22/08/2023, 10.11
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Saad Salloum: come al-Sistani, il patriarca Sako ‘voce degli iracheni’

di Dario Salvi

L’accademico approfondisce la crisi fra il cardinale e il presidente della Repubblica in seguito al ritiro del decreto patriarcale. Il porporato rivendica la lotta per “libertà e indipendenza”. Le radici dell’attuale crisi nella fase della lotta contro l’Isis, quando si sviluppano le milizie armate (anche cristiane). Le critiche di “politicizzazione” prive di fondamento, difende la patria e i cittadini. 

Milano (AsiaNews) - La “crisi” in atto fra il patriarca caldeo, card. Louis Raphael Sako, e il presidente della Repubblica Abdul Latif Rashid, è una ferita aperta per il Paese, per i cristiani e per tutta la popolazione, e per l’idea stessa di nazione capace di proteggere tutti i suoi cittadini. Anche perché il “ruolo” della Chiesa caldea e del patriarcato nella storia moderna “dell’Iraq e della sua società è unico”. Il porporato “è rappresentante di tutti i cristiani” laddove i caldei ne sono la componente principale ed è “la figura più alta in grado” sul piano dell’autorità morale, spirituale e politica per il ruolo che egli è chiamato a rivestire.

Saad Salloum, giornalista e professore associato di Scienze politiche all’università di al-Mustanṣiriyya a Baghdad, una delle più prestigiose della capitale, osserva con attenzione - e preoccupazione - la grave crisi in atto fra il presidente e il primate caldeo. Interpellato da AsiaNews il presidente della Fondazione Masarat, in prima fila nella lotta per il dialogo, la libertà e i diritti, avverte che i primi segnali erano emersi già nel 2017 con la progressiva affermazione di gruppi e milizie in lotta contro lo Stato islamico. “Le divisioni interne esistono da tempo, ma si sono inasprite - sottolinea - con la formazione di fazioni armate in seguito all’ascesa dell’Isis nella piana di Ninive”, area storicamente “a maggioranza cristiana”. 

Card. Sako: libertà e indipendenza

A metà luglio il card. Sako ha trasferito in via temporanea la sede patriarcale dalla capitale irachena a Erbil, nel Kurdistan iracheno, in risposta all’annullamento da parte del presidente della Repubblica del decreto che ne riconosce ruolo e autorità. Una decisione sorprendente quella del capo dello Stato [che in questi giorni ha ricevuto il patriarca siro-cattolico Mar Ignatius Youssef III Younan, "discutendo" della situazione dei cristiani]; Rashid, infatti, ha sconfessato una tradizione secolare colpendo la massima autorità cattolica irachena, che è anche responsabile della gestione del patrimonio e dei beni ecclesiastici. Ed è qui che ruota la questione di fondo: il controllo delle proprietà finite nel mirino del sedicente leader cristiano “Rayan il caldeo” e delle milizie filo-iraniane che lo sostengono (una galassia variegata che comprende sciiti, cristiani, sunniti, etc), minaccia per la pace e la convivenza per tutta la nazione. In risposta agli attacchi, il porporato ha ventilato il boicottaggio delle prossime elezioni.

Nel fine settimana scorso il cardinale è tornato a commentare la crisi che sta vivendo la comunità cristiana e l’istituzione stessa che egli rappresenta. In una riflessione pubblicata sul sito del patriarcato, il porporato ha sottolineato che “la Chiesa in Iraq deve preservare la sua libertà e la sua indipendenza”. Essa, prosegue, “deve difendere i cristiani dell’Iraq da quanti vogliono spogliarli dei loro diritti, opportunità, proprietà” e stravolgere persino “la demografia della piana di Ninive” in cui la maggioranza degli abitanti è cristiana. Inoltre, la Chiesa - osserva il primate - deve “difendere con forza la verità verso se stessa, il Paese e i suoi cristiani” che stanno diventando sempre più “anello debole” della catena, accettando “solo la verità” e lasciando da parte “le lusinghe”, perché “ingiustizie e persecutori prima o poi spariranno”. 

Crisi di rappresentatività

Il patriarca caldeo, osserva Saad Salloum, è “il rappresentante dei cristiani” nella cosiddetta “House of Elders”, per questo l’attuale scontro non si limita “al ritiro del decreto” ma è un “messaggio negativo” dello Stato alle minoranze, “in primis ai cristiani”. “Alla base - prosegue - vi è una crisi nella rappresentatività dei cristiani stessi, della loro indipendenza come ha più volte sottolineato il patriarca”. Egli, aggiunge l’esperto, è anche il primo responsabile “della cura di tutte le Chiese presenti nel Paese, che sono 14. Pure i delegati cristiani in Parlamento [cinque secondo il sistema di ripartizione delle quote, ndr] devono guardare alle priorità di tutti, non solo di uno specifico gruppo di riferimento o di appartenenza”.

Vi sono sedicenti leader o movimenti cristiani, come le Brigate Babilonia e Rayan il Caldeo, che attaccano il card. Sako accusandolo di esercitare un ruolo e una funzione che è “politica”, mentre egli dovrebbe limitarsi “alle questioni di Chiesa”. Tuttavia, spiega Salloum - fresco vincitore, primo dal mondo musulmano, dello Zêd Foundation Award for Human Solidarity, riconoscimento assegnato a personalità distintesi nel campo della tutela dei diritti e delle libertà - proprio qui vi è il “fraintendimento di fondo”. Nella storia moderna il patriarca può essere paragonato all’ayatollah Ali al-Sistani nel mondo musulmano sciita: la “figura più alta in grado” che, pur tenendosi “distante da questioni politiche” non manca di intervenire “davanti a minacce all’identità del Paese, dei suoi valori, del sistema politico” pronunciando fatwa.  “Ciononostante - aggiunge - nessuno si permette di criticare il ruolo di al-Sistani, perché parla a nome di tutti gli iracheni”. Prova ne è quanto avvenuto durante le proteste di piazza del 2019, quando si è schierato “col popolo contro leader politici corrotti e incapaci di perseguire gli interessi delle persone”.

Voce degli iracheni

Il porporato attraverso i suoi discorsi, i suoi interventi pubblici e le sue prese di posizione cerca di superare le divisioni e di unire i cristiani sotto una comune identità irachena, richiamando sfide che riguardano l’intera nazione. Come ha scritto lo stesso primate caldeo in passato, ricorda l’esperto citando alcuni passaggi di una sua analisi del passato, un patriarca “non cerca mai di essere un polo politico per i cristiani, ma è suo dovere come padre e patrono, e alla luce dell’attuale situazione politica, sociale e di sicurezza sulla scia di molteplici conflitti e dell’emergere dell’Isis, difendere oppressi, sfollati e poveri. Egli deve fare appello alla riconciliazione nazionale e a un partenariato efficace per costruire uno Stato con leggi eque e una patria completa e onnicomprensiva”.

“Il patriarca è la voce dei cristiani in Iraq” prosegue Saad Salloum, e si batte contro quanti ne “minacciano l’identità, il futuro, il ruolo che possono e devono ricoprire all’interno dello Stato. “Noi dobbiamo guardare al suo ruolo da questa prospettiva” e proprio in quest’ottica non hanno alcun valore, né fondamento, le critiche di “politicizzazione” che gli vengono mosse. Sia il card. Sako che al-Sistani “sono leader spirituali” con una “profonda influenza” sul piano politico per il loro “carisma” e il legame con la patria. “Entrambi - conclude - cercano di difendere i diritti delle persone. Il patriarca rappresenta tutti i cristiani, ma quando parla lo fa a nome di tutto il popolo iracheno ricordando che i cristiani stessi non sono minoranza, ma cittadini con eguali diritti”. 

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