Parroco di Gaza: vicinanza di papa Leone dà speranza. Aiuti contro la carestia
P. Romanelli sottolinea il “legame forte” fra i cristiani della Striscia con il pontefice e il predecessore. Agli appelli alla pace si accompagna il “forte accento” sulla condizione di “grave carestia” che è diffusa. L’esercito israeliano prosegue l’offensiva, Netanyahu apre all’ingresso parziale di aiuti dietro pressioni Usa. La speranza più grande: “poter vivere nella nostra terra”.
Milano (AsiaNews) - “Sentiamo un legame molto forte con il papa, prima con Francesco e ora con Leone XIV, perché attraverso di loro avvertiamo la vicinanza e la solidarietà di tutte le persone. Siamo confortati dagli appelli che il pontefice ha fatto dal primo giorno a san Pietro, e che ha già ribadito diverse volte”. È quanto racconta al telefono ad AsiaNews p. Gabriel Romanelli, il parroco della chiesa latina della Sacra Famiglia a Gaza, richiamando l’omelia di papa Prevost nella messa di inizio pontificato celebrata ieri e le parole al Regina Caeli, mentre Israele “apre” a un parziale ingresso di aiuti. “Un appello alla pace - prosegue il sacerdote argentino del Verbo Incarnato - che è accompagnato dal forte accento sulla situazione di grave carestia che è diffusa in tutta la Striscia” in cui due milioni di persone sono in condizione di “estremo bisogno”.
Il religioso sottolinea l’importanza del legame col papa e della sua preghiera, sia nelle telefonate serali a cadenza quotidiana con papa Francesco prima che attraverso i messaggi e le parole del neoeletto Leone XIV. “I cristiani di Gaza - afferma - sono molto religiosi e sanno che la preghiera del Santo Padre è una protezione davanti a Dio, senza questo elemento non si può capire cosa sperimentiamo e cosa abbiamo sperimentato prima. Inoltre, le persone comprendono che il papa oltre a essere vicario di Cristo in terra è una personalità di caratura mondiale, incontra i potenti della terra e non esita a parlare di pace, di lanciare appelli per la fine della guerra, la liberazione degli ostaggi e l’ingresso di aiuti. Tutto questo - avverte p. Romanelli - è elemento di conforto, perché nessun leader mondiale parla di pace come lui, tanto da offrire il Vaticano come punto di incontro e mediazione fra persone diverse, fra nemici”. E ancora, pur non ricevendo aiuti da tre mesi “il patriarcato latino ci è sempre stato vicino e la Chiesa, appena può, è pronta a sostenere come ha sempre fatto decine di migliaia di famiglie: un aiuto concreto. Proprio per questo - auspica il parroco - speriamo che in questi giorni lascino entrare beni di prima necessità”.
Al riguardo va sottolineato che decine di camion carichi di aiuti umanitari sarebbero pronti a entrare a Gaza. La conferma - dietro anonimato - arriva da un funzionario Onu secondo cui almeno 20 mezzi, che trasportano principalmente cibo, sono dislocati nell’area di confine pronti a fare il loro ingresso nella Striscia e allentare l’emergenza umanitaria in atto. Altre fonti parlano di almeno tre autoarticolati carichi di beni sul lato israeliano del valico di Kerem Shalom. E se il governo israeliano - pressato dall’alleato statunitense e diviso al suo interno sul via libera agli aiuti - per ora non vuole rilasciare comunicazioni ufficiali, i media palestinesi riferiscono di almeno 50 camion con farina, olio da cucina e legumi ammessi nell’enclave. Il loro ingresso è previsto al più tardi per il pomeriggio di oggi, mentre giornali israeliani aggiungono che nove camion con alimenti per bambini dovrebbero entrare nelle prossime ore.
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu avrebbe concesso il via libera agli aiuti nella Striscia, bloccati dal 2 marzo scorso quando lo Stato ebraico ha imposto il blocco sollevando critiche di governi e ong attiviste, dietro pressioni degli stati Uniti. Attivisti e voci critiche affermano che gli aiuti sarebbero diventati una sorta di “arma di guerra” usata nel conflitto contro Hamas, in risposta all’attacco del 7 ottobre 2023. Dietro la decisione del governo, peraltro attaccata da ministri e partiti della destra radicale e religiosa, vi è il proposito di scongiurare una “crisi di fame” che finirebbe per metterebbe a repentaglio l’operazione “Gideon’s Chariots” lanciata nel fine settimana.
Una offensiva che punta ad assumere il controllo della Striscia e che, in pochi giorni, ha già causato centinaia di vittime fra i palestinesi, in larga maggioranza civili, e che è stata oggetto di feroci critiche da parte degli stessi familiari degli ostaggi. In queste ore un gruppo in rappresentanza delle famiglie di prigionieri critica l’escalation militare, definendola una “grave minaccia” per la vita stessa dei prigionieri ancora in mano ad Hamas. In un rapporto il gruppo afferma che l’espansione del combattimento “aumenta drasticamente” il rischio di vittime e accusa Netanyahu di perseguire una politica che “sta uccidendo i vivi e cancellando i morti. Ogni bombardamento, ogni ritardo, ogni indecisione aumenta il pericolo” afferma Hagai Levine, coautore del rapporto.
Ciononostante, l’esercito prosegue nell’offensiva e punta all’area di Khan Younis. In una nota il portavoce di lingua araba delle Forze di difesa (Idf) Avichay Adraee ha intimato a tutti gli abitanti di Khan Younis, Bani Suheila e Abasan di “evacuare immediatamente” in vista di un attacco che “non ha precedenti”, con l’obiettivo di “distruggere le capacità delle organizzazioni terroristiche in quest’area”. Da qui l’invito a dirigersi “a ovest verso l’area di Mawasi” perché, conclude la nota, Khan Younis sarà considerata “zona di combattimento pericolosa”.
Intere famiglie sono già state “spazzate via” negli ultimi giorni dalle bombe israeliane, come afferma il portavoce del ministero della Sanità di Gaza Khalil Al-Deqran. Inoltre si acuisce l’emergenza sanitaria, con l’ospedale indonesiano che ha smesso di funzionare. Il sistema nel suo complesso è a malapena operativo e il blocco degli aiuti ha aggravato le criticità. Israele incolpa Hamas di aver rubato gli aiuti, accusa che Hamas nega, mentre aumentano le vittime fra i bambini. Il servizio di emergenza civile palestinese afferma che il 75% delle ambulanze non funziona a causa della carenza di carburante e, a breve, tutti i veicoli rischiano di fermarsi.
“Un po’ di speranza c’è - riprende p. Romanelli - che possano entrare aiuti, ma per i cristiani di Gaza e la popolazione in generale la speranza più grande è ricevere un segno chiaro che potranno continuare a vivere e ricostruire la loro terra”. Al momento, prosegue, “non è esagerato usare la parola carestia” e se nell’area in cui si trova la parrocchia “è vero che stiamo meglio rispetto ad altre parti, questo non vuol dire che stiamo bene”. “Quello che abbiamo - racconta - per i nostri 500 rifugiati lo razioniamo, ma non è che ne abbiamo per chissà quanto. La farina la setacciamo due o tre volte per separarla dai vermi e nonostante cerchiamo di purificare l’acqua abbiamo diversi casi di dissenteria. Un problema che si può risolvere - aggiunge - con una medicina banale nel mondo, ma che quasi non esiste qui”. I bisogni sono molteplici, conclude, ma “il primo segno è che la guerra finisca, gli ostaggi liberati ed entrino gli aiuti. E ricevere un segno chiaro che queste persone possano vivere in libertà nella loro terra, non fuori dalla loro terra o nella loro terra senza libertà”.
15/03/2024 14:22