19/06/2025, 10.24
ISRAELE - IRAN
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Rabbi Milgrom: da Gaza a Teheran, israeliani ‘ostaggio’ di una guerra permanente

di Dario Salvi

Ad AsiaNews l’attivista denuncia come l’escalation con l’Iran abbia “nascosto” il conflitto a Gaza, le atrocità che continuano e il tema degli ostaggi di Hamas. Diversi ambiti della vita pubblica sono interrotti, mentre i missili iraniani provocano “scene di distruzione”. In un quadro di grande “preoccupazione” è difficile fare previsioni, "anche molti israeliani vorrebbero lasciare il Paese". 

Milano (AsiaNews) - Israele e i suoi abitanti sono “ostaggio” di un governo in cerca di una “guerra permanente”, che ora punta a “colpire l’Iran”. È quanto sottolinea ad AsiaNews Jeremy Milgrom, rabbino israeliano e membro dell’ong Rabbis for Human Rights, commentando l’escalation del conflitto in Medio oriente, con l’ultimo fronte aperto il 13 giugno scorso fra lo Stato ebraico e la Repubblica islamica. “È triste osservare - prosegue al telefono - quante vite siano distrutte da questa logica della guerra”, mentre le poche voci di pace e di convivenza, a partire da Gaza che è un fronte sempre più oscurato e dimenticato dalla narrazione ufficiale, risultano silenziate. E gli stessi parenti degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas, nella Striscia, non possono più nemmeno scendere in piazza a manifestare, dovendo ripiegare su incontri online e piattaforme social per riuscire a dialogare e mantenere vivo il dramma dei prigionieri.

Quella appena trascorsa è stata un’altra notte di pesanti combattimenti fra Israele e Iran, mentre si aspetta la decisione del presidente Usa Donald Trump sul coinvolgimento attivo degli Stati Uniti nella guerra. I missili lanciati da Teheran hanno centrato l’ospedale di Soroka a Be’er Sheva, provocando diversi feriti e danni alla struttura; il premier Benjamin Netanyahu attacca i “terroristi” assicurando che “pagheranno un prezzo alto”. Altri razzi hanno colpito Tel Aviv, Ramat Gan e Holon. Sul versante iraniano sono finiti nel mirino dei raid israeliani alcuni siti nucleari, fra cui Arak e Natanz. La guida suprema ayatollah Ali Khamenei ha minacciato “danni irreparabili” nel caso di un intervento americano. Intanto a Gaza si continua a combattere e morire (anche) nella vana ricerca di aiuti: sono almeno 140 le vittime delle ultime 24 ore come denunciano operatori nella Striscia, che lamentano un crollo dell’attenzione mediatica e globale ora rivolta all’Iran. 

In un Paese in guerra da ormai quasi 650 giorni prima a Gaza poi in Libano, Siria, Yemen e ora contro il nemico numero uno iraniano, il clima è surreale fra timore e sospensione. “Non c’è scuola, i bambini sono a casa e la vita pubblica non procede certo con la consueta normalità” ammette Jeremy Milgrom. “Molte persone sono costrette a restare a casa, anche per prendersi cura dei loro bambini - aggiunge - mentre numerose aziende e uffici pubblici risultano in buona parte chiusi”. Da qualche giorno, ammette, la questione di Gaza è diventata “secondaria” e la stessa informazione mainstream si concentra sull’Iran, il cui conflitto è collegato a quanto avvenuto negli ultimi due anni col coinvolgimento degli Houthi in Yemen e ora dell’Iran, in “unione” con i palestinesi. 

Di certo vi è che il quadro, nell’ultima settimana, si è ancor più complicato “con l’attenzione che si concentra sui missili che vengono lanciati dall’Iran: il focus - avverte Milgrom - è rivolto a Teheran, mentre non vi è più narrazione alcuna attorno a Gaza. E questo è molto preoccupante, perché si stanno consumando vicende ancora più terribili dentro la Striscia, e tutto questo ora avviene nel silenzio. La guerra con l’Iran ha nascosto Gaza”. In tutto questo, prosegue, “dov’è il mondo, la comunità internazionale, le istituzioni e gli organismi: perché non intervengono? Perché il mondo permette a Israele di agire in questo modo, di ricorrere all’uso della forza” che in molti casi appare sproporzionato rispetto al quadro in cui si trova a operare, in risposta a un attacco subito o altri da prevenire senza che, in realtà, ve ne siano le avvisaglie.

 In questi giorni anche Israele fa il conto dei danni e delle vittime causati dai missili iraniani, che “sono molto potenti: anche noi - racconta rabbi Milgrom - abbiano scene di distruzione” che ricordano in minima parte quanto l’esercito dello Stato ebraico “sta facendo a Gaza. Per la prima volta sentiamo che anche Israele conta le sue vittime civili, vi sono più morti, mentre con i razzi lanciati da Hamas [e dagli Houthi in Yemen] non abbiamo avuto questa sensazione. Ora è diverso: più sofferenza, più morti e più distruzione”. Non solo a Tel Aviv e Gerusalemme, perché anche Haifa è stata colpita. Un centro che più di altri ha saputo preservare un grado di convivenza e rapporti fra popolazione araba ed ebraica sebbene, prosegue l’attivista,  il dato più alto di vittime in termini percentuali “risulta essere sempre palestinese”.

“Diverse persone - spiega l’esponente di Rabbis for Human Rights - sono preoccupate” perché convinte che la guerra con l’Iran sia il modo per il premier Netanyahu di “guadagnare consenso e sostegno, perché è una questione popolare. Non solo Israele, ma anche in molte parti del mondo [vedi Stati Uniti o la Germania] vi è la percezione che l’Iran rappresenti un problema, e questo attacco è visto come un’opportunità desiderabile e da cavalcare. Ciò è terribile”. In prospettiva, aggiunge, “sembra che Israele continuerà a usare la forza e che nessuno la fermerà. Neppure Trump, che appariva in un primo momento contrario mentre all’atto pratico mostra ancora maggiore supporto in questa azione di guerra”. Oggi è difficile fare previsioni, se “l’Iran si arrenderà o se Israele proverà, e riuscirà, ad annientarlo totalmente. La realtà si fa sempre più terribile” mentre si riducono gli spazi di movimento dei pacifisti, dei gruppi pro diritti, dei parenti degli ostaggi “la cui voce non si sente più” ammette Milgrom. “È difficile che nasca un movimento contro la guerra”. 

Per molti israeliani la sensazione è di essere prigionieri nella propria nazione, di essere ostaggio di un Paese - e di un governo - che alimentano la logica del conflitto permanente. “Non è un momento buono. Non so quante persone nel mondo ne sono a conoscenza, ma molti israeliani vorrebbero lasciare il Paese” afferma Milgrom, “anche solo in via temporanea. Tuttavia, non lo possiamo fare perché l’aeroporto è chiuso e non si può partire. Io stesso dovevo andare all’estero per un matrimonio e per visitare i miei figli e nipoti, ma non posso uscire. Certo - conclude - il mio problema è minore rispetto ad altri, ma vi è la sensazione di essere tutti ostaggi di questa situazione, di un governo che non ci dà la libertà”. 

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