30/03/2024, 10.00
IRAN - MALAYSIA
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Pasqua in Iran: migrante convertita condannata a due anni al ritorno in patria

La 45enne Laleh Saati era rientrata dalla Malaysia, dove aveva abbracciato la fede cristiana, dopo una vana attesa sulla richiesta di asilo. Un tribunale l’ha riconosciuta colpevole di aver agito “contro la sicurezza nazionale”. Alla base delle accuse presunti collegamenti con “organizzazioni cristiane sioniste”. Fra le “prove” anche il video del suo battesimo. 

Teheran (AsiaNews) - Una cristiana convertita dall’islam, battezzata in passato in una chiesa della Malaysia, nazione in cui si era temporaneamente trasferita, è stata condannata a due anni di carcere al ritorno in patria in Iran per aver agito “contro la sicurezza nazionale”. Alla base dell’accusa vi sarebbero presunti collegamenti della 45enne Laleh Saati con “organizzazioni cristiane sioniste”.

La donna è tornata nel proprio Paese nel 2017, frustrata dalla vana attesa e dai tempi prolungati di elaborazione della richiesta di asilo nella nazione del Sud-est asiatico, unita alla pratica rimasta inevasa di ricongiungimento con gli anziani genitori. Tuttavia, secondo il sito attivista Article18 - che rilancia fonti di Human Rights in Iran - una volta rimpatriata è stata convocata a più riprese e interrogata in diverse occasioni da agenti dell’intelligence. 

Le vessazioni sono continuate per anni sino a sfociare, il 13 febbraio scorso, nell’ordine di arresto eseguito nell’abitazioni del padre nella cittadina di Ekbatan, un sobborgo di Teheran. I poliziotti l’hanno prelevata e rinchiusa nella sezione 209 del famigerato carcere di Evin, alla periferia della capitale, in un’ala sotto la giurisdizione del ministero dell’Intelligence. In cella avrebbe subito ripetuti interrogatori nel corso di tre settimane, durante le quali le sono state mostrate fotografie e video che “proverebbero” le sue “attività cristiane” e il battesimo risalente al tempo trascorso in Malaysia, tutte “prove” del suo “crimine”. Da qui il trasferimento ulteriore nel reparto femminile della prigione.

Il 16 marzo scorso è comparsa davanti al giudice Iman Afshari, presso la sezione 26 del Tribunale rivoluzionario di Teheran, che le avrebbe chiesto le ragioni del rientro nel Paese di origine e il rischio di un processo a suo carico per “queste cose [attività cristiane] fuori dall’Iran”. Nella sentenza di condanna oltre ai due anni di cella vi è anche il divieto per altri due anni di viaggiare una volta tornata in libertà alla scadenza della pena, mentre non vi sono informazioni su un possibile rilascio dietro pagamento di una cauzione o di ricorso in appello. 

Mansour Borji, direttore di Article18, sottolinea che “le autorità per l’immigrazione di tutto il mondo dovrebbero prendere nota” del verdetto prima di respingere richieste di asilo agli iraniani a rischio “persecuzione” al rientro, oltre a dirsi “sorpreso” per la “rapidità” del processo a Laleh. La sua vicenda, aggiunge, “dimostra chiaramente che le attività cristiane dei richiedenti asilo all’estero possono essere usate contro di loro nei procedimenti giudiziari in Iran”. 

In Iran aumentano i cristiani vittime di arresti e condanne per la sola pratica del culto, in patria o all’estero, o per essersi convertiti dall’islam, e che spesso scelgono di non denunciare per “paura” che la pubblicizzazione del proprio caso possa determinare sofferenze ancora peggiori. L’escalation nelle persecuzioni è testimoniata in un rapporto pubblicato il 19 febbraio scorso e intitolato “Vittime senza volto: violazioni dei diritti contro i cristiani in Iran” (clicca qui per leggerlo). Lo studio è stato realizzato da Article18 con la collaborazione di altre ong di primo piano fra cui Open Doors, Christian Solidarity Worldwide (Csw) e Middle East Concern, che conferma la “netta regressione” della situazione in tema di libertà religiosa.

Una repressione in linea con arresti e impiccagioni comminate dalle autorità e legate alle proteste divampate in seguito alla morte di Mahsa Amini per mano della polizia della morale. A fronte di un aumento mimino di cristiani arrestati “pari a 166 nel 2023 rispetto ai 134 del 2022” sono sempre più, sottolineano gli autori del documento, quelli “privi di nome e di un volto” che finiscono nel mirino della giustizia. Un dato emerso anche nel rapporto 2023 della US Commission on International Religious Freedom del maggio scorso, che invita a riclassificare la Repubblica islamica come “nazione di particolare preoccupazione (Cpc)” per le sue “violazioni sistematiche ed eclatanti”.

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