05/10/2009, 00.00
CINA
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Pechino: I voti nel Fondo monetario internazionale corrispondano alle contribuzioni

Secondo la Cina, la rappresentanza degli Stati deve essere adeguata a quanto ognuno versa al Fondo. Pechino contesta la richiesta di rivalutare lo yuan e preme perché il Fondo, con maggior potere ai Paesi emergenti, controlli le politiche economiche di tutto il mondo.

Istanbul (AsiaNews/Agenzie) – Riformare l’attuale sistema di rappresentanza nel Fondo monetario internazionale (Fmi), basato sull’attribuzione fissa di quote-voto ai diversi Paesi, con “un sistema che adegui in modo automatico le quote [di voto] e che rifletta i cambiamenti nello status economico dei Paesi, con cadenza periodica”. E’ la proposta presentata ieri da Yi Gang, vicegovernatore della centrale Banca di Cina, a Istanbul nel corso dell’annuale riunione plenaria del Fmi.

La Cina e altri Paesi emergenti ritengono che nel Fmi i Paesi sviluppati sono rappresentati in modo eccessivo e non corrispondente all’economia mondiale. Yi indica questa inadeguata rappresentanza come “una delle principali ragioni” per cui l’Ente non è riuscito a prevedere la crisi finanziaria globale. Tutti concordano che Cina, India e altri Stati emergenti debbano avere maggiore rappresentanza, ma è in atto un duro confronto per determinarne la misura.

Pechino propone di commisurare la rappresentanza al contributo monetario di ogni Paese al Fmi. Secondo i rappresentanti cinesi questa riforma è anche propedeutica all’attribuzione di maggiori poteri al Fondo per controllare e regolare la finanza mondiale e, in specie, per tenere stabile il cambio tra le principali valute.

Nel 2009 la Cina ha contribuito al Fmi acquistandone obbligazioni per oltre 50 miliardi di dollari (circa 34,2 miliardi di euro). Però ha chiarito, insieme a Brasile e Russia, che non proseguirà simili contributi se le nazioni emergenti non avranno maggior potere.

Il confronto in atto presso il Fondo riguarda non solo il suo assetto futuro, ma la stessa politica finanziaria di Pechino. Dominique Strauss-Kahn, capo del Fmi, all’apertura dei lavori il 2 ottobre ha rinnovato la critica verso la Cina perché tiene “sottostimato” lo yuan. Peraltro ha aggiunto che la riforma per aggiustare le politiche dei cambi monetari va inquadrata nella più ampia questione di come favorire una crescita globale più bilanciata. Anche Stati Uniti ed Europa ritengono che il renminbi deve essere rivalutato e portato all’effettivo valore, pure per ridurre il surplus a favore della Cina negli scambi commerciali, e hanno sollevato la questione al summit dei G20 a Pittsburgh due settimane fa.

A queste critiche Yi ha risposto, senza citarle, che “il Fmi dovrebbe aumentare il controllo su tutti i maggiori mercati finanziari e considerare in modo comprensivo le politiche di tutti gli Stati membri”, piuttosto che occuparsi delle politiche di singoli Paesi in modo semplicistico e meccanico, estraniate dal quadro complessivo. Intanto ha ribadito che Pechino non intende mutare l’attuale politica dei cambi, che ha tenuto lo yuan basso rispetto al dollaro Usa da luglio 2008, quando si è manifestata la crisi globale.

Già da tempo i massimi esponenti finanziari cinesi propongono, in via informale, che la comunità internazionale adotti come valuta di riferimento lo Special Drawing Right (Sdr, il Diritto speciale di prelievo), moneta virtuale utilizzata dal Fondo monetario internazionale, ma poco nota, che fa riferimento ai valori di dollaro Usa, euro, sterlina britannica e yen giapponese. Analisti commentano che Pechino vuole in realtà aprire una discussione su quali possano essere le valute di riferimento. In questo modo costringerebbe il dollaro a mantenere il proprio valore, per evitare di perdere l’attuale ruolo centrale, e otterrebbe un’importanza sempre maggiore per la propria valuta.

A questa mossa Washington risponde premendo perché lo yuan si apprezzi secondo l’effettivo valore.

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