28/02/2022, 08.44
UCRAINA-RUSSIA
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Sacerdoti ortodossi ucraini e russi contro la guerra

di Vladimir Rozanskij

In molte chiese ucraine del patriarcato di Mosca, durante le liturgia domenicali non è stato ricordato il nome del patriarca Kirill. La gerarchia ortodossa moscovita non avrebbe approvato l’invasione. Dal conflitto possibile spinta alla riunione di tutte le Chiese di Ucraina.

Mosca (AsiaNews) – La guerra russa contro l’Ucraina mette a dura prova anche la fede cristiana ortodossa, a cui appartengono entrambi i popoli in conflitto. In molte chiese ortodosse ucraine del patriarcato di Mosca, durante le liturgia domenicali non è stato ricordato il nome del patriarca Kirill, determinando di fatto un allontanamento di molti fedeli dalla Chiesa russa.

Il metropolita della Chiesa autocefala Epifanyj (Dumenko) si è rivolto a Kirill perché interceda presso il presidente Putin per far cessare la guerra. Il patriarca di Mosca ha diffuso a sua volta un appello affinché “il Signore protegga la terra russa”, specificando di riferirsi alla “Rus’ di Kiev, da cui hanno avuto origine la Russia, l’Ucraina e la Bielorussia”.

Il sito Meduza.ru ha raccolto la testimonianza di diversi sacerdoti divisi dagli interventi militari, ma uniti nell’appartenenza ecclesiale. Il protoierej Nikolaj Bandurin è parroco nella chiesa del villaggio di Andreevo-Melentevo nella regione di Rostov, confinante con il Donbass, a 30 chilometri dalla frontiera più contesa.  A suo parere “era ora che si facesse un po’ d’ordine in Ucraina, ha ragione il presidente Putin… Dio è con noi, e Lui ama tutti, dobbiamo pregare e sperare che vada tutto per il meglio”.

Il protoierej Aleksej Uminskij è invece il parroco della chiesa della SS. Trinità nel quartiere Khokhly (“degli ucraini”) a Mosca, e dichiara di non poter appoggiare le azioni militari del suo Paese. “Io prego per la pace, prego che tutto questo finisca al più presto, e che ne soffra il meno possibile di persone”.

Padre Aleksej cita le parole del patriarca di Mosca Kirill (Gundjaev) e del metropolita russo di Kiev Onufryj (Berezovskij), che hanno definito l’invasione russa una “guerra fratricida… la nostra gerarchia non ha per niente approvato questa azione militare, è una tragedia senza giustificazione né spiegazione”. Uminskij nota con dispiacere che “c’è una forte divisione tra la gente rispetto alla guerra, è una guerra tra di noi, anche tra chi viene in chiesa e si comunica all’unico calice”.

La Chiesa ortodossa in Russia è molto disorientata, mentre in Ucraina il popolo si stringe attorno ai pastori di fronte all’aggressione. Il protoierej Aleksej Pelevin dirige il settore caritativo dell’eparchia di Kaluga, nel sud della Russia, e ricorda le parole del Vangelo: “Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici”.

A suo dire ogni soldato russo adempie a questo comandamento, e la Chiesa “ha sempre benedetto chi si mette al servizio della difesa della patria: noi preghiamo per tutti i nostri soldati, come prescrivono anche le litanie liturgiche, in Ucraina come in Siria e in tutto il mondo”. P. Aleksej cerca di accogliere i profughi del Donbass, come ha raccomandato il patriarca Kirill.

P. Aleksandr Satomskij cura invece la chiesa dell’Epifania a Jaroslavl, nella Russia centrale, e non intende esporre il suo pensiero sulla guerra in corso, “perché potrebbe dividere le persone, e la divisione è opera del diavolo, ma so che per Dio non ci sono persone inutili, e Gesù è salito sulla croce per tutti, senza guardare a chi ha ragione e chi torto…. preghiamo perché trionfi il lume della ragione!”.

Il metropolita di Belgorod Ioann (Popov) guida la sua Chiesa in una regione confinante con l’Ucraina, e si limita a dire che “quando c’è la guerra, i sacerdoti devono soltanto pregare per la pace. Non si capisce che cosa succeda, e in questi casi bisogna pregare che Dio ci illumini la mente, che vinca l’amore e si ristabilisca la pace… non ci sarà mai l’amore, finché continueremo a distruggerci l’un l’altro”.

Il metropolita ricorda che nella liturgia ortodossa si prega per “la moltiplicazione dell’amore”, e cita il santo Nicola di Serbia, che ricorda come “quando nelle persone l’amore diminuisce, esse sentono il bisogno di ristabilire la giustizia, ma spesso non sanno più che cosa essa sia”.

Un importante teologo e storico russo è il protoierej Georgij Mitrofanov, secondo cui “i sacerdoti oggi devono aiutare le persone a non perdere il proprio cammino di fede, a prescindere se si trovino in zona di guerra o di pace, perché in queste circostanze è facile smarrire il senso cristiano della vita”.

Anche chi è impegnato nella guerra come i soldati, ricorda p. Georgij, “non deve dimenticare di essere cristiano, cercando comunque di non versare il sangue del nemico, di non diventare strumento dell’odio diabolico”. Tutte le guerre sono fratricide, perché tutti gli uomini sono fratelli: “Ai cosacchi che tornavano dalla guerra, per un anno era proibito mettere piede in chiesa, perché si erano coperti di vergogna”.

L’arcivescovo Evstratij (Zorja) rappresenta la Chiesa ucraina autocefala, e accusa Putin di un “pensiero gesuita”, che nel mondo russo è sinonimo di ipocrisia: siccome in Ucraina ci sono gruppi di nazionalisti esaltati, allora tutto il Paese deve essere sottoposto alla “forza superiore”, ma gli ucraini sono persone buone e di fede, non vogliono partecipare alla restaurazione “dell’impero del male” e “mai come oggi hanno bisogno della Chiesa, cercano consolazione e sostegno spirituale, anche solo una parola di speranza, di poter credere nella vittoria della verità”. L’augurio di Evstratij è che in questo compito si possano finalmente riunire tutte le Chiese di Ucraina, spinte dalla misericordia verso il popolo che soffre.

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