07/02/2022, 11.12
MYANMAR
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Taunggyi: tra gli sfollati che facevano parte del movimento di disobbedienza civile

Infermieri e docenti universitarie hanno abbandonato tutto per protestare contro la giunta birmana. Con l'aumentare delle violenze si sono rifugiati in altre città. Alcuni hanno raccontato le loro storie ad AsiaNews, che sostiene le comunità di rifugiati interni attraverso la campagna di donazioni della Fondazione Pime.

Taunggyi (AsiaNews) – Tra gli sfollati del Myanmar accolti dalle strutture cattoliche si incontrano spesso docenti o medici che subito dopo il colpo di Stato della giunta militare birmana del primo febbraio 2021 si sono uniti al movimento di disobbedienza civile (Cdm) e per questo sono stati perseguitati nella fase iniziale di quella che sarebbe poi diventata una guerra aperta. Sono persone che hanno abbandonato il loro lavoro in segno di protesta e messo da parte la carriera per difendere gli ideali e i progressi democratici fatti dal Myanmar negli ultimi 10 anni.

Poi la violenza ha preso il sopravvento: ora il Tatmadaw (l’esercito birmano) e le milizie etniche si combattono in tutto il Paese, anche a Mandalay e Sagaing, per esempio, regioni a maggioranza buddhista e birmana dove gli altri gruppi etnici erano lasciati ai margini.

Dopo i bombardamenti su Loikaw di fine dicembre il numero degli sfollati è salito a oltre 400mila. Alcuni scappano verso l’India e la Thailandia, ma la maggior parte si muove all’interno del Paese, cercando rifugio presso le strutture religiose.

In una di queste è arrivata una coppia di infermieri di 35 e 36 anni con un bambino di sei. Lei è di etnia shan, lui è un birmano (bamar). Ma l’elemento etnico, nella guerra di oggi, è un dato che ha perso di importanza rispetto al passato, quando tutti i gruppi etnici minoritari facevano scudo contro la maggioranza birmana. Le nuove generazioni, al contrario, chiedono semplicemente il ritorno di un governo civile e democratico.

Se non fosse scoppiata la guerra i due infermieri avrebbero fatto carriera: lei era caporeparto e si occupava della formazione delle neoassunte; lui è stato il primo infermiere del Myanmar addestrato a fare tamponi, quando la pandemia da Covid-19 era appena scoppiata e il governo civile guidato da Aung San Suu Kyi stava cercando di ideare un sistema di tracciamento, poi mai attuato a causa del conflitto.

Decidere di lasciare il lavoro è stata una scelta di famiglia: entrambi hanno abbandonato l’ospedale governativo in cui lavoravano per tornare al villaggio di lei e lì hanno provato a perseguire altre carriere. Ora negli ospedali birmani lavorano solo persone fedeli ai generali o costrette a tornare dopo aver subito vessazioni e intimidazioni di vario tipo. Si stima che dopo il colpo di Stato il 70% del personale sanitario si sia rifiutato di collaborare con la giunta.

La stessa cosa è successa nelle università, dove la maggior parte delle docenti sono donne e subito hanno aderito al Cdm. Dopo il golpe, però, la maggior parte di esse non è scesa in piazza con gli studenti per paura di ritorsioni, ma è rimasta in casa. Quando i militari le hanno trovate hanno sfondato la porta, le hanno violentate insieme alle figlie e le hanno minacciate di torture se non fossero tornate in università.

Una donna, professoressa musulmana di 74 anni, è stata costretta a tornare a insegnare a Yangon. Affaticata e dalla camminata buffa e claudicante dopo aver sofferto di cancro, ha ripreso controvoglia il suo lavoro perché da sola non riusciva più opporsi ai generali.

Un’altra professoressa di Yangon, invece, sulla cinquantina, è scappata a Taunggyi con la figlia. Arrivate in una comunità di accoglienza a prevalenza maschile, la ragazza all’inizio non riusciva e interagire e integrarsi con il resto degli ospiti. Prima di fuggire era stata violentata dai soldati ed era ancora ammutolita dallo spavento.

Di fronte a questa situazione la Fondazione Pime ha deciso di aprire il Fondo S145 Emergenza Myanmar, per sostenere le iniziative delle Chiese locali, molte delle quali fondate proprio dai missionari del Pime prima dell'espulsione dei religiosi stranieri nel 1966.

L’obiettivo della campagna è dare un aiuto immediato a migliaia di persone, andando a sostenere la rete di accoglienza che le diocesi di Taungoo e di Taunggyi stanno allestendo. Tante realtà religiose locali hanno risposto a questa emergenza e lo stanno facendo mostrando il volto più bello del Myanmar: quello di un popolo che, nonostante le tante sofferenze che hanno segnato la sua storia, sceglie la strada della solidarietà. È a loro che invieremo aiuti, partendo dai bisogni elementari delle persone: un tetto, il cibo, una scuola per i più piccoli, che da due anni ormai – tra pandemia e guerra – non la frequentano più.

Si può donare con causale “S145 – Emergenza Myanmar”:

  • direttamente on line a questo link scegliendo tra le opzioni il progetto "S145 - Emergenza Myanmar"
  • con bonifico bancario intestato a Fondazione Pime Onlus
    IBAN: IT 11 W 05216 01630 000000005733
    (si raccomanda di inviare copia dell’avvenuto bonifico via email a uam@pimemilano.com indicando nome, cognome e indirizzo, luogo e data di nascita, codice fiscale)
  • sul conto corrente postale n. 39208202 intestato a Fondazione Pime Onlus via Monte Rosa, 81 20149 Milano
  • in contanti o con assegno presso il Centro Pime di Milano in via Monte Rosa 81 dal lunedì al venerdì (9.00-12.30 e 13.30-17.30).
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