25/11/2025, 10.15
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Ad un anno dalla tregua con Hezbollah, bombe israeliane sul Libano che aspetta il Papa

di Fady Noun

Un raid aereo dei caccia israeliani ha colpito un appartamento della periferia sud di Beirut. Nel mirino Haytham Ali Tabataba’i, capo di stato maggiore del partito filo-iraniano. Washington e Tel Aviv contro i vertici libanesi che non sono ancora riusciti a disarmare Hezbollah. L’imminente visita del pontefice esclude l’escalation nell’immediato, ma restano i timori per il futuro. 

Beirut (AsiaNews) - A meno di una settimana dalla visita di papa Leone XIV in Libano (30 novembre-2 dicembre) e alla vigilia del primo anniversario dell’accordo di cessazione delle ostilità tra Israele ed Hezbollah del 27 novembre 2024, uno spettacolare raid aereo dello Stato ebraico ha colpito un appartamento di Haret Hreik, periferia sud di Beirut. Si tratta del primo attacco dal giugno scorso sulla capitale libanese per colpire obiettivi legati al partito sciita filo-iraniano, e che ha ricordato come questa cessazione delle ostilità sia solo una tappa verso la totale eliminazione militare del gruppo combattente.

L’accordo relativo alla tregua prevedeva - in modo tacito - che il Paese dei cedri, con un nuovo presidente, avrebbe portato a termine ciò che Israele aveva iniziato disarmando Hezbollah secondo un processo definito nelle risoluzioni Onu 1559 e 1701, a partire dalle regioni a sud del fiume Litani. Il Libano ha avviato questo processo, ma incontra una forte resistenza da parte del Partito di Dio. Il raid del 23 novembre significa che lo Stato ebraico ha ripreso il controllo della situazione? È prevista una risposta di Hezbollah? A queste domande non vi è ancora una risposta. L’opinione comune è che dalle parti del partito filo-iraniano si stiano valutando diverse opzioni.

L’attacco è costato la vita a sei uomini, tra cui Haytham Ali Tabataba’i, un libanese di padre iraniano che ricopriva la carica di capo di stato maggiore del partito filo-iraniano. Tabataba’i era responsabile della Forza Radwan, unità d’élite di Hezbollah, nonché del riarmo del partito con droni a corto raggio in grado di raggiungere il nord di Israele. Il suo funerale, celebrato ieri nella periferia sud di Beirut, ha confermato l’immenso seguito che Hezbollah continua ad avere all’interno della comunità sciita e, di riflesso, la complessità del compito di disarmare questo movimento da parte dell’esercito libanese.

Al contempo, gli Stati Uniti hanno accolto con favore l’eliminazione di un uomo di cui chiedevano la testa dal 2016, in cambio di una ricompensa di cinque milioni di dollari, ma hanno assicurato di essere stati informati dell’attacco solo mentre l’operazione stessa era in corso. Attraverso il primo ministro Benjamin Netanyahu, lo Stato ebraico ha dichiarato da parte sua di agire in piena indipendenza quando si tratta di una questione riguardante la propria sicurezza.

Campagna di Washington

Va tuttavia sottolineato come il raid sia coinciso con una campagna contro il governo e l’esercito libanese, ai quali Washington e Tel Aviv rimproverano la mancanza di determinazione nel processo di neutralizzazione militare di Hezbollah. E, in particolare, il rifiuto di Beirut di accogliere la richiesta israeliana di perquisire abitazioni private alla ricerca di nascondigli di armi. Questa campagna ha portato al rinvio di una visita negli Stati Uniti del comandante dell’esercito, il generale Rodolphe Haykal, vicino al presidente della Repubblica Jospeh Aoun. Per il potere, la crescente impazienza di Washington riflette una totale ignoranza delle realtà libanesi, nonché la difficoltà del compito rispetto ai mezzi e al personale a disposizione dell’esercito del Paese dei cedri.

In risposta a Washington, da una caserma dell’esercito a Tiro il 22 novembre festa dell’Indipendenza del Libano il capo dello Stato ha pronunciato un discorso in cui assicura che il Paese è disposto a sedersi al tavolo dei negoziati per risolvere la controversia sui confini con Israele, in previsione di un disarmo totale del partito filo-iraniano. Ciononostante, le sue rassicurazioni non hanno trovato, finora, alcun riscontro da parte di Israele o degli Stati Uniti. In questi giorni è in corso anche una missione egiziana per avvicinare le posizioni, mentre la Francia e l’Arabia Saudita si stanno attivando per rompere l’isolamento della leaadership libanese e, in particolare, per accelerare il rafforzamento in corso del suo esercito.

No escalation nell’immediato

Tornando alla visita di papa Leone XIV, l’attacco israeliano non sembra aver preoccupato più di tanto i libanesi, che escludono che possa preludere a un’escalation immediata. Le dichiarazioni provenienti dallo Stato ebraico vanno in questo senso. Inoltre, fonti concordanti assicurano che, su richiesta di Washington, trasmessa dal vicepresidente J.D. Vance, Israele non farà nulla che possa compromettere la visita del pontefice, atteso domenica 30 novembre in Libano.

È questa l’opinione prevalente anche tra le agenzie di viaggio e gli operatori del settore, secondo cui l’attacco alla periferia sud non ha causato per il momento cancellazioni di prenotazioni o voli per Beirut. “Il sentimento prevalente tra i viaggiatori è che vi siano poche possibilità di un inasprimento generalizzato della situazione, almeno fino alla visita di papa Leone XIV” spiega ad AsiaNews il presidente del sindacato delle agenzie di viaggio e turismo in Libano (Attal) Jean Abboud.

Per molti libanesi, al di là del protocollo diplomatico, l’arrivo del papa rappresenta la speranza di un momento di coesione nazionale in un Paese fragile, ma profondamente legato alla convivenza interreligiosa come identità profonda. Tuttavia, i libanesi sono tutti consapevoli che la “tregua” di cui beneficeranno sarà solo momentanea e potrebbe essere seguita da un’intensificazione degli attacchi israeliani nel novero di un’escalation militare. Per la Chiesa locale, il fattore tempo gioca a sfavore del Libano; la speranza costantemente rimandata di una stabilità duratura non fa che aggravare l’emorragia umana che colpisce l’élite universitaria e la sua gioventù in generale. Del resto il tema del radicamento in Oriente, nonostante tutte le criticità, dovrebbe rientrare fra quelli che il pontefice affronterà durante il suo incontro con i giovani il Primo dicembre, a Bkerké.

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