27/09/2010, 00.00
TAGIKISTAN
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Rischi di conflitto civile in Tagikistan. Le preocupazioni di Usa, Russia e Cina

Il diffuso malcontento, specie in zone remote, favorisce alleanze tra gruppi locali e islamici radicali. Nella Rasht Valley i ribelli attaccano le colonne militari. Le potenze mondiali cercano di attrarre Dushanbe nella rispettiva influenza, ma il rischio è che esploda una nuova guerra civile.

Dushanbe (AsiaNews/Agenzie) – La grave sconfitta dell’esercito tagiko contro i ribelli il 19 settembre nella battaglia della Rasht Valley ha evidenziato la debolezza del Paese e della politica del suo presidente. Soprattutto, ha scosso in modo profondo l’opinione pubblica interna e la stessa saldezza del governo è ora a rischio. Questo conflitto interno pone in pericolo la strategia degli Stati Uniti e dell’Alleanza Atlantica (Nato) di avere partner solidi per giungere a rendere stabile la situazione in Afghanistan.

Secondo le notizie ufficiali, a Komarob Gorge, Rasht Valley, una colonna militare è stata sconfitta (almeno 28 morti e 25 feriti) da radicali islamici guidati dall’ex comandante della guerra civile Alovuddin Davlatov (Ali Bedak), ai quali si sono uniti a clan che il governo ha emarginato negli ultimi anni. Unione pericolosa, perché ora questi gruppi controllano un ampio territorio, nel quale sono appoggiati dalla popolazione. Anche perché la Rasht Valley dopo la guerra civile del 1997 è rimasta una terra di nessuno, via di passaggio della droga.

In reazione, tra il 22 e il 24 settembre l’esercito ha lanciato una controffensiva e dice di avere ucciso almeno 8 ribelli.

La Rasht Valley durante la guerra civile del 1997 era rifugio delle forze antigovernative. Dal maggio 2009 vi è schierato l’esercito (si parla di oltre 2mila uomini) e ci sono state numerose operazioni, con morti e decine di arresti, come quello del fratello di Ali Bedak, noto leader del Partito della Rinascita islamica. Ma ora si delinea una coalizione tra veterani della guerra civile che non hanno accettato la pace, leader locali, radicali islamici anche collegati ad al Qaeda come pure ai rivoltosi ceceni.

Il rischio è un’escalation della resistenza armata nella zona, che l’esercito avrebbe difficoltà a controllare. Anche perché il governo del presidente Emomali Sharipovich Rakhmon da una parte deve affrontare una gravissima e perdurante crisi economica, che suscita sempre maggiore malcontento nella popolazione ridotta alla fame; dall’altra, da tempo è accusato di eccessivo autoritarismo. Elementi che favoriscono l’affermarsi dell’opposizione islamica radicale.

In campo internazionale, il Paese confina con Afghanistan e Kirghizistan alla presa con gravi problemi interni, ha relazioni pessime con l’Uzbekistan e problematiche con la Russia.

In questo scenario, è alto il rischio che in zone remote come la Rasht Valley esplodano tensioni autonomiste che potrebbero portare a una guerra civile nell’intero Stato.

Stati Uniti e Nato hanno qui basi logistiche e la zona è via di passaggio per raggiungere le forze in Afghanistan. La progressiva instabilità del Tagikstan e del vicino Kirghizistan mettono in pericolo la strategia Nato di tenere nei 2 Paesi basi sicure per la guerra afghana. Per questo Washington ha offerto di creare un centro di addestramento antiterrorista, che consentirebbe una forte presenza militare Usa nel Paese, a garanzia della stabilità. Si oppone la Russia, che vuole mantenere rapporti privilegiati e un certo controllo sugli ex Stati sovietici. Mosca è anche parte della Shanghai Cooperation Organization, a cui aderisce Dushanbe insieme al altri Stati dell’Asia Centrale e alla Cina, e vuole rinforzare i legami di cooperazione militare.

Proprio la crescente instabilità del Paese e l’indebolimento del presidente Rahmon, filo-occidentale, possono essere usate da Mosca per porsi quale garante per la stabilità, chiedendo una propria maggior presenza militare e limitando quella di Nato e Stati Uniti. Ma esperti osservano che la Russia non è stata finora capace di contenere e debellare l’islamismo radicale nemmeno nel suo territorio e temono che l’indebolimento del governo aprirebbe piuttosto la strada a un’affermazione armata dei gruppi locali, con esiti imprevedibili.

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