09/10/2007, 00.00
MYANMAR
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Spari contro il consolato cinese a Mandalay, la rabbia dei birmani contro Pechino

Iniziano a circolare le traduzioni in birmano delle dichiarazioni Onu e delle grandi potenze regionali sulla crisi in Myanmar: tra la popolazione cresce il malcontento verso Cina e India che “proteggono” la giunta. Analisti e opposizione cauti sulla nomina del “ministro per le relazioni” con Aung San Suu Kyi: forse un modo dei militari per prendere tempo.
Yangon (AsiaNews) – Tra i birmani in lotta da agosto contro la dittatura militare monta l’odio verso la Cina, ritenuta principale sostenitrice della giunta e che con il suo appoggio rende possibile la sopravvivenza di un regime ormai allo stremo. Traduzioni in birmano dei discorsi dell’ambasciatore cinese alle Nazioni Unite e dei vari attori di questa crisi - dall’inviato Gambari ai membri dell’Unione europea e ai ministri indiani – iniziano da qualche giorno a circolare in Myanmar, dove le autorità tentano di bloccare ogni accesso all’informazione. Lentamente – dicono da Yangon fonti anonime di AsiaNews – si sta così formando un’opinione pubblica sempre più critica verso potenze come Pechino e New Delhi, che “con le loro dichiarazioni o con i loro silenzi permettono alla giunta di continuare la sua violenta repressione”.
 
Primi segni di questo forte malcontento sono arrivati ieri da Mandalay, dove si racconta di spari contro l’edificio del consolato cinese, presidiato dalle forze di sicurezza birmane. L’episodio – dicono dalla seconda città più importante del Paese – ha generato l’imbarazzo del governo che si è visto costretto ad arrestare alcune guardie, colpevoli di non aver impedito l’attacco. Non vi è notizia di feriti, né del numero di colpi sparati. Finora la Cina si è limitata a chiedere alle due “parti” (esercito e manifestanti, ndr) di abbassare i toni ed evitare di compiere gesti che possono mettere in crisi “la stabilità e il progresso” del Myanmar.
 
Sotto i colpi delle critiche internazionali - l’Onu dovrebbe approvare un documento di condanna, mentre da lunedì prossimo l’Ue varerà sanzioni economiche - il generalissimo Than Shwe, a capo della giunta, sembra muovere i primi passi verso l’auspicato dialogo con l’opposizione. Ieri è stato nominato l'interlocutore ufficiale del governo, che terrà contatti regolari con la leader democratica Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la Pace e guida della Lega nazionale per la democrazia (Nld). La notizia della designazione del generale a riposo Aung Kyi, attuale vice ministro del Lavoro, è stata accolta con cautela da analisti e da membri della Nld: potrebbe infatti essere solo un tentativo dei militari di guadagnare tempo e di arginare lo sdegno internazionale, provocato dalle violenze usate per disperdere le marce pacifiche di monaci buddisti e civili disarmati a fine settembre. La propaganda di Stato servendosi dei media ufficiali cerca, inoltre, di scaricare sui manifestanti la colpa del caro benzina e della drammatica situazione economica del Paese.
 
Ma la gente crede sempre di meno agli organi di stampa del regime e nonostante la presenza ancora forte dei militari per le strade, non accenna a desistere: nella ex capitale, Yangon - raccontano alcuni cittadini - si è deciso di non scendere più in piazza, ma circolano voci di un possibile sciopero generale, che blocchi ogni attività. 
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