09/11/2009, 00.00
VATICANO
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Papa: guardare alle migrazioni come una condizione favorevole per costruire pace e sviluppo

Benedetto XVI chiede di cambiare quell’attegiamento per il quale coloro che lasciano il proprio Paese spinti da situazioni non accettabili non trovano altrove l’accoglienza che speravano. Nel mondo globalizzato, le differenze culturali vanno accolte come occasione di incontro e di dialogo.

Città del Vaticano (AsiaNews) - Vedere nel crescente fenomeno delle migrazioni una “condizione favorevole per la comprensione tra i popoli e per la costruzione della pace e di uno sviluppo che interessi ogni Nazione”, cambiando quindo quell’attegiamento per il quale coloro che lasciano il proprio Paese spinti da situazioni non accettabili non trovano altrove l’accoglienza che speravano. E’ sulla base del principio che “lo sviluppo autentico riveste sempre un carattere solidale” che Benedetto XVI ha afrontato oggi il tema della condizione di coloro che lasciano la propria terra per cercare una vita migliore.

 L’occasione è stata offerta al Papa dal dall’udienza ai partecipanti al VI congresso per la Pastorale dei migranti e dei rifugiati, che inizia oggi in Vaticano e che ha per tema: "Una risposta pastorale al fenomeno migratorio nell’era della globalizzazione. A cinque anni dall’Istruzione Erga migrantes caritas Christi".

La necessità di mutare atteggiamento trae origine dal fatto che “se il fenomeno migratorio è antico quanto la storia dell’umanità, esso non aveva mai assunto un rilievo così grande per consistenza e per complessità di problematiche, come al giorno d’oggi. Interessa ormai quasi tutti i Paesi del mondo e si inserisce nel vasto processo della globalizzazione”. E mentre “si va allargando sempre più il divario economico fra Paesi poveri e quelli industrializzati. La crisi economica mondiale, con l’enorme crescita della disoccupazione, riduce le possibilità di impiego e aumenta il numero di coloro che non riescono a trovare neppure un lavoro del tutto precario. Tanti si vedono allora costretti ad abbandonare le proprie terre e le loro comunità di origine; sono disposti ad accettare lavori in condizioni per nulla consone alla dignità umana con un inserimento faticoso nelle società di accoglienza a causa della diversità di lingua, di cultura e degli ordinamenti sociali”.

Come l’antico popolo biblico in fuga dalla schiavitù dell’Egitto, “oggi, molti migranti abbandonano il loro Paese per sfuggire a condizioni di vita umanamente inaccettabili senza però trovare altrove l’accoglienza che speravano”.

“Di fronte a situazioni così complesse, come non fermarsi a riflettere sulle conseguenze di una società basata fondamentalmente sul mero sviluppo materiale? Nell’Enciclica Caritas in veritate notavo che vero sviluppo è solo quello integrale, quello cioè che interessa ogni uomo e tutto l’uomo”. “In effetti, in una società in via di globalizzazione, il bene comune e l’impegno per esso – ho osservato ancora nella Caritas in veritate - non possono non assumere le dimensioni dell’intera famiglia umana, vale a dire della comunità dei popoli e delle Nazioni" (cfr n. 7). Anzi, lo stesso processo di globalizzazione, secondo quanto opportunamente ebbe a sottolineare il Servo di Dio Giovanni Paolo II, può costituire un’occasione propizia per promuovere lo sviluppo integrale, soltanto però "se le differenze culturali vengono accolte come occasione di incontro e di dialogo, e se la ripartizione disuguale delle risorse mondiali provoca una nuova coscienza della necessaria solidarietà che deve unire la famiglia umana" (Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 1999, in: Insegnamenti XXII, 2, [1999], 988). Ne consegue che occorre dare risposte adeguate ai grandi cambiamenti sociali in atto, avendo chiaro che non ci può essere uno sviluppo effettivo se non si favorisce l’incontro tra i popoli, il dialogo tra le culture e il rispetto delle legittime differenze.

“Ciò va però tradotto in gesti quotidiani di condivisione, di compartecipazione e di sollecitudine verso gli altri, specialmente verso i bisognosi. Per essere accoglienti gli uni degli altri – insegna san Paolo – i cristiani sanno di dover essere disponibili all’ascolto della Parola di Dio, che chiama a imitare Cristo e a restare uniti a Lui. Solo in tal modo essi diventano solleciti nei confronti del prossimo e non cedono mai alla tentazione del disprezzo e del rifiuto di chi è diverso”.

 

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