06/05/2023, 09.00
MONDO RUSSO
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Putin, la debolezza dell’uomo forte

di Stefano Caprio

I droni sul Cremlino offuscano i fuochi d’artificio già pronti a illuminare il cielo di Mosca, e di poche altre città, visto che la parata del 9 maggio è stata quasi ovunque annullata, per timore di incidenti. Ma ancora più degli avversari esterni ed interni, a preoccupare Putin sono i sostenitori, sempre più attivi e sfrontati, a partire dal “cuoco” Prigožin.

Le vicende della guerra in Ucraina e della contrapposizione della Russia al mondo occidentale non stanno portando alla desiderata apoteosi dell’ideologia del “mondo russo”, tanto auspicata da Vladimir Putin, e che dovrebbe risplendere nella grande parata della Vittoria del 9 maggio, la vera festa dell’identità della Russia post-sovietica. I droni sul Cremlino offuscano i fuochi d’artificio già pronti a illuminare il cielo di Mosca, e di poche altre città, visto che la parata è stata quasi ovunque annullata, per timore di incidenti.

L’attacco al palazzo del potere, secondo il portavoce Peskov, ha lasciato solo “tracce di offuscamento sulle vetrate” in cima al Museo delle Armi del Cremlino, luogo sacro della memoria in cui si conserva la Šapka Monomakha, il cappello-corona attribuito al principe Vladimir di Kiev degli inizi del XII secolo, pronipote di Vladimir il battezzatore. Avendo sposato una parente dell’imperatore bizantino, Vladimir si attribuì il titolo di “Monomaco” per affermare l’eredità di Costantinopoli consegnata ai russi, anche se in realtà la Šapka è chiaramente posteriore e di foggia tartara. Accanto alla corona viene esposto il testo dell’Uloženje, il decreto di istituzione del patriarcato di Mosca, fatto firmare sotto costrizione al patriarca di Costantinopoli Ieremias II, in cui si afferma che Mosca è la “Terza Roma” chiamata a salvare il mondo intero dai nemici della vera fede. Non si sa se i droni siano stati lanciati davvero dagli ucraini, o si sia trattato di una messinscena del Cremlino stesso per lanciare accuse contro Kiev e Washington, o come ancora si ipotizza, sia stato qualche oppositore di Putin che voleva farla finita con lo “zar di vetro”.

In ogni caso, la grottesca vicenda attesta della debolezza del leader, che comunque “non era in sede al momento”, nascosto come sempre in qualche villa o in qualche bunker, per timore dei nemici, e soprattutto degli amici. Molti hanno richiamato l’ironica impresa di Mathias Rust, il tedesco occidentale 19enne che riuscì nel 1987 ad atterrare sulla piazza Rossa con un piccolo Cessna da escursione, eludendo ogni radar sovietico e decretando l’inizio della fine del sogno riformatore di Mikhail Gorbačev. Rimase famoso il dialogo via radio, diffuso sulla stampa, tra il sorvegliante della piazza e il capo della milizia: “Aerei sulla piazza Rossa! – Sì, magari anche i carri armati sulla via Gorkij…”. L’Unione Sovietica non si rendeva conto della sua fragilità, che avrebbe portato in poco tempo al crollo del Muro di Berlino e alla fine dell’impero.

Le analogie con la fine dell’Urss sembrano accumularsi sempre più, con una Russia che si è impantanata tra le campagne dell’Ucraina come ai tempi di Brežnev si perdeva tra i monti dell’Afghanistan. Gli “amici” di Mosca, dalla Cina al Sudafrica, i Paesi Brics, l’Iran, la Turchia e altri, non riescono a dare vero conforto all’economia sempre più provata dalle sanzioni, che stanno cominciando a mettere a dura prova la popolazione, seminando scontento. Neppure sostengono fino in fondo la Russia a livello politico e diplomatico, con ambigue votazioni all’Onu che isolano la Russia sempre più dal resto del mondo, e lasciano Putin nell’umiliante condizione di criminale di guerra ricercato a livello internazionale. Perfino sul versante ecclesiastico, il patriarca Kirill è considerato eretico e sgradito a quasi tutti i confratelli ortodossi del mondo, e se non ci fosse la mano tesa di papa Francesco, non saprebbe più a che santo votarsi, avendo già invocato tutte le legioni celesti, a cominciare dall’arcangelo Michele “l’arcistratega” e da san Giorgio “il vittorioso”, a difesa di una Santa Russia sempre più metafisica, e ben poco evangelica.

Non che sia imminente una rivolta popolare – anche se in Russia, patria della rivoluzione, non si può mai sapere – o che si scalfisca in modo decisivo il consenso elettorale, che porterà lo zar “eterno” all’ennesima “rielezione democratica” nel 2024. La popolazione sostiene il leader non tanto per la sua persona o per i suoi successi, vista la piega sconsolante della guerra ucraina, ma per conformismo e orgoglio dell’essere “contro tutti”, soprattutto contro gli odiati americani, il modello irraggiungibile del Bengodi che i russi possono soltanto sognare. Tanto più che la repressione di ogni forma di dissenso ha raggiunto livelli paragonabili solo a quelli staliniani, con la diffusione della delazione verso parenti e vicini che ricorda la storia sovietica di Pavlik Morozov, il bambino che denunciò i genitori mandandoli in lager, e diventando un modello per le generazioni future.

Non è una sollevazione a dimostrare la debolezza di Putin, ma la derisione, la sempre più evidente mancanza di credibilità, che lo sta rendendo un personaggio patetico non solo nei ritratti della propaganda occidentale, ma anche all’interno del Paese. Il suo oppositore più famoso, Aleksej Naval’nyj, deve gran parte della sua popolarità non solo al coraggio di tornare in patria dopo essere stato avvelenato, e aver accettato di venire sbattuto nel lager, ma anche per non aver perso la forza d’animo e lo spirito gioviale anche in condizioni estreme, mentre il suo persecutore s’incupisce e annega nella retorica sempre più roboante e vuota.

Dalla cella d’isolamento in cui viene rinchiuso anche solo per un battito di ciglia, Naval’nyj riesce comunque a far uscire e pubblicare sulle reti social i suoi commenti, quasi fosse comodamente disteso sul divano di casa, rendendo la crudeltà degli aguzzini sempre più grottesca. In questi giorni ha raccontato il paradosso della “tortura di Putin”, per cui ogni sera nel settore Šizo di massima punizione si diffondono i discorsi del presidente ad altissimo volume, con altoparlanti in tutti i corridoi, “come ho letto una volta in un romanzo di spionaggio, in cui obbligavano ad ascoltare le poesie di Mao Tzetung… questa dei discorsi è l’ultima trovata per molestarmi, dopo che con i miei amici abbiamo diffuso la storia dei carcerieri che rubano i soldi destinati ad acquistare verdure per i prigionieri”. L’oppositore ammette che “il rimbombo dei folli discorsi del capo mi disturba un po’ il sonno e la lettura dei libri”, ma si consola con il pensiero che “almeno così i carcerieri ammettono che ascoltare Putin è una punizione”, che devono subire loro stessi per primi. “Ho anche chiesto scherzando quale sia il discorso che a loro piace di più, ma se ne stanno zitti, anche perché ogni parola viene registrata e non sia mai che citano quello sbagliato… quando alzano gli occhi esasperati, quello per me è il premio più gradito”.

Oltre all’ironia di Naval’nyj, colpiscono al cuore del potere i proclami di tanti altri oppositori arrestati e rinchiusi con condanne infinite, come Vladimir Kara-Murza, Ilja Jašin e tanti altri, che assicurano che “la notte finirà”, e la Russia ritroverà la libertà e la vera democrazia. Eppure, ancora più degli avversari esterni ed interni, a preoccupare Putin sono i sostenitori, sempre più attivi e sfrontati, a partire dal “cuoco” Prigožin, la cui popolarità comincia davvero a gettare ombra sulla figura del capo. La compagnia Wagner, al di fuori di ogni controllo del Cremlino, impazza in Ucraina, in Africa e nel mondo intero, criticando sempre più aspramente i generali che Putin è costretto a sostituire come figurine, al di là della fama di “macellaio” o “sterminatore” che molti di loro si erano guadagnati in Siria o nel Caucaso. O come il presidente ceceno Kadyrov, anch’egli insofferente di fronte alle titubanze degli improvvisati soldati russi, mobilitati a forza senza alcuna esperienza bellica e con scarso equipaggiamento, impotenti di fronte alla caparbietà degli ucraini, guidati da un comico-presidente che grazie alle iniziative di Putin assurge alla gloria di eroe internazionale.

Non riescono più davvero a esaltare la grandezza dello zar e della Russia neanche i tanti “ideologi di Putin”, che si susseguono sul palco della propaganda con la stessa frequenza dei rozzi generali, cercando almeno di mantenere un tono elevato di cantori dei “valori morali tradizionali”. Nei giorni scorsi è stato il turno del filosofo-oligarca Konstantin Malofeev, che sta riunendo in molte città attorno agli Urali, come Kazan in Tatarstan o Saransk in Mordovia, le sezioni del Concilio Popolare Russo Universale, un istituto culturale-politico inventato negli anni Novanta dall’allora metropolita Kirill, oggi patriarca, per dare un volto socialmente rilevante alla “rinascita religiosa” dei primi tempi post-sovietici.

L’iniziativa di Malofeev, a detta di diversi commentatori, più che un sostegno alla politica del Cremlino sembra alludere alla costruzione di un progetto politico proprio, che esprima il mondo dei “valori” in modalità ben più efficaci e radicali, rispetto alle contraddizioni del Cremlino. La sua versione del “Concilio” è dichiaratamente xenofoba, indicando nei popoli e nelle religioni non russe, compreso l’islam, il vero nemico da combattere, e lasciando da parte ogni retorica “internazionalista” di riunione universale dei popoli “amichevoli”, la sintesi ortodosso-sovietica dell’ideologia putiniana. Alle riunioni dei seguaci di Malofeev si canta come inno la canzone Ja russkij di Šaman, finendo per assumere tratti “neo-nazisti” ben più accentuati di quelli attribuiti agli estremisti ucraini del battaglione Azov.

Il nazionalismo estremo di questi raduni risuona non casualmente nelle regioni etnicamente più a rischio, nella prospettiva di una possibile disgregazione dell’impero, con i tartari e altri gruppi eurasiatici da tenere sotto controllo e pressione ideologica. Malofeev è anche il padrone di una televisione chiamata Tsargrad, “città imperiale” (era il titolo russo di Costantinopoli), che rievoca ancor più i sogni della restaurazione della Terza Roma, magari sostituendo lo zar perdente con figure più imponenti come lo stesso Konstantin, con la barba e la corpulenza degli antichi bogatyri, gli eroi delle antiche favole russe che sconfiggevano tutti i barbari assatanati, accampati intorno ai sacri confini della Rus’ di Kiev.

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