27/02/2009, 00.00
CINA
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Sono uighuri i tre che si sono dati fuoco a Pechino

Erano venuti per presentare una petizione. Oggi il gruppo “Madri di Tiananmen” ha chiesto al governo di sapere se sono vive o morte 127 persone scomparse nel massacro del 4 giugno 1989. Esperti: il governo non risolve i problemi e ci saranno sempre più proteste, anche con gesti estremi.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Sono uighuri, provenienti dalla remota regione occidentale dello Xinjiang, i tre cinesi che due giorni fa si sono dati fuoco nell’automobile nel centro di Pechino, quando la polizia li ha fermati per accertamenti. Esperti prevedono numerose proteste quest’anno, perché il governo predica l’armonia sociale, ma non risolve i problemi. La polizia risponde pattugliando Pechino con elicotteri.

Pare che i tre, membri della stessa famiglia, siano venuti nella capitale per presentare una petizione su una disputa immobiliare. I genitori sono ancora in ospedale per le ustioni, ma non si hanno notizie del figlio, portato via dalla polizia. Si ignora la ragione del gesto, forse una protesta estrema contro una situazione di ingiustizia.

La prossima settimana inizia l’annuale congresso dell’Assemblea nazionale del popolo e in tale occasione molti cinesi vengono a Pechino per presentare petizioni, chiedendo giustizia. Oggi il gruppo “Madri di Tiananmen” ha presentato una petizione per sapere il destino di 127 persone, scomparse durante il massacro del 4 giugno 1989, quando l’esercito con carriarmati sparò su migliaia di dimostranti disarmati che occupavano piazza Tiananmen chiedendo riforme democratiche. A distanza di 20 anni, ancora si ignora se questi 127 siano morti o arrestati.

Il gruppo, che raccoglie i parenti di giovani morti o scomparsi quel 4 giugno, chiede al governo di accertare tutti i morti, indennizzare le famiglie e punire “i responsabili di quegli omicidi”. Secondo Human Rights in China, la petizione denuncia che “la Cina è diventata come una stanza a tenuta ermetica e tutte le richieste relative al 4 giugno, le pene, i lamenti e le doglianze dei parenti delle vittime sono stati messi a tacere”. La richiesta per il riconoscimento ufficiale degli omicidi è da lungo tempo guidata da Ding Zilin, professore in pensione il cui figlio di 17 anni è morto nella piazza. All’epoca la Cina si è limitata a qualificare i dimostranti come “controrivoluzionari” e tuttora ne parla come un periodo di “tumulto politico” evitando maggiori commenti.

Un'altra protesta si è avuta ieri, quando, di fronte a oltre 100 giornalisti, davanti all’ufficio stampa del Consiglio di Stato, un uomo si è arrampicato sopra un cartello stradale gridando “ridatemi i miei diritti politici” e mostrando striscioni (nella foto). Finché la polizia lo ha costretto a scendere.

Quest’anno ricorrono molti anniversari di questioni ancora aperte e la polizia ha iniziato a pattugliare Pechino anche con elicotteri, in previsione del congresso della prossima settimana, per meglio controllare la situazione.

L’analista Zhang Dajun osserva che l’anno scorso le Olimpiadi di Pechino hanno attirato l’opinione pubblica cinese, ma prevede che quest’anno ci saranno molte proteste pubbliche, perché “non sono stati risolti i problemi della popolazione. Quando la gente è disperata, compie gesti estremi per farsi ascoltare, come darsi fuoco a Pechino”.

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