi continuano mentre il ministro israeliano della Difesa Israel Katz ha appena affermato che l’esercito continuerà a occupare i “cinque punti” strategici nel sud del Libano “a tempo indeterminato”, indipendentemente dall’esito dei colloqui sul confine. Una dichiarazione che priva la leadership governativa a Beirut di un argomento di peso nei confronti di un Hezbollah che continua ad essere armato.

L’intensificarsi dei bombardamenti israeliani significa, agli occhi di molti, che Israele si sta preparando a prendere in mano la situazione con la forza, dopo aver constatato che il Libano esita a disarmare da solo il movimento filo-iraniano, anche in questo caso ricorrendo all’uso della forza. Il tutto avviene proprio mentre la missione Onu in Libano (Unifil) prepara il suo ritiro definitivo dal Paese dei cedri, che dovrebbe essere completato nel gennaio 2027. Questo progressivo vuoto di sicurezza fa temere un crollo del fragile equilibrio nelle località del sud, sotto la sorveglianza di Unifil. “La sua partenza - avverte un diplomatico libanese dietro anonimato - significherebbe la fine della deterrenza internazionale nel sud”. Senza di essa, avverte preoccupato, “le linee del fronte torneranno ad essere zone grigie”.

Ortagus in missione a Beirut

In questo contesto esplosivo, ieri è arrivata a Beirut l’inviata speciale americana Morgan Ortagus, dopo essersi recata al confine israelo-libanese insieme al ministro della Difesa Katz che, in sua presenza, ha dato l’ordine di abbattere un presunto membro di Hezbollah. Attraverso i messaggi che trasmetterà ai leader libanesi, Washington spingerebbe verso un meccanismo bilaterale di sorveglianza che vede coinvolti Israele e Libano sotto la supervisione americana; un’idea che alimenta la diffidenza di Hezbollah, sebbene molti leader nel “partito di Dio” ne riconoscano al tempo stesso la fondatezza.

“Non si negozia con un amico” ha sottolineato il ministro libanese della Giustizia Adel Nassar, vicino ai Kataëb, “e vi è molta strada da fare dai negoziati alla pace o alla normalizzazione”. Peraltro, come molti libanesi il ministro difende l’idea di un ritorno all’accordo di armistizio israelo-libanese del 1949. Interpellata da AsiaNews l’analista Scarlett Haddad sottolinea che “l’intensificazione degli attacchi israeliani, insieme alla missione Ortagus, hanno lo scopo di spingere il Libano ad avviare negoziati diretti con Israele. Come reagirà il Libano? Queste pressioni degenereranno e si trasformeranno in guerra? Tutte queste domande sono legittime e tutti gli scenari sono possibili”.

Il ruolo dell’Egitto

Domani in Libano è atteso anche l’arrivo del capo dei servizi segreti egiziani, il generale Hassan Mahmoud Rachad, inviato del presidente Abdel Fattah al-Sissi. La sua missione: tentare una mediazione di pacificazione tra Israele e Hezbollah. L’ambasciata egiziana in Libano ha dichiarato che lo scopo della visita è quello di “rafforzare il coordinamento politico e di sicurezza” tra il Cairo e Beirut. Il Paese dei faraoni, già attore chiave delle tregue tra Israele e Hamas, spera in questo senso di impedire un’estensione del conflitto al Libano e di frenare l’attuale escalation. “L’Egitto è uno dei pochi Stati in grado di dialogare contemporaneamente con Tel Aviv, Washington e Beirut” confida un diplomatico europeo. “Il suo ruolo - prosegue - potrebbe essere decisivo nei prossimi giorni”. Inoltre il primo ministro Nawaf Salam è atteso in Egitto nei prossimi giorni per discutere i molti temi in agenda. 

Il fronte interno

Sul fronte interno, la visita arriva in un momento in cui si sta approfondendo la frattura politica tra le comunità libanesi cristiana, drusa e sunnita da un lato e il tandem sciita Hezbollah-Amal dall’altro. Sul piano della sicurezza, il movimento sciita legato a Teheran ha fatto marcia indietro e ha dichiarato che non consegnerà le armi, nonostante la risoluzione 1701 lo obblighi a farlo, fintanto che Israele continuerà a occupare il Libano.

Questa arroganza si manifesta anche sul piano parlamentare, in vista delle elezioni parlamentari del maggio 2026. Ecco perché, grazie a un emendamento alla legge elettorale richiesto da 67 deputati che autorizza i libanesi all’estero a votare nei loro Paesi di residenza, le forze ostili a Hezbollah sperano di spezzare l’egemonia esercitata da questo partito, con il suo satellite Amal, sulla rappresentanza parlamentare sciita. E, al tempo stesso, di liberare la parola e il libero arbitrio di una comunità soffocata dal giogo ideologico della Repubblica islamica. Tuttavia, contravvenendo a tutte le norme costituzionali, Berry si rifiuta di iscrivere questo punto all’ordine del giorno di qualsiasi seduta parlamentare, minando il normale funzionamento delle istituzioni.

Paese al bivio

Prima di queste trattative regionali, va ricordato che il 25 ottobre scorso il primo ministro libanese Nawaf Salam si è recato in Vaticano, dove è stato ricevuto dal papa. Secondo un comunicato congiunto, l’incontro ha riguardato “la preparazione spirituale e logistica della visita del Santo Padre”. Sembra che, per rispettare il suo fitto programma, alcuni spostamenti del papa avverranno in elicottero. Inoltre, misure di sicurezza speciali potrebbero essere adottate per la sessione interreligiosa che si terrà in Piazza dei Martiri, nel centro di Beirut. Per rafforzare la fiducia in questo senso, ieri il nunzio apostolico mons. Paolo Borgia ha fatto visita al presidente del Consiglio superiore islamico sciita, lo sceicco Ali el-Khabtib.

“Vengo in Libano come un fratello tra fratelli” ha dichiarato il pontefice durante l’Angelus del 19 ottobre. “Prego - ha proseguito - affinché questo Paese ritrovi il suo ruolo di messaggio di convivenza e pace”. Tra il ritiro della forza Unifil, l’intensificarsi degli attacchi israeliani, le mediazioni parallele di Washington e del Cairo, gli sforzi diplomatici del Vaticano e le fratture interne al Paese, questi fattori hanno indirizzato il Libano oggi più che mai a un bivio della sua storia recente. 

In questa prospettiva, Leone XIV ha posto il suo viaggio sotto il segno del versetto: “Beati gli operatori di pace”. “Ha mille volte ragione” sottolinea un vescovo maronita dietro richiesta di anonimato. “La pace - avverte - è un’opera di artigianato. È fatta a mano e richiede molta abilità diplomatica, legami personali, gesti di fiducia e preghiera”. Il momento di raccoglimento del papa davanti al porto di Beirut [teatro della devastante esplosione dell’agosto 2020]; la messa all’aperto; la visita al monastero di Annaya; la visita al Convento della Croce; la “Caza della sofferenza” del Libano, in grave deficit finanziario. Saranno tutti momenti preziosi di raccoglimento per molti libanesi. Perché “a Dio - affermano - nulla è impossibile!”. 

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