17/06/2021, 09.52
IRAN
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Teheran, presidenziali fra astensionismo e vittoria annunciata di Raisi

Favorito l’ex capo della magistratura e fedelissimo di Khamenei. La guida suprema contro quanti intendono disertare le urne, “uno dei peggiori e più mortali peccati”. Il dossier nucleare fra le priorità del futuro leader. Fra gli elettori predominano sentimenti di apatia, sfiducia e disillusione. 

Teheran (AsiaNews) - La vittoria dell’esponente ultra-conservatore Ebrahim Raisi e il rischio di un forte astensionismo, soprattutto fra i giovani, che non si sentono rappresentati da nessuno dei sei candidati rimasti in corsa. Una prospettiva che rischia di gettare un’ombra sul voto e contro la quale è scesa in campo la guida suprema sciita, il grande ayatollah Ali Khamenei, con una sorta di fatwa (editto religioso) in cui ha sentenziato che è un “peccato grave” non esercitare il proprio diritto - e dovere - di elettore. Sono i temi attorno ai quali ruotano le elezioni presidenziali in Iran in programma domani, una partita interna ai conservatori dall’esito scontato, tanto che lo stesso leader uscente Hassan Rouhani aveva chiesto “più competizione”

Il nodo principale resta quello legato all’astensionismo, che secondo alcuni sondaggi potrebbe superare il dato record del 57% registrato lo scorso anno alle parlamentari. Gli appelli al boicottaggio si sono moltiplicati e la stessa agenzia di sondaggi studentesca, legata all’apparato statale, prevede una affluenza del 42% su un totale di 59 milioni di aventi diritto. Da qui i rinnovati appelli della guida suprema a recarsi alle urne, arrivando ad accusare quanti si asterranno, delusi dalla crisi economica e sociale, di essere “nemici dell’islam”. In risposta, l’opposizione all’estero ha rafforzato la campagna su media e social secondo l’hashtag (in farsi) #noallarepubblicaislamica. La guida suprema ha ribattuto citando il fondatore della repubblica e predecessore Ruhollah Khomeini, secondo cui in talune circostanze astenersi dal voto “è uno dei peggiori e più mortali peccati”.

Per chi andrà alle urne, si tratterà di scegliere fra sei candidati che hanno ottenuto il via libera dal Consiglio dei guardiani su oltre 600 candidature. Le domande accolte erano sette, ma proprio in questi giorni di vigilia elettorale si è ritirato uno dei due esponenti cosiddetti “moderati/riformisti”, Mohsen Mehralizadeh. Analisti ed esperti danno per scontata la vittoria dell’esponente ultra-conservatore, ex capo della magistratura e fedelissimo di Khamenei (in molti lo considerano suo naturale successore) Ebrahim Raisi. Dopo due mandati - limite massimo secondo Costituzione - del moderato Rouhani, la nazione è destinata a virare verso la fazione più radicale che, in questi anni, ha spesso attaccato il presidente uscente sull’indirizzo di governo e l’economia.

Religioso fondamentalista, Raisi aveva già tentato la via alla presidenza nel 2017, raccogliendo un 37% di preferenze che non è bastato a superare Rouhani. Egli è famoso per aver fatto parte del comitato che, dal 1988, ha condannato a morte migliaia di dissidenti, militanti e oppositori dopo la guerra con l’Iraq; ancora oggi vanta legami stretti con il potente corpo dei Guardiani della rivoluzione, i temuti “Pasdaran”. Il solo esponente “non conservatore” è il 64enne Abdolnaser Hemmati, ex governatore della Banca centrale e già vice-presidente della radio-Tv di Stato. Hemmati è considerato un tecnocrate moderno su cui puntano le flebili speranze di vittoria di riformisti e moderati. In realtà, egli non dovrebbe andare oltre un risicato 4%, e comunque non costituisce una minaccia - salvo improbabili sorprese - per Raisi sul quale convergono il 60% delle preferenze.

Al netto di una campagna elettorale di basso profilo, sono molti i dossier aperti: solo per ricordarne alcuni vi sono i colloqui sul nucleare per il pieno ripristino dell’accordo del 2015 (Jcpoa), sconfessato nel 2018 dall’ex presidente Usa Donald Trump. Secondo diversi osservatori, anche lo stesso Raisi sarebbe interessato alla ripresa del patto nucleare, per ottenere un allentamento delle sanzioni statunitensi fondamentale per rilanciare l’economia. A questo si aggiungono i prigionieri con doppia nazionalità, arma di trattativa con l’Occidente, l’alleanza con Russia e Cina e gli equilibri nella regione, partendo dalle tensioni con l’Arabia Saudita e il mondo islamico sunnita.

Intanto, fra gli elettori predominano sentimenti di apatia, sfiducia e disillusione. Il 29enne Fatemeh Rekabi, ragioniere a Teheran, dice all’Associated Press (Ap) di non avere fiducia “in alcun candidato” e se la situazione dovesse peggiorare “il popolo non sopravviverà”. Il 50enne Loqman Karimi esprime il proprio sostegno per Raisi “non per le promesse in campagna elettorale, ma per le cose concrete che ha fatto da capo della magistratura”. Per il 34enne Nasrin Hassani “siamo al punto che basterebbe tornare a dove eravamo cinque, sei anni fa” all’indomani della firma sul nucleare; altri ancora sembrano rimpiangere il leader populista Mahmoud Ahmadinejad. Tuttavia, il desiderio comune è quello di poter vivere in un Paese normale, libero da sanzioni e non in guerra perenne con i vicini, che sappia offrire opportunità ai propri cittadini oggi costretti, soprattutto i più giovani, a cercare fortuna all’estero. 

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